Derivante da reato secondo il d.lgs. n. 231/2001
L’obiettivo del d.lgs. n.
231 del 2001 è stata
l’individuazione di
una sostenibile responsabilità
“amministrativa” dell’ente derivante
da reato; cercando di
coniugare i tratti essenziali del
procedimento penale con
quelli della sanzione amministrativa,
il legislatore ha optato
per la strada dell’accertamento
giudiziale più garantista,
considerato il livello di afflittività
della sanzioni.
Alla base della responsabilità
del soggetto collettivo vi è il
rapporto c.d. organico con la
persona fisica autrice del reato,
che induce quest’ultima a
commettere il reato nell’interesse
e a vantaggio dell’ente,
presupposti senz’altro necessari
affinché si possa parlare
di responsabilità della persona
giuridica, ma che non consentono,
di per sé soli, di formulare
un giudizio di censura
nei confronti dell’ente e di
imputarle ragionevolmente il
fatto illecito.
Il criterio di collegamento tra
ente e persona fisica trova
un’ulteriore specificazione nel
distinguo, di carattere organizzativo,
tra appartenenti all’ente
posti in posizione apicale ed
appartenenti all’ente collocati
in posizione subordinata.
Tale collegamento pare però
molto spesso affievolirsi fino
a risultare difficilmente individuabile,
germinando così una
responsabilità dell’ente derivante
direttamente dall’illecito
penale, pur non potendosi
ad esso attribuire la obiettiva
realizzazione dell’evento, e
fungendo così l’individuo da
mero collegamento virtuale:
“La responsabilità dell’ente -
si esprime così l’art 8 del decreto
– sussiste anche quando…
l’autore del reato non è
stato identificato o non è imputabile”.
La responsabilità della persona
giuridica viene così accertata,
in forza del presente decreto,
non già dall’autorità
amministrativa, bensì da un
giudice penale (il quale svolge
il suo lavoro sulla base di
quanto disposto dal codice di
procedura penale),
al quale spetta l’applicazione
di una sanzione di chiara estrazione penalistica. Altra regola prevista dalla normativa
in oggetto, ispirata a
ragioni di effettività, omogeneità
ed economia processuale,
è quella della obbligatoria
riunione dei procedimenti: il
giudizio nei confronti dell’Ente
dovrà rimanere riunito, per
quanto possibile, al processo
penale instaurato nei confronti
della persona fisica autore del
reato presupposto della responsabilità
dell’Ente.
L’accertamento della responsabilità
della società, attribuito
al giudice penale, avviene
mediante:
1. L’accertamento della sussistenza
del reato presupposto;
2. La verifica della commissione
di esso nell’interesse o a
vantaggio della società, da
soggetto con responsabilità
apicale ovvero da dipendente;
3. Il sindacato di idoneità di un
modello organizzativo, adottato,
teso a prevenire reati dei
managers o subordinati per
scopi favorevoli alla società. Il sindacato del giudice circa l’astratta idoneità del modello organizzativo a prevenire i reati di cui al Decreto
è condotto secondo il criterio della c.d. “prognosi postuma”.
Il giudizio di idoneità è, cioè, formulato secondo un criterio sostanzialmente orientato ex ante, per cui il giudice si colloca, idealmente, nella realtà
aziendale nel momento in cui si è verificato l’illecito per saggiare la resistenza del modello adottato alle spinte economicistiche a commettere l’illecito.
La responsabilità dell’Ente sussisteva, nell’originaria versione del Decreto, esclusivamente
nel caso di commissione di alcune tipologie di illeciti
prevalentemente commessi a danno della pubblica amministrazione. Successivamente, dalla Legge
23 novembre 2001 n. 409, recante “Disposizioni urgenti in vista dell’introduzione dell’euro”, fino alla recente riforma sistematica della prevenzione infortuni, e oltre, il legislatore ha inserito nel
catalogo dei delitti presupposto una moltitudine di altre figure criminose.
Giorgio Colangeli
* Avvocato del Foro di Roma