Alt alla nuova legge professionale forense?
Nel Paese che conta
ben 26 avvocati
ogni giudice (gli
avvocati italiani erano
213mila nel 2008, a fronte
dei 47mila in Francia, di
147mila colleghi tedeschi
e dei 155mila di Regno
Unito e Spagna: e oggi saremmo
circa 220mila) la
legge professionale forense
è ancora quella anteguerra,
ovvero il regio decreto
luogotenenziale 27
novembre 1933 n. 1578,
convertito in legge il 22
gennaio 1934 n. 36, seppur
con modifiche e integrazioni.
Sì, perché la riforma
forense è stata approvata
di recente solo dal Senato
della Repubblica, ed ora
deve essere votata dalla
Camera dei Deputati. Nel
ddl n. 1198-A, votato lo
scorso 23 novembre, sono
contenute diverse novità:
sono state reintrodotte le
tariffe come indici di riferimento
minimo e massimo
per la determinazione
degli onorari (art. 12), torna
il divieto del c.d. “patto
quota-lite”(art. 12, comma
VII), vengono riservate –
in linea di massima - agli
avvocati le attività di consulenza
legale e di assistenza
stragiudiziale (ma
«fuori dei casi in cui ricorrono
competenze espressamente
individuate relative
a specifici settori del diritto
e che sono previste dalla
legge per gli esercenti
altre professioni regolamentate
», art. 2 comma
VI), è possibile la pubblicità
«purché in maniera
veritiera, non elogiativa,
non ingannevole e non
comparativa» (art. 6). A
proposito di pubblicità, la
Suprema Corte di Cassazione
a Sezioni Unite
(sent. n. 23287/10) ha stabilito
come congrua e legittima
la censura inflitta
ad un avvocato milanese
(consigliere dell’ordine
meneghino) promotore
dell’inquietante (per molti
colleghi) progetto dell’A.
L.T. (Assistenza Legale
per Tutti). Un sedicente
“negozio giuridico”, letteralmente
su strada, che offre
una prima consulenza
legale gratuita. Il progetto
(poi ribattezzato cautelativamente
A.L. Assistenza
Legale) nasce a marzo
2007, dopo il decreto Bersani
e vede l’inaugurazione
a gennaio 2008 del primo
studio legale – livello
strada, appunto - a Milano,
tipo ortofrutta. E altri ne
sono seguiti in tutto il Belpaese
(uno è presente nella
Capitale). I colleghi di
“A.L.” propalano come
idea guida «quella di avvicinare
l’avvocato e l’assistenza
legale il più possibile
alla gente, eliminando
ogni tipo di barriera e rispondendo
alle domande
della clientela anche senza
appuntamento»; vogliono
«riunire avvocati presenti
su tutto il territorio nazionale
con elevato profilo ed
esperienza, che … abbiano
un progetto di condivisione
di idee e professionalità».
Insomma dato che la legge
è uguale per tutti, anche
l’assistenza legale deve essere
tale! Con prezzi bassi,
anzi al ribasso. Ma i supremi
ermellini hanno statuito
che l’originario acronimo
utilizzato fosse “suggestivo”
e volto a catturare
clientela sfruttando un riflesso
«emotivo» ed irrazionale,
giocato anche sull’equivoco
della famosa
“prima consulenza gratuita”
(ormai diffusa nella
prassi quotidiana della
quasi totalità degli studi legali)
in realtà «un generico
inquadramento del problema
». Aldilà dei giudizi sull’esperienza
targata
“A.L.T./A.L.” essa è segno
della crisi economica di
una categoria decisamente
sovraffollata e povera, anzi
impoverita: il reddito medio
degli avvocati italiani
scende ancora dal 2008 al
2009 del 1.1%, e si calcola
che i giovani legali nella
fascia di età fra i 24 e 34
anni non portino a casa più
di 1200 euro al mese. E a
proposito dei giovani in toga,
nel progetto di riforma
non è previsto alcun rapporto
di lavoro subordinato
né per l’avvocato subordinato
né per il praticantetirocinante,
che matura dopo
il primo anno solo il diritto
ad un rimborso (art.
39). Se gli avvocati sono
troppi, dice più di qualcuno,
occorre rendere più severo
l’accesso alla professione:
ma nella riforma forense
da esaminarsi ancora
alla Camera, l’esame di
Stato è rimasta sostanzialmente
invariato rispetto al
passato. La logica del numero
chiuso (che applicata
adesso significherebbe solo
chiudere la stalla dopo
che i buoi sono scappati)
non serve, a nostro avviso,
per rilanciare una categoria
professionale in crisi (e
non solo economica), che
non gode (la categoria) di
grande prestigio nell’opinione
pubblica. E allora
ben vengano le innovazioni
previste in materia di
procedimento disciplinare
per le toghe furbette. Ovvero
l’introduzione dei c.d.
consigli istruttori di disciplina
e un collegio giudicante
(dove su sette membri
almeno quattro appartengono
agli altri consigli
dell’ordine del distretto,
art. 49 e ss.) nuovo di zecca,
organi che dovrebbero
limitare il “buonismo”
spesso dimostrato in materia
di deontologia in certi
consigli dell’ordine. Forse
perché i consiglieri-giudici
abbisognano sempre del
consenso dei colleghi giudicati
… Se davvero vogliamo
essere “al servizio
dei cittadini” (slogan del
XXX congresso nazionale
forense, attualmente in
svolgimento a Genova)
sarà bene cominciare, innanzitutto,
a recuperare un
po’ di fiducia degli stessi.
Rodolfo Capozzi
* Avvocato del Foro di Roma