Avvocato su strada offresi
Le S.S.U.U. con sentenza
23287/10 pubblicata
il 18/11/10,
confermando la gravata decisione
183/09 del CNF;
hanno posto alcuni punti fermi
sul tema dei cosiddetti
“negozi di strada”. La sentenza
va letta ed approfondita
per quanto di innovativo e
per le indicazioni al futuro
che contiene. Purtroppo al
fine di acquisire un facile
consenso congressuale se ne
è data diffusione offrendone
una lettura parziale ed erronea,
che la riduce a banale ripetizione
di concetti tralatici.
Questa la vicenda: due Colleghi
hanno aperto a Milano
sotto l’insegna “A.L.T. - assistenza
legale per tutti” un
ufficio direttamente affacciato
sulla pubblica via alla
cui porta di ingresso era applicata
una scritta a caratteri
vistosi recante l’indicazione
“prima consulenza gratuita”.
Il procedimento disciplinare
sia in sede territoriale che
avanti il CNF si concludeva
con l’irrogazione della censura,
ritenendosi l’acronimo
A.L.T. e le scritte sulla porta
quale pubblicità suggestiva.
Questi i punti salienti del decisum.
Il CNF ha ritenuto e
le S.S.U.U. hanno confermato
che va “escluso ogni
responsabilità (deontologica)
per l’uso di ambienti diversi
da quelli tradizionali”.
Ne derivano l’ampliamento
delle possibilità organizzative
a basso costo dell’attività
professionale; l’avvicinamento,
sul territorio e le sue
specificità, tra la domanda e
l’offerta di giustizia; il superamento
dell’ingiusta esclusione
dalla “buona-uscita”
ex art. 35 Lg. 392/78; un ulteriore
elemento ermeneutico
in favore della valutazione
economica dello studio
professionale quale universitas
bonorum.
Sia pure quale obiter dictum
viene poi legittimata la gratuità
del primo colloquio di
orientamento che si pone
quindi come primo momento
di verifica di affidabilità e
occasione per le informative
cui le norme obbligano l’Avvocato.
La gratuità faciliterà il cittadino
nella valutazione della
tutela dei propri diritti anche
minimali. Si amplia la domanda
e la scelta del professionista
sarà basata su una
valutazione comparativa di
qualità.
Il CNF e le S.S.U.U. hanno
ritenuto tuttavia sussistere
una qualche violazione
deontologica, ritenendo
“l’insegna” e il messaggio
suggestivi e non informativi;
la vicenda viene dunque ricondotta
solo nell’alveo della
pubblicità professionale.
Occorre osservare che con la
sentenza in esame si afferma
implicitamente la legittimità
dell’insegna e del logo, anche
al di fuori delle prescrizioni
del D.lgt 96/01 e della
Lg. 1815/39 che limitano la
Ditta alla sola litania di nomi
e titoli.
Sulla questione della “pubblicità
suggestiva” è corretto
e necessario offrire solidarietà
alla Collega censurata
che, seppur caduta in errore;
ha fatto emergere un ulteriore
area di ritardo nella modernizzazione
della professione.
La direttiva c.d. Bolkestein
(CE n. 123 d.d. 12/12/06)
definisce la pubblicità professionale
“comunicazioni
commerciali emananti dalle
professioni regolamentate”,
ma rinvia alle regole deontologiche
la definizione della
loro specificità. Evidente
dunque da un lato la vocazione
ed al mercato e dall’altra
la necessità di una regola
particolare. La norma deontologica
dunque non può più
risolversi in un canone generico
riempito dalla casistica
giurisprudenziale; ma dovrà
essere maggiormente scolpita.
Non è ammissibile che la
giurisprudenza si formi sull’errore
di colleghi sanzionabili,
e che saranno così indotti
a non correre il rischio
dell’innovazione (a riprova
l’art. 9, 3° della L.P. approvata
dal solo Senato il
23/11/10).
Se la Collega è colpevole
evidente è però il concorso
di colpa di chi non ha tempestivamente
provveduto ad
una normazione al passo con
lo sviluppo della società e
dell’economia.
Anche su questo le S.S.U.U.
sono chiarissime nell’indicare
i giusti motivi di compensazione
delle spese nella:
“mancanza di precedenti arresti
giurisprudenziali in tema
di pubblicità da parte di
studi legali che potessero
costituire un precedente
orientativo, in presenza della
novità normativa sia a livello
legislativo che di codice
deontologico”.
Forum delle Professioni, il Presidente Avv. Roberto Zazza