Una storia semiseria
La storia di un Congresso
nazionale forense
la si può interpretare
in varie maniere.
Divertiamoci, allora, a leggere
l’avventura dell’ultimo
congresso, svoltosi a
fine novembre, con un po’
di sana ironia.
Com’è risaputo i congressisti
sono stati ospitati sulla
nave da crociera “Concordia”
della flotta Costa,
e lì si sono svolti anche tutti
i lavori, dal giovedì mattina
al sabato sera. La nave,
ovviamente, era ancorata
al porto e lì è rimasta,
con tutti i suoi duemiladuecento
avvocati a bordo
(e trecentoquaranta accompagnatori
al seguito).
La scelta della così curiosa
location si è rivelata da un
lato azzeccata (avendo
avuto il pregio di concentrare
uomini ed
eventi in un sol
luogo, senza necessità,
così, di
continui spostamenti) e
dall’altro infelice: gli spazi
angusti di una nave, specie
in periodo invernale, hanno
infatti reso difficile la
vita a molti.
Arrivati mercoledì, a sera
inoltrata, alla Stazione marittima,
abbiamo provveduto
a fare il check in, accorgendoci
subito che per
qualche disgraziata omonimia
una cabina della nostra
delegazione romana
era come d’incanto sparita.
Superate le prime difficoltà,
hostess della Provincia
di Genova, incuranti
del fatto che eravamo già
pieni di bagagli e di pacchi,
ci hanno messo in mano
materiale informativo e
pubblicitario con tanto di
bustina di semi di basilico
al seguito (ah, i genovesi….:
ma il pesto ce lo
dobbiamo fare da noi?).
Superati i primi sbandamenti
dovuti alla necessità
di orientarci (domanda: “a
che piano sei?”; risposta:
“guarda che qui i piani
non ci sono, esistono solo i
ponti!”), e schivata qualche
battutaccia da due lire
(“il Presidente del C.N.F.
si è imbarcato? Allora si
s…Alpa!”), siamo anche
riusciti a cenare nonostante
l’ora oramai tardissima
(ma, si sa, in crociera si
mangia a qualsiasi momento…).
Il giorno successivo siamo
stati impegnati a fare da cicerone:
“ma il Teatro Atene,
dove si svolgono i dibattiti,
in quale ponte è? Al
terzo, ma se volete stare in
galleria potete andare al
quinto. No scusate, al
quinto ponte si svolgono le
serate danzanti, andateci
solo a lavori finiti; mentre
il breakfast si fa al nono”.
Grazie alla validissima
collaborazione delle dipendenti
dell’Ordine Antonella
e Valeria, poi, son anche
riuscito a districarmi
tra le mille richieste dei
nostri delegati: “Consigliere,
scusa, io soffro di claustrofobia
e la mia cabina
è senza neppure
uno straccio di oblò…!”. Cerchiamone
una, allora, che abbia almeno
un po’ di luce. Altri
si sono giustamente lamentati
per l’assenza prolungata
di acqua calda:
quando sono andato in cabina
mi son accorto che
anche a me l’acqua della
doccia veniva gelata (e ci
sono volute due ore di sodo
lavoro, di due idraulici
filippini che, in piena notte,
mi hanno occupato il
bagno, per farmela arrivare
almeno tiepida).
Per svolgere le riunioni
delle delegazioni del proprio
Ordine i congressisti
erano costretti ad uscire
dalla nave ed a recarsi alla
Stazione marittima, transitando
per una passerella e
poi per un terrazzo sistematicamente
sferzati da
vento e da pioggia gelida.
A noi romani ci è stata assegnata
la mitica “Sala Varazze”,
l’unica in grado di
contenerci tutti (eravamo
101).
Qualcuno nel frattempo
era intento a ritagliare, da
ampli fogli di carta rossa,
dei cartellini, onde preparare
una bella sorpresa al
ministro della giustizia, il
quale aveva preannunciato
il suo arrivo, nonostante
fosse stato debitamente avvisato
del clima di contestazione
che andava montando.
“Gliela diamo noi
la crociera: per lui sarà
una …croce!” diceva qualcuno
con aria da killer.
C’è stato chi, incurante di
qualche braccio listato a
lutto che si aggirava sui
ponti, ha approfittato per
farsi una passeggiata nei
vicoli del quartiere vicino
al porto, apprendendo dalle
hostess – ma solo al suo
ritorno – che quei posti
non sono frequentati neppure
dai genovesi a causa
del malaffare che vi ci gira
e dai brutti incontri che di
solito lì si fanno.
Nelle tre sere, dopo cena,
molti di noi si sono ritrovati
a ballare in discoteca,
al settimo ponte, dove una
collega è riuscita a scatenarsi
accennando ad una
lap dance casareccia.
L’ottimo Stefano Savi,
presidente dell’Ordine di
Genova, organizzatore di
fatto del Congresso e sempre
più indaffarato per assicurare
che il soggiorno
sulla nave fosse il più
confortevole possibile, scivolava
su una buccia di banana
dando nel bel mezzo
dei lavori la parola al Presidente
della Sampdoria
Calcio che, pur parlando
(troppo, davvero troppo,
comunque, e così a bassa
voce e lontano dal microfono
da essere sentito
solo dalle sue orecchie) di
una nobile iniziativa di solidarietà
e di beneficenza a
lui riconducibile, faceva
cadere l’uditorio in un sonno
profondo dal quale si
veniva svegliati solo grazie
all’arrivo di Alfano.
L’arrivo del Ministro, così
tanto scortato da agenti in
borghese manco dovesse
presentarsi in una piazza di
Kabul, è stato salutato –
come tutti sanno – da
un’accoglienza da “maracanà”.
I cartellini rossi
sventolati da taluni esagitati
congressisti dalle poltrone
della platea non hanno
fatto espellere però il
Ministro, che ha tenuto duro
ed affrontato i contestatori
con piglio autorevole.
De Tilla si mostrava in difficoltà
non solo quando il
Ministro lo invitava (dapprima
con garbo, poi con
fermezza) a farsi gli affari
suoi se il pubblico contestava,
che ci avrebbe pensato
da sé medesimo, ma
soprattutto quando – più
tardi – la stragrande maggioranza
dei congressisti si
è rivolto verso lo stesso
Presidente dell’OUA scandendo
a gran voce il grido
“di-mis-sio-ni!!”.
Tra un intervento ed un altro,
una votazione ed una
polemica, De Tilla si perdeva
per strada anche
qualche mozione regolarmente
presentata ed andava,
così, nel pallone. Molti
non capivano perché ci veniva
chiesto di votare due
mozioni contrastanti tra di
loro (nel caso, quella sulle
specializzazioni), se già
una volta avevamo pigiato
il dito, per la prima di queste,
sullo strumento consegnatoci
per esprimere il
nostro voto.
Esilaranti le scene di quei
colleghi che, ritenendo
quello stesso aggeggio una
sorta di “telecomando da
televisione”, ogni volta
che votavano azionandolo,
lo puntavano contro gli occhi
di chi era seduto sul tavolo
posto sul palco della
Presidenza.
Qualcuno saliva sul palco
stesso, afferrava il microfono
e, in un clima di
semi-anarchia, diceva la
sua. Una bolgia incredibile
ci avvolgeva, in un’atmosfera
da caos infernale. Ad
un certo punto non ci si è
capito più nulla.
Meravigliate le facce di
chi, rientrato in nave da
una visita all’acquario (dove
almeno i pesci restano
muti), ed avendo captato
un’aria elettrizzata, chiedeva
cosa mai fosse successo
al Teatro Atene.
Il congresso si è concluso
con un’ottima cena di gala,
il sabato sera, consumata
nei ristoranti “Roma” e
“Milano” (noi “capitolini”
dove l’abbiamo fatta, secondo
voi?), e con lo spettacolo
finale (sia di musica,
con l’esibizione di un
Baccini in buona forma,
che di cabaret). Nulla a che
vedere rispetto al concerto
che Ennio Morricone diresse
al termine del Congresso
di Bologna, ma almeno
qui si son risparmiati
un bel po’ di soldi.
L’ultima notte i frigo-bar
delle cabine sono stati sigillati,
come si fa quando
si è in crociera (ma qui,
però, l’àncora è stata tolta??)
mandando su tutte le
furie molti congressisti.
Personalmente ho lasciato
la nave all’alba di domenica,
quando Genova ancora
dormiva ed era (al solito…)
sotto una pioggia battente,
dovendo prendere il
treno per Roma alle 6.50
(treno che ha impiegato
molto più tempo del previsto
per arrivare a Termini, a
causa dell’esondazione di
alcuni fiumi nel grossetano,
che hanno imposto alcuni
stop alla corsa).
Il bilancio finale è stato
quello di un Congresso
forse inutile, caotico, che
passerà alla storia per la
gazzarra inscenata da una
minoranza di delegati, e
che è costato all’Avvocatura
quasi due milioni di
Euro: soldi che, col senno
di poi, si potevano probabilmente
spendere per aiutare
quei colleghi che faticano
ad arrivare alla fine
del mese.
Rodolfo Murra
* Consigliere Segretario dell'Ordine degli Avvocati di Roma