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Avvocatura: XXX Congresso Nazionale Forense
Posted by InGiustizia on Tuesday, March 08 @ 19:13:45 CET
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Una storia semiseria

La storia di un Congresso nazionale forense la si può interpretare in varie maniere.
Divertiamoci, allora, a leggere l’avventura dell’ultimo congresso, svoltosi a fine novembre, con un po’ di sana ironia.
Com’è risaputo i congressisti sono stati ospitati sulla nave da crociera “Concordia” della flotta Costa, e lì si sono svolti anche tutti i lavori, dal giovedì mattina al sabato sera. La nave, ovviamente, era ancorata al porto e lì è rimasta, con tutti i suoi duemiladuecento avvocati a bordo (e trecentoquaranta accompagnatori al seguito).
La scelta della così curiosa location si è rivelata da un lato azzeccata (avendo avuto il pregio di concentrare uomini ed eventi in un sol luogo, senza necessità, così, di continui spostamenti) e dall’altro infelice: gli spazi angusti di una nave, specie in periodo invernale, hanno infatti reso difficile la vita a molti.
Arrivati mercoledì, a sera inoltrata, alla Stazione marittima, abbiamo provveduto a fare il check in, accorgendoci subito che per qualche disgraziata omonimia una cabina della nostra delegazione romana era come d’incanto sparita.
Superate le prime difficoltà, hostess della Provincia di Genova, incuranti del fatto che eravamo già pieni di bagagli e di pacchi, ci hanno messo in mano materiale informativo e pubblicitario con tanto di bustina di semi di basilico al seguito (ah, i genovesi….: ma il pesto ce lo dobbiamo fare da noi?).
Superati i primi sbandamenti dovuti alla necessità di orientarci (domanda: “a che piano sei?”; risposta: “guarda che qui i piani non ci sono, esistono solo i ponti!”), e schivata qualche battutaccia da due lire (“il Presidente del C.N.F. si è imbarcato? Allora si s…Alpa!”), siamo anche riusciti a cenare nonostante l’ora oramai tardissima (ma, si sa, in crociera si mangia a qualsiasi momento…).
Il giorno successivo siamo stati impegnati a fare da cicerone: “ma il Teatro Atene, dove si svolgono i dibattiti, in quale ponte è? Al terzo, ma se volete stare in galleria potete andare al quinto. No scusate, al quinto ponte si svolgono le serate danzanti, andateci solo a lavori finiti; mentre il breakfast si fa al nono”.
Grazie alla validissima collaborazione delle dipendenti dell’Ordine Antonella e Valeria, poi, son anche riuscito a districarmi tra le mille richieste dei nostri delegati: “Consigliere, scusa, io soffro di claustrofobia e la mia cabina è senza neppure uno straccio di oblò…!”. Cerchiamone una, allora, che abbia almeno un po’ di luce. Altri si sono giustamente lamentati per l’assenza prolungata di acqua calda: quando sono andato in cabina mi son accorto che anche a me l’acqua della doccia veniva gelata (e ci sono volute due ore di sodo lavoro, di due idraulici filippini che, in piena notte, mi hanno occupato il bagno, per farmela arrivare almeno tiepida).
Per svolgere le riunioni delle delegazioni del proprio Ordine i congressisti erano costretti ad uscire dalla nave ed a recarsi alla Stazione marittima, transitando per una passerella e poi per un terrazzo sistematicamente sferzati da vento e da pioggia gelida.
A noi romani ci è stata assegnata la mitica “Sala Varazze”, l’unica in grado di contenerci tutti (eravamo 101).
Qualcuno nel frattempo era intento a ritagliare, da ampli fogli di carta rossa, dei cartellini, onde preparare una bella sorpresa al ministro della giustizia, il quale aveva preannunciato il suo arrivo, nonostante fosse stato debitamente avvisato del clima di contestazione che andava montando.
“Gliela diamo noi la crociera: per lui sarà una …croce!” diceva qualcuno con aria da killer.
C’è stato chi, incurante di qualche braccio listato a lutto che si aggirava sui ponti, ha approfittato per farsi una passeggiata nei vicoli del quartiere vicino al porto, apprendendo dalle hostess – ma solo al suo ritorno – che quei posti non sono frequentati neppure dai genovesi a causa del malaffare che vi ci gira e dai brutti incontri che di solito lì si fanno.
Nelle tre sere, dopo cena, molti di noi si sono ritrovati a ballare in discoteca, al settimo ponte, dove una collega è riuscita a scatenarsi accennando ad una lap dance casareccia.
L’ottimo Stefano Savi, presidente dell’Ordine di Genova, organizzatore di fatto del Congresso e sempre più indaffarato per assicurare che il soggiorno sulla nave fosse il più confortevole possibile, scivolava su una buccia di banana dando nel bel mezzo dei lavori la parola al Presidente della Sampdoria Calcio che, pur parlando (troppo, davvero troppo, comunque, e così a bassa voce e lontano dal microfono da essere sentito solo dalle sue orecchie) di una nobile iniziativa di solidarietà e di beneficenza a lui riconducibile, faceva cadere l’uditorio in un sonno profondo dal quale si veniva svegliati solo grazie all’arrivo di Alfano.
L’arrivo del Ministro, così tanto scortato da agenti in borghese manco dovesse presentarsi in una piazza di Kabul, è stato salutato – come tutti sanno – da un’accoglienza da “maracanà”.
I cartellini rossi sventolati da taluni esagitati congressisti dalle poltrone della platea non hanno fatto espellere però il Ministro, che ha tenuto duro ed affrontato i contestatori con piglio autorevole.
De Tilla si mostrava in difficoltà non solo quando il Ministro lo invitava (dapprima con garbo, poi con fermezza) a farsi gli affari suoi se il pubblico contestava, che ci avrebbe pensato da sé medesimo, ma soprattutto quando – più tardi – la stragrande maggioranza dei congressisti si è rivolto verso lo stesso Presidente dell’OUA scandendo a gran voce il grido “di-mis-sio-ni!!”.
Tra un intervento ed un altro, una votazione ed una polemica, De Tilla si perdeva per strada anche qualche mozione regolarmente presentata ed andava, così, nel pallone. Molti non capivano perché ci veniva chiesto di votare due mozioni contrastanti tra di loro (nel caso, quella sulle specializzazioni), se già una volta avevamo pigiato il dito, per la prima di queste, sullo strumento consegnatoci per esprimere il nostro voto.
Esilaranti le scene di quei colleghi che, ritenendo quello stesso aggeggio una sorta di “telecomando da televisione”, ogni volta che votavano azionandolo, lo puntavano contro gli occhi di chi era seduto sul tavolo posto sul palco della Presidenza.
Qualcuno saliva sul palco stesso, afferrava il microfono e, in un clima di semi-anarchia, diceva la sua. Una bolgia incredibile ci avvolgeva, in un’atmosfera da caos infernale. Ad un certo punto non ci si è capito più nulla.
Meravigliate le facce di chi, rientrato in nave da una visita all’acquario (dove almeno i pesci restano muti), ed avendo captato un’aria elettrizzata, chiedeva cosa mai fosse successo al Teatro Atene.
Il congresso si è concluso con un’ottima cena di gala, il sabato sera, consumata nei ristoranti “Roma” e “Milano” (noi “capitolini” dove l’abbiamo fatta, secondo voi?), e con lo spettacolo finale (sia di musica, con l’esibizione di un Baccini in buona forma, che di cabaret). Nulla a che vedere rispetto al concerto che Ennio Morricone diresse al termine del Congresso di Bologna, ma almeno qui si son risparmiati un bel po’ di soldi. L’ultima notte i frigo-bar delle cabine sono stati sigillati, come si fa quando si è in crociera (ma qui, però, l’àncora è stata tolta??) mandando su tutte le furie molti congressisti. Personalmente ho lasciato la nave all’alba di domenica, quando Genova ancora dormiva ed era (al solito…) sotto una pioggia battente, dovendo prendere il treno per Roma alle 6.50 (treno che ha impiegato molto più tempo del previsto per arrivare a Termini, a causa dell’esondazione di alcuni fiumi nel grossetano, che hanno imposto alcuni stop alla corsa).
Il bilancio finale è stato quello di un Congresso forse inutile, caotico, che passerà alla storia per la gazzarra inscenata da una minoranza di delegati, e che è costato all’Avvocatura quasi due milioni di Euro: soldi che, col senno di poi, si potevano probabilmente spendere per aiutare quei colleghi che faticano ad arrivare alla fine del mese.

Rodolfo Murra
* Consigliere Segretario dell'Ordine degli Avvocati di Roma

 
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