La Sezione Fallimentare
continua ad esser
fonte di sorprese
e di notizie non gradevoli
per gli avvocati romani.
La Sezione Fallimentare
continua ad esser
fonte di sorprese
e di notizie non gradevoli
per gli avvocati romani.
Da quando i due Presidenti
titolari, Briasco e Grimaldi,
hanno lasciato i loro
incarichi per raggiunti
limiti di età, e cioè nel
maggio di questo anno
2004, il Presidente Scotti
ha assunto l’interim della
presidenza della Sezione
Fallimentare, ed è presente
in quegli uffici per poche
ore durante la settimana.
Sorprendentemente, a
tutt’oggi i nuovi Presidenti
non sono stati ancora
designati.
In Sezione Fallimentare
ogni giorno vengono assunte
decine di provvedimenti,
talvolta anche di
importante contenuto economico.
L’assenza di una
presidenza stabile comincia
a farsi sentire.
Fra l’altro, il Presidente
Scotti, nell’assumere l’interim,
ha dichiarato alla
stampa che avrebbe preso
le necessarie misure per
“garantire la maggiore trasparenza”
ed in sostanza
per “rimettere ordine” nella
Sezione.
A tutt’oggi non risulta che
gli interventi da lui compiuti
abbiano sostanzialmente
modificato le procedure
e le prassi all’interno
della Sezione. Non abbiamo
visto “rivoluzioni”,
ma solo qualche piccolo
intralcio burocratico in
più. Non è stata informatizzata
la procedura di nomina
dei legali dei fallimenti,
che il Presidente
Briasco aveva chiesto fin
dal 1997, e che - questa sì
- garantirebbe una maggiore
trasparenza. In realtà
le nomine continuano ad
esser effettuate dai singoli
Giudici Delegati, in piena
autonomia e senza alcun
controllo, né possibilità di
verifica.
Qualche Giudice tenta di
attuare una “rotazione”
negli incarichi. Ma non è
mai stato creato un elenco
di avvocati esperti in materia
fallimentare, e la “rotazione”
talvolta si traduce
nella nomina di colleghi
inesperti della materia.
Il fallimentare è una materia
altamente specialistica
e chi non è costantemente
aggiornato rischia di cadere
in gravi equivoci. Sarebbe
perciò necessario,
se si vuole veramente garantire
la trasparenza e la
rotazione degli incarichi
come difensori in giudizio
dei fallimenti, istituire un
ruolo di avvocati dotati di
specifica esperienza e al
tempo stesso informatizzare
tutte le procedure di
nomina, che è l’unico
strumento che ne consentirebbe
il controllo.
Niente di tutto questo. Le
misure fin qui prese dal
Presidente Scotti concernono
- per quanto appare -
una diversa gestione del
cronologico (affidata alle
singole cancellerie) ed una
notevole restrizione ai curatori
per accedere agli atti
dei rispettivi fallimenti.
In definitiva, misure, allo
stato, marginali.
Vi è invece una novità rilevante,
della quale gli avvocati
dovrebbero tutti
preoccuparsi, e soprattutto
i più giovani.
Il Presidente Scotti a più
riprese ha reso noto che
intenderebbe dare disposizioni
affinché le curatele
fallimentari vengano in
futuro attribuite solo a
dottori commercialisti e
ragionieri, con esclusione
degli avvocati.
Per il momento, si tratta
solo di un proposito manifestato
verbalmente; ma il
Presidente Scotti è tornato
più volte sull’argomento,
e dunque non si tratta di
una mera ipotesi.
La giustificazione addotta
è che il numero di procedure
fallimentari aperte
ogni anno dal Tribunale di
Roma sarebbe in contrazione,
soprattutto per ciò
che concerne i fallimenti
di società con un patrimonio
consistente; sicché
non vi sarebbe spazio per
“accontentare” tutti i professionisti
che chiedono di
esser nominati curatori. E
comunque in alcuni Tribunali
della Repubblica la
prassi di nominare curatori
solo commercialisti e
ragionieri sarebbe già invalsa
da tempo.
L’esclusione degli avvocati
dagli incarichi di curatore
si pone, in realtà, in
aperto contrasto con una
espressa norma di legge:
l’articolo 1 del Decreto
Legislativo C.P.S. 153 del
23/08/1946, nell’abolire il
ruolo degli amministratori
giudiziari, ha disposto che
gli incarichi di curatore
sono conferiti agli iscritti
negli albi degli avvocati,
dei procuratori, degli esercenti
in economia e commercio
e dei ragionieri.
Ma anche le ragioni di opportunità
(??) espresse dal Presidente Scotti appaiono
quanto meno opinabili.
E’ vero che, rispetto ai
primi anni Novanta, il numero
dei fallimenti dichiarati
è diminuito; e ciò è
dipeso in gran parte dall’istituzione
dei Tribunali di
Civitavecchia e Tivoli, e
dall’attribuzione al Tribunale
di Velletri della competenza
territoriale sul comune
di Pomezia. Ma negli
ultimi cinque o sei anni
questo numero non si è
ulteriormente contratto.
Ed in ogni caso va osservato
che l’eventuale contrazione
del numero dei
fallimenti dichiarati comporta
per ciò solo una
contrazione delle opportunità
di lavoro per tutti i
professionisti che aspirano
alla nomina di curatore.
Perché solo gli avvocati
dovrebbero essere ulteriormente
penalizzati?
Le prassi invalse negli altri
Tribunali (che comunque
sono, come detto,
contra legem) andrebbero
poi viste nella loro interezza:
in diversi Tribunali,
laddove si nomina come
curatore solo un commercialista
o un ragioniere, al
tempo stesso viene nominato
un avvocato quale
consulente legale della
procedura. Si tratta di una
soluzione discutibile, poiché
essa comporta un notevole
incremento delle
spese per compensi alla
curatela, del tutto ingiustificato,
soprattutto nei fallimenti
con un attivo modesto.
Tra l’altro, va rilevato che
la “proposta” del Presidente
Scotti si pone anche
in contrasto con le tendenze
attuali del Ministero
delle Attività Produttive, il
quale nelle procedure di
liquidazione coatta amministrativa
delle cooperative tende ormai apertamente
a nominare liquidatore
solo un avvocato.
Last but not least va considerato
che l’avvocato
esperto in diritto fallimentare
ha al suo arco qualche
freccia in più dei commercialisti
e dei ragionieri:
molto spesso i fallimenti
richiedono, per poter pervenire dell’attivo in termini utili
per la massa dei creditori,
l’introduzione di giudizi
ed altre procedure. La
specifica preparazione
dell’avvocato, e la sua naturale
capacità di cogliere,
di ogni vicenda, il problema
giuridico di fondo e di
individuarne la soluzione,
sono in grado di assicurare una migliore e più redditizia
gestione del fallimento.
Più di recente é circolata
anche un’altra ipotesi, indicata
come una soluzione
di mediazione: garantire
la nomina come curatore
di avvocati di fascia A (i
più esperti) soltanto per i
fallimenti con attivo consistente,
ed escludere in
ogni caso gli avvocati dalle
altre nomine cosiddetti
“normali”.
Si tratta di una soluzione
ancora peggiore. Per i fallimenti
con attivo consistente
gli avvocati (di fascia
A), che sarebbero in
ogni caso di numero contenuto,
sarebbero messi
comunque in concorrenza
con i commercialisti ed i
ragionieri; mentre tutti gli
altri colleghi resterebbero
esclusi.
E’ chiaro che una soluzione
del genere privilegerebbe
ingiustificatamente solo
gli avvocati più esperti, a
danno dei colleghi più
giovani. Per di più, una simile
prassi finirebbe prima
o poi per portare alla
definitiva esclusione degli
avvocati dalle curatele:
come potrebbero i più giovani
acquisire l’esperienza
necessaria per entrare a far
parte dei pochi compresi
nella fascia A?
Vi è molto giustificato
fermento tra i colleghi fallimentaristi,
che rischiano
di vedere di colpo inaridirsi
una fonte di lavoro.
La prospettiva è poi particolarmente
grave per
quei colleghi (non è il
mio caso) che lavorano
pressoché esclusivamente, o comunque prevalentemente
con la Sezione
fallimentare.
E’ indispensabile ed urgente
una ferma presa di
posizione del Consiglio
dell’Ordine a difesa delle
opportunità di lavoro di
tutti gli avvocati romani.
E con l’occasione il Consiglio
dell’Ordine dovrebbe
far sentire la sua voce
ed assumere posizione anche
su tutta la gestione dei
tanti incarichi giudiziari
che i giudici romani attribuiscono.
Non vi sono, infatti,
solo le curatele fallimentari;
vi sono anche gli
incarichi di liquidatore di
società (che il Presidente
Scotti ha avocato a sé, e
che attribuisce - per quanto
risulta - solo a commercialisti);
e le nomine a presidente
di assemblea di società,
a custode sequestratario
di beni o di aziende,
ad amministratore di comunioni,
a curatore e tutore
di interdetti ed inabilitati,
a curatori di eredità giacenti,
ed altre ancora.
Per tutti questi incarichi
giudiziari gli Avvocati dovrebbero
rivendicare quanto
meno una parità di trattamento
con gli altri professionisti;
e nel contempo
una gestione veramente
trasparente e “rotativa”. Ci
auguriamo che il Consiglio
dell’Ordine si attivi in
questo senso e, mentre
scriviamo, sembra che
qualcosa si muova. Anche
a questo fine occorre
rafforzare il Consiglio,
uscito ridotto nei suoi ranghi
dalle recenti vicende.
Di Corrado De Martini
Avvocato del Foro di Roma