Un interim privo di fatti
Date: Thursday, December 30 @ 15:40:51 CET
Topic: Articolo


La Sezione Fallimentare continua ad esser fonte di sorprese e di notizie non gradevoli per gli avvocati romani.



La Sezione Fallimentare continua ad esser fonte di sorprese e di notizie non gradevoli per gli avvocati romani.
Da quando i due Presidenti titolari, Briasco e Grimaldi, hanno lasciato i loro incarichi per raggiunti limiti di età, e cioè nel maggio di questo anno 2004, il Presidente Scotti ha assunto l’interim della presidenza della Sezione Fallimentare, ed è presente in quegli uffici per poche ore durante la settimana.
Sorprendentemente, a tutt’oggi i nuovi Presidenti non sono stati ancora designati.
In Sezione Fallimentare ogni giorno vengono assunte decine di provvedimenti, talvolta anche di importante contenuto economico.
L’assenza di una presidenza stabile comincia a farsi sentire. Fra l’altro, il Presidente Scotti, nell’assumere l’interim, ha dichiarato alla stampa che avrebbe preso le necessarie misure per “garantire la maggiore trasparenza” ed in sostanza per “rimettere ordine” nella Sezione.
A tutt’oggi non risulta che gli interventi da lui compiuti abbiano sostanzialmente modificato le procedure e le prassi all’interno della Sezione. Non abbiamo visto “rivoluzioni”, ma solo qualche piccolo intralcio burocratico in più. Non è stata informatizzata la procedura di nomina dei legali dei fallimenti, che il Presidente Briasco aveva chiesto fin dal 1997, e che - questa sì - garantirebbe una maggiore trasparenza. In realtà le nomine continuano ad esser effettuate dai singoli Giudici Delegati, in piena autonomia e senza alcun controllo, né possibilità di verifica.
Qualche Giudice tenta di attuare una “rotazione” negli incarichi. Ma non è mai stato creato un elenco di avvocati esperti in materia fallimentare, e la “rotazione” talvolta si traduce nella nomina di colleghi inesperti della materia.
Il fallimentare è una materia altamente specialistica e chi non è costantemente aggiornato rischia di cadere in gravi equivoci. Sarebbe perciò necessario, se si vuole veramente garantire la trasparenza e la rotazione degli incarichi come difensori in giudizio dei fallimenti, istituire un ruolo di avvocati dotati di specifica esperienza e al tempo stesso informatizzare tutte le procedure di nomina, che è l’unico strumento che ne consentirebbe il controllo. Niente di tutto questo. Le misure fin qui prese dal Presidente Scotti concernono - per quanto appare - una diversa gestione del cronologico (affidata alle singole cancellerie) ed una notevole restrizione ai curatori per accedere agli atti dei rispettivi fallimenti. In definitiva, misure, allo stato, marginali.
Vi è invece una novità rilevante, della quale gli avvocati dovrebbero tutti preoccuparsi, e soprattutto i più giovani. Il Presidente Scotti a più riprese ha reso noto che intenderebbe dare disposizioni affinché le curatele fallimentari vengano in futuro attribuite solo a dottori commercialisti e ragionieri, con esclusione degli avvocati.
Per il momento, si tratta solo di un proposito manifestato verbalmente; ma il Presidente Scotti è tornato più volte sull’argomento, e dunque non si tratta di una mera ipotesi.
La giustificazione addotta è che il numero di procedure fallimentari aperte ogni anno dal Tribunale di Roma sarebbe in contrazione, soprattutto per ciò che concerne i fallimenti di società con un patrimonio consistente; sicché non vi sarebbe spazio per “accontentare” tutti i professionisti che chiedono di esser nominati curatori. E comunque in alcuni Tribunali della Repubblica la prassi di nominare curatori solo commercialisti e ragionieri sarebbe già invalsa da tempo.
L’esclusione degli avvocati dagli incarichi di curatore si pone, in realtà, in aperto contrasto con una espressa norma di legge: l’articolo 1 del Decreto Legislativo C.P.S. 153 del 23/08/1946, nell’abolire il ruolo degli amministratori giudiziari, ha disposto che gli incarichi di curatore sono conferiti agli iscritti negli albi degli avvocati, dei procuratori, degli esercenti in economia e commercio e dei ragionieri.
Ma anche le ragioni di opportunità (??) espresse dal Presidente Scotti appaiono quanto meno opinabili.
E’ vero che, rispetto ai primi anni Novanta, il numero dei fallimenti dichiarati è diminuito; e ciò è dipeso in gran parte dall’istituzione dei Tribunali di Civitavecchia e Tivoli, e dall’attribuzione al Tribunale di Velletri della competenza territoriale sul comune di Pomezia. Ma negli ultimi cinque o sei anni questo numero non si è ulteriormente contratto.
Ed in ogni caso va osservato che l’eventuale contrazione del numero dei fallimenti dichiarati comporta per ciò solo una contrazione delle opportunità di lavoro per tutti i professionisti che aspirano alla nomina di curatore. Perché solo gli avvocati dovrebbero essere ulteriormente penalizzati?
Le prassi invalse negli altri Tribunali (che comunque sono, come detto, contra legem) andrebbero poi viste nella loro interezza: in diversi Tribunali, laddove si nomina come curatore solo un commercialista o un ragioniere, al tempo stesso viene nominato un avvocato quale consulente legale della procedura. Si tratta di una soluzione discutibile, poiché essa comporta un notevole incremento delle spese per compensi alla curatela, del tutto ingiustificato, soprattutto nei fallimenti con un attivo modesto.
Tra l’altro, va rilevato che la “proposta” del Presidente Scotti si pone anche in contrasto con le tendenze attuali del Ministero delle Attività Produttive, il quale nelle procedure di liquidazione coatta amministrativa delle cooperative tende ormai apertamente a nominare liquidatore solo un avvocato.
Last but not least va considerato che l’avvocato esperto in diritto fallimentare ha al suo arco qualche freccia in più dei commercialisti e dei ragionieri: molto spesso i fallimenti richiedono, per poter pervenire dell’attivo in termini utili per la massa dei creditori, l’introduzione di giudizi ed altre procedure. La specifica preparazione dell’avvocato, e la sua naturale capacità di cogliere, di ogni vicenda, il problema giuridico di fondo e di individuarne la soluzione, sono in grado di assicurare una migliore e più redditizia gestione del fallimento.
Più di recente é circolata anche un’altra ipotesi, indicata come una soluzione di mediazione: garantire la nomina come curatore di avvocati di fascia A (i più esperti) soltanto per i fallimenti con attivo consistente, ed escludere in ogni caso gli avvocati dalle altre nomine cosiddetti “normali”.
Si tratta di una soluzione ancora peggiore. Per i fallimenti con attivo consistente gli avvocati (di fascia A), che sarebbero in ogni caso di numero contenuto, sarebbero messi comunque in concorrenza con i commercialisti ed i ragionieri; mentre tutti gli altri colleghi resterebbero esclusi. E’ chiaro che una soluzione del genere privilegerebbe ingiustificatamente solo gli avvocati più esperti, a danno dei colleghi più giovani. Per di più, una simile prassi finirebbe prima o poi per portare alla definitiva esclusione degli avvocati dalle curatele: come potrebbero i più giovani acquisire l’esperienza necessaria per entrare a far parte dei pochi compresi nella fascia A?
Vi è molto giustificato fermento tra i colleghi fallimentaristi, che rischiano di vedere di colpo inaridirsi una fonte di lavoro. La prospettiva è poi particolarmente grave per quei colleghi (non è il mio caso) che lavorano pressoché esclusivamente, o comunque prevalentemente con la Sezione fallimentare. E’ indispensabile ed urgente una ferma presa di posizione del Consiglio dell’Ordine a difesa delle opportunità di lavoro di tutti gli avvocati romani.
E con l’occasione il Consiglio dell’Ordine dovrebbe far sentire la sua voce ed assumere posizione anche su tutta la gestione dei tanti incarichi giudiziari che i giudici romani attribuiscono. Non vi sono, infatti, solo le curatele fallimentari; vi sono anche gli incarichi di liquidatore di società (che il Presidente Scotti ha avocato a sé, e che attribuisce - per quanto risulta - solo a commercialisti); e le nomine a presidente di assemblea di società, a custode sequestratario di beni o di aziende, ad amministratore di comunioni, a curatore e tutore di interdetti ed inabilitati, a curatori di eredità giacenti, ed altre ancora. Per tutti questi incarichi giudiziari gli Avvocati dovrebbero rivendicare quanto meno una parità di trattamento con gli altri professionisti; e nel contempo una gestione veramente trasparente e “rotativa”. Ci auguriamo che il Consiglio dell’Ordine si attivi in questo senso e, mentre scriviamo, sembra che qualcosa si muova. Anche a questo fine occorre rafforzare il Consiglio, uscito ridotto nei suoi ranghi dalle recenti vicende.

Di Corrado De Martini
Avvocato del Foro di Roma







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