Lo scorso mese terminavo
il mio scritto
parlando della trasformazione
dei movimenti politici
in dipendenza della fine
delle ideologie.
Chi aveva la passione per la
politica non ha, però, smesso
di farla. Sono così nati i
partiti ad personam, i partiti
azienda, i movimenti locali
con velleità nazionali.
Lo scorso mese terminavo
il mio scritto
parlando della trasformazione
dei movimenti politici
in dipendenza della fine
delle ideologie.
Chi aveva la passione per la
politica non ha, però, smesso
di farla. Sono così nati i
partiti ad personam, i partiti
azienda, i movimenti locali
con velleità nazionali.
Il fenomeno non è solo italiano,
dato che tutta l’Europa
ha visto il prosperare di
partiti autonomisti portatori
di interessi regionali (o macroregionali)
i quali, dopo
un periodo di opposizione e
di collocamento a sinistra in
antitesi al governo centrale,
sono divenuti formazioni di
governo alleate di forze politiche
di centro destra sostenitrici
dell’unità nazionale,
riuscendo così a trarre benefici
sia dall’autonomismo
che dall’appartenere ad una
coalizione che teme di perdere
il potere se viene meno
quest’alleato scomodo.
E’ successo in Italia con la
Lega Nord così come era
avvenuto in Spagna con il
movimento catalano di Jordi
Pujol ed altrove.
Caduto il Muro di Berlino,
la velocità nelle comunicazioni
ha fatto sì che molti si
rendessero conto che vi erano
delle risorse naturali, del
tutto diverse da quelle tradizionali,
le quali possono essere
valorizzate esclusivamente
attraverso l’impegno e
la capacità delle comunità locali.
L’industria turistica, ad esempio,
ha fatto sì che un beduino
che vive nel deserto spenda in
un anno meno di quanto spenda
un turista per passare una
settimana nella sua tenda e riscoprire
la natura attraverso i
disagi quotidiani del primo. In
tutte le isole esotiche più turisticamente
«in» si organizzano
con successo escursioni ad
isolette deserte perché prive
delle risorse minime per la vita
umana a prezzi variabili da
30 a 50 dollari USA a persona.
Tali fenomeni non possono
però essere guidati solo dall’imprenditoria
o dall’individualismo,
in quanto l’uomo
ha necessità di una comunità
di riferimento. Le comunità
che si formano naturalmente
sono, oltre quelle familiari,
quelle del luogo dove si vive
stabilmente o si è nati, del
posto di lavoro, dello sport,
degli interessi extralavoro. Vi
sono poi le comunità religiose
e quelle dei partiti politici.
In Italia con il Concordato e
la rinuncia della Chiesa al
potere temporale i valori religiosi
sono diventati anche per
i partiti di ispirazione cattolica
un valore collettivo comune,
non già un obiettivo politico
da raggiungere.
Ne deriva che l’annacquamento
delle ideologie e la necessità
di trovare macrointeressi
aggreganti persone diverse
per età, sesso, interessi
personali, professione, ecc.
porta con sé che il minimo
comun denominatore non potrà
che essere l’interesse per
il corretto sviluppo di un territorio
o la figura di un leader
che abbia carisma, assicurando
nel contempo una gestione
condivisa del potere.
Lo capì il Parlamento, approvando
la legge sull’elezione
diretta dei sindaci.
E lo capì Roma, dando oltre
il 48% dei voti all’allora leader
missino, on. Gianfranco
Fini: la città fece capire che
era giunto, per l’Italia, il momento
di cambiare. Fu un fenomeno
passionale capitolino,
ma non fu una protesta
momentanea, bensì la manifestazione
di una necessità collettiva
dei Romani di porsi al
centro dell’attenzione, successivamente
dimostrata dagli
incredibili festeggiamenti per
lo scudetto della Roma del
2001.
La passione politica della società
civile romana del 1993
non era però alimentata dal
solo vento missino, ma anche
la coscienza di tale società
che il sistema tradizionale dei
partiti si avviava ad una svolta.
Fu così che l’allora MSI/DN
venne affiancato da una lista
nata nel giro di un mese e
formata da persone le quali,
prima di allora, mai si erano
candidate a cariche pubbliche
e venivano per lo più da esperienze
politiche diverse da
quella missina: Insieme per
Roma.
ll successo della lista fu rilevante
e solo la perversione
del meccanismo elettorale impedì
ai consensi di trasformarsi
in proporzionali consiglieri
comunali.
L’iniziativa costituì però un
insegnamento per tutti gli uomini
politici, i quali si diedero
poi tutti da fare per ottenere,
al loro fianco, l’appoggio
di liste civiche o ne formarono
delle proprie, distinte dai
partiti, quali la Lista Dini o la
Lista Di Pietro.
Roma ed il Lazio, viceversa,
tornarono a dormire, dato che
l’unico obiettivo politico dell’Ulivo
era (ed è) la cacciata
di Berlusconi, mentre il Centro
/ Destra si preoccupa di
non perdere l’alleanza con la
Lega, cioè quella forza politica
con uno spiccato programma
territoriale contrapposto a
quello della Capitale.
Ne è conseguito che, malgrado
la Regione Lazio sia stata
amministrata tanto bene da essere
una delle poche regioni
che utilizzi appieno i contributi
europei, gli uffici capitolini
di grandi strutture nazionali ed
internazionali chiudono per
trasferirsi a Milano o, comunque,
nel nord del Paese.
L’accentramento del traffico
aeroportuale alla Malpensa
piuttosto che presso il ben più
attrezzato ed efficiente Fiumicino
è solo uno dei tanti ulteriori
segnali che attualmente
non è il Mediterraneo ad essere
il centro dell’interesse dell’Europa.
Ma un’Europa al confine e
non al centro del Mediterraneo
significa un’Europa contrapposta
al mondo arabo in
una sorta di polveriera nella
quale due religioni monoteiste,
invece di ritrovarsi nel
Dio da entrambe riconosciuto,
esploderebbero in un conflitto
delle dimensioni imprevedibili
e del quale l’attentato alle
torri gemelle è solo un pallido
accenno.
Riaffermare la centralità di
Roma nell’Europa vuol dire
avvicinare il Parlamento di
Bruxelles al Mediterraneo e,
quindi, lavorare per la pace ed
il futuro dei nostri figli.
Riaffermare la centralità di
Roma in Italia non è fare solo
gli interessi della Capitale, ma
significa distribuire le risorse
nazionali in maniera omogenea,
risolvendo finalmente il
problema del sottosviluppo
del meridione che è conseguenza
anche di quello strapotere
delle nazioni dell’Europa
centrale che ieri portò a
definire l’Italia un’espressione
geografica e, oggi, vuole
Milano e non Roma capitale
economica d’Italia.
Ma un’Italia senza una Roma
politicamente ed economicamente
forte altro non è che
una nazione povera in mezzo
al mare con una Gallia Cisalpina
(o Padania, come l’ha ribattezzata
da Bossi nel tentativo
di dare una storia ad un territorio
privo di autonomia culturale)
collegata geograficamente
alle nazioni più ricche.
Ecco perché è necessario che
quella società civile che dieci
anni fa si trovò Insieme per
Roma si ricompatti e scenda
nuovamente in campo al fine
di assicurare al Lazio quella
forza e continuità politica necessaria
per ridare spinta non
tanto e non solo alla economia
locale, ma all’intera Nazione.
di Romolo Reboa
Avvocato del Foro di Roma