La Croce in croce
Date: Tuesday, February 08 @ 15:09:45 CET
Topic: 2003


Il rapporto tra un libero pensatore e la chiesa: un rapporto psicologicamente paritario nel quale ci si confronta e ci si giudica reciprocamente



Coloro i quali mi conoscono non superficialmente ben sanno che, in materia religiosa, sono un libero pensatore laico, con tradizioni familiari laiche e contrarie a quel potere temporale dei Papi che costituiva un ostacolo alla unità d’Italia.
Unità per raggiungere la quale la Famiglia Reboa pagò a suo tempo un caro prezzo in termini di esilio da Roma e della perdita di vite umane.
Il rapporto tra un libero pensatore e la chiesa, anzi le chiese, non deve essere assolutamente inteso come un anticlericalismo viscerale che impedisce il dialogo, bensì come un rapporto psicologicamente paritario nel quale ci si confronta e ci si giudica reciprocamente non già in base ad una adesione fideistica, ma ad un’analisi critica dei comportamenti via via tenuti.
In tale quadro il lettore si aspetterebbe parole a sostegno della ordinanza del Giudice di L’Aquila che, in nome della laicità dello stato, aveva ordinato la rimozione d’urgenza del crocifisso dall’aula di una scuola.
Provvedimento poi riformato in sede di reclamo.
Appare scontato affermare che il crocifisso è un simbolo religioso di cristianità e, quindi, non necessario in un’aula di una scuola laica: il problema è se sia necessario ed urgente sopprimerlo attraverso un provvedimento giurisdizionale che non viene ad incidere solo sul caso in esame, ma anche sulla possibilità di convivenza tra le singole comunità.
Si ritiene che il provvedimento con il quale il giudice di L’Aquila ha disposto la rimozione del crocifisso, sotto il profilo tecnico giuridico, abbia una motivazione apparentemente congrua sia con riferimento al requisito dell’urgenza che a quello del cosiddetto fumus boni juris, cioè l’apparenza della fondatezza giuridica della tesi del cittadino mussulmano che ha innescato la vicenda.
Non può, però, tacersi che i tre giudici i quali, dopo pochi giorni, hanno esaminato il relativo reclamo siano stati di parere opposto.
Non sfugge ad un giurista come la particolarità della materia renda possibili provvedimenti antitetici su entrambi i punti fondamentali della questione, senza che ciò sia illogico, in quanto il tutto rientra nella dialettica fisiologica del diritto.
Il problema è, quindi, di natura squisitamente politica, e cioè se sia corretto che il sistema consenta ad un singolo giudice di sostituirsi al Parlamento (o anche solo al Governo), operando scelte con implicazioni sociali tanto elevate.
Il principio della indipendenza dalla Magistratura dal potere politico dovrebbe portare ad una risposta affermativa: tuttavia tale indipendenza non può giungere sino al punto di creare diritto attraverso l’apparente interpretazione della volontà del legislatore.
E’ storicamente provato che l’Italia è un paese a maggioranza cattolica e che ha con la chiesa cattolica, in particolare, e con il cristianesimo, in generale, un rapporto sicuramente più intenso di quello che ha con gli altri culti.
Dopo la caduta dell’impero romano il cristianesimo è stato il minimo comun denominatore delle genti italiche ed europee: se Roma ed il potere temporale dei suoi papi sono stati messi in discussione, contestati e rifiutati, Gesù ha continuato a costituire un momento di unione tra i popoli d’Europa e non solo, atteso che anche la religione mussulmana lo annovera tra i suoi profeti.
La croce appartiene ormai al DNA degli europei, anche di quelli i quali si professano laici o non credenti. Infatti chi dichiara di rifiutarla o la contesta apertamente, afferma implicitamente che essa è l’essenza del nostro mondo, dato che essa è il punto di riferimento per motivare delle scelte anche ad essa antitetiche.
Anche il sig. Adel Smith, con il suo ricorso, ha affermato che il cristianesimo costituisce un punto di riferimento antitetico alle sue idee.
E, allora, può un singolo giudice arrogarsi il diritto di decidere che sia urgente che la comunità nazionale ed internazionale si liberi di colpo dei propri punti di riferimento e,con essi, di circa duemila anni di storia?
In questa vicenda non si sono in realtà tutelati gli interessi della figlia del sig. Adel Smith, strumento incolpevole della ricerca di notorietà da parte di suo padre e (forse) di un magistrato, bensì si è affermato che è urgente rimuovere dalle aule scolastiche un simbolo che costituisce l’ultimo dei beni rifugio di un’intera comunità, talvolta intimo, quasi segreto, ultima speranza di vita prima di morire.
Il Giudice Montanaro (il cui cognome è l’ironia della sorte per un provvedimento emesso in una città appenninica) ha violato il diritto della maggioranza della comunità italiana di evolvere il proprio sentire in materia religiosa nella convivenza tra tutte le religioni: egli non poteva non sapere che il suo provvedimento avrebbe provocato delle reazioni tanto forti da vanificare anche l’eventuale diritto del sig. Smith di ricevere l’insegnamento scolastico in un’aula priva di riferimenti alla comunità con la quale la ragazza deve comunque convivere ogni giorno.
E’ chiaro che, così facendo, non solo egli non ha dato giustizia ad alcuno, ma ha dato linfa vitale agli integralismi.
Così, quando alla xenofobia un giudice offre una arma potente ed ad essa estranea, quale la croce di Cristo, non è un caso se immediatamente saltino in Par- lamento accordi di altra natura faticosamente raggiunti ma che incidono sulle coscienze, quali quello sul cosiddetto divorzio veloce.
Ricordato che le comunità mussulmane sono tanto integrate nella società italiana da avere in Roma una moschea con un minareto alto quasi quanto la Basilica di San Pietro, si osserva che esse per prime hanno criticato l’iniziativa del sig. Smith ed il provvedimento del giudice Montanaro, ben comprendendone la portata destabilizzante.
La croce è un simbolo religioso che troppo a lungo il potere temporale della Chiesa di Roma ha utilizzato per battaglie politiche. Dai tempi delle Crociate agli odierni conflitti in Palestina, la storia del Santo Sepolcro è un tutt’uno con vicende di dominio di mercati e di aree geografiche le quali nulla hanno di religioso.
Evitiamo, allora, di metterla in croce, questa croce, lasciando alla sensibilità delle singole classi studentesche se quel simbolo sia giusto che stia dietro la cattedra del professore, nel corridoio o nascosto in un cassetto, non perché dia fastidio, ma solo perché la comunità preferisce avere nel proprio cuore i segni della propria religiosità.

Di Romolo Reboa
Avvocato del Foro di Roma







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