Il rapporto tra un libero
pensatore e la chiesa: un rapporto psicologicamente
paritario nel
quale ci si confronta e ci si
giudica reciprocamente
Coloro i quali mi conoscono
non superficialmente
ben sanno
che, in materia religiosa,
sono un libero pensatore
laico, con tradizioni familiari
laiche e contrarie a
quel potere temporale dei
Papi che costituiva un ostacolo
alla unità d’Italia.
Unità per raggiungere la
quale la Famiglia Reboa
pagò a suo tempo un caro
prezzo in termini di esilio
da Roma e della perdita di
vite umane.
Il rapporto tra un libero
pensatore e la chiesa, anzi
le chiese, non deve essere
assolutamente inteso come
un anticlericalismo viscerale
che impedisce il dialogo,
bensì come un rapporto psicologicamente
paritario nel
quale ci si confronta e ci si
giudica reciprocamente non
già in base ad una adesione
fideistica, ma ad un’analisi
critica dei comportamenti
via via tenuti.
In tale quadro il lettore si
aspetterebbe parole a sostegno
della ordinanza del
Giudice di L’Aquila che, in
nome della laicità dello stato,
aveva ordinato la rimozione
d’urgenza del crocifisso
dall’aula di una scuola.
Provvedimento poi riformato
in sede di reclamo.
Appare scontato affermare
che il crocifisso è un simbolo
religioso di cristianità e,
quindi, non necessario in
un’aula di una scuola laica:
il problema è se sia necessario
ed urgente sopprimerlo
attraverso un provvedimento
giurisdizionale che non viene
ad incidere solo sul caso
in esame, ma anche sulla
possibilità di convivenza tra
le singole comunità.
Si ritiene che il provvedimento
con il quale il giudice
di L’Aquila ha disposto la
rimozione del crocifisso,
sotto il profilo tecnico giuridico,
abbia una motivazione
apparentemente congrua sia
con riferimento al requisito
dell’urgenza che a quello del
cosiddetto fumus boni juris,
cioè l’apparenza della fondatezza
giuridica della tesi
del cittadino mussulmano
che ha innescato la vicenda.
Non può, però, tacersi che i
tre giudici i quali, dopo pochi
giorni, hanno esaminato
il relativo reclamo siano stati
di parere opposto.
Non sfugge ad un giurista
come la particolarità della
materia renda possibili provvedimenti
antitetici su entrambi
i punti fondamentali
della questione, senza che
ciò sia illogico, in quanto il
tutto rientra nella dialettica
fisiologica del diritto.
Il problema è, quindi, di natura
squisitamente politica, e
cioè se sia corretto che il sistema
consenta ad un singolo
giudice di sostituirsi al
Parlamento (o anche solo al
Governo), operando scelte
con implicazioni sociali tanto
elevate.
Il principio della indipendenza
dalla Magistratura dal
potere politico dovrebbe
portare ad una risposta affermativa:
tuttavia tale indipendenza
non può giungere sino
al punto di creare diritto attraverso
l’apparente interpretazione
della volontà del legislatore.
E’ storicamente provato che
l’Italia è un paese a maggioranza
cattolica e che ha con
la chiesa cattolica, in particolare,
e con il cristianesimo,
in generale, un rapporto
sicuramente più intenso di
quello che ha con gli altri
culti.
Dopo la caduta dell’impero
romano il cristianesimo è
stato il minimo comun denominatore
delle genti italiche
ed europee: se Roma ed il
potere temporale dei suoi
papi sono stati messi in discussione,
contestati e rifiutati,
Gesù ha continuato a
costituire un momento di
unione tra i popoli d’Europa
e non solo, atteso che anche
la religione mussulmana lo
annovera tra i suoi profeti.
La croce appartiene ormai al
DNA degli europei, anche di
quelli i quali si professano
laici o non credenti. Infatti
chi dichiara di rifiutarla o la
contesta apertamente, afferma
implicitamente che essa
è l’essenza del nostro mondo,
dato che essa è il punto
di riferimento per motivare
delle scelte anche ad essa
antitetiche.
Anche il sig. Adel Smith, con
il suo ricorso, ha affermato
che il cristianesimo costituisce
un punto di riferimento
antitetico alle sue idee.
E, allora, può un singolo
giudice arrogarsi il diritto di
decidere che sia urgente che
la comunità nazionale ed internazionale
si liberi di colpo
dei propri punti di riferimento
e,con essi, di circa
duemila anni di storia?
In questa vicenda non si sono
in realtà tutelati gli interessi
della figlia del sig.
Adel Smith, strumento incolpevole
della ricerca di
notorietà da parte di suo padre
e (forse) di un magistrato,
bensì si è affermato che è
urgente rimuovere dalle aule
scolastiche un simbolo che
costituisce l’ultimo dei beni
rifugio di un’intera comunità,
talvolta intimo, quasi
segreto, ultima speranza di
vita prima di morire.
Il Giudice Montanaro (il cui
cognome è l’ironia della
sorte per un provvedimento
emesso in una città appenninica)
ha violato il diritto
della maggioranza della comunità
italiana di evolvere il
proprio sentire in materia religiosa
nella convivenza tra
tutte le religioni: egli non
poteva non sapere che il suo
provvedimento avrebbe provocato
delle reazioni tanto
forti da vanificare anche l’eventuale
diritto del sig.
Smith di ricevere l’insegnamento
scolastico in un’aula
priva di riferimenti alla comunità
con la quale la ragazza
deve comunque convivere
ogni giorno.
E’ chiaro che, così facendo,
non solo egli non ha dato
giustizia ad alcuno, ma ha
dato linfa vitale agli integralismi.
Così, quando alla xenofobia
un giudice offre una
arma potente ed ad essa
estranea, quale la croce di
Cristo, non è un caso se immediatamente
saltino in Par-
lamento accordi di altra natura
faticosamente raggiunti
ma che incidono sulle coscienze,
quali quello sul cosiddetto
divorzio veloce.
Ricordato che le comunità
mussulmane sono tanto integrate
nella società italiana
da avere in Roma una moschea
con un minareto alto
quasi quanto la Basilica di
San Pietro, si osserva che
esse per prime hanno criticato
l’iniziativa del sig.
Smith ed il provvedimento
del giudice Montanaro, ben
comprendendone la portata
destabilizzante.
La croce è un simbolo religioso
che troppo a lungo il
potere temporale della Chiesa
di Roma ha utilizzato per
battaglie politiche. Dai tempi
delle Crociate agli odierni
conflitti in Palestina, la storia
del Santo Sepolcro è un
tutt’uno con vicende di dominio
di mercati e di aree
geografiche le quali nulla
hanno di religioso.
Evitiamo, allora, di metterla
in croce, questa croce, lasciando
alla sensibilità delle
singole classi studentesche se
quel simbolo sia giusto che
stia dietro la cattedra del professore,
nel corridoio o nascosto
in un cassetto, non
perché dia fastidio, ma solo
perché la comunità preferisce
avere nel proprio cuore i segni
della propria religiosità.
Di Romolo Reboa
Avvocato del Foro di Roma