Il patteggiamento si… allarga
Date: Tuesday, February 08 @ 15:22:04 CET
Topic: 2003


Le principali novità introdotte con la legge 134 del 12 giugno 2003 sull'applicazione della pena



La legge 134 del 12 giugno 2003 ha modificato profondamente la disciplina dell'istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti. La riforma, da tempo attesa, nelle fasi finali dei lavori parlamentari ha perso quella contingente e trasversale convergenza politica che ne aveva caratterizzato l'iniziativa e le prime discussioni istituzionali. La principale novità si concretizza in un vistoso innalzamento del limite della pena, posto a tetto massimo, per la richiesta del patteggiamento: «Cinque anni soli o congiunti a pena pecuniaria ». A questa, in apparenza, piccola scossa sismica necessariamente dovranno seguire nel lungo periodo una serie di scosse di assestamento che dovranno scandire l'avvenuta metabolizzazione della nuova disciplina da parte degli altri istituti che costituiscono, nel loro insieme, il processo penale. La scelta dell'efficienza come momento trainante della macchina processuale, in particolare dal punto di vista del principio della ragionevole durata del processo, si pone però in antitesi ad altri importanti principi che reggono il processo penale, tra i diversi: il principio del contraddittorio nella formazione della prova.
Come si può facilmente rilevare da una veloce lettura dell’articolato, il legislatore non ha ridisegnato un nuovo modello di rito. Il cuore, immutato, del patteggiamento rimane quello di essere una valida alternativa al rito ordinario strettamente caratterizzata dalla negoziazione della pena tra accusa e difesa. Il nuovo comma (1-bis) introduce nel tessuto dell'articolo 444 del codice di procedura penale una serie di situazioni in cui il legislatore esclude il ricorso al patteggiamento. Il suddetto limite, tuttavia, non opera in senso assoluto ma è diretto in modo esplicito ai casi in cui la pena determinata superi i due anni soli e congiunti a pena pecuniaria.
E' necessario evidenziare la decisione di suddividere i destinatari dei benefici derivanti dalla scelta del patteggiamento in due gruppi, utilizzando come momento discriminante l'entità della pena irrogata: nel primo rientrano i soggetti a cui viene irrogata una pena detentiva non superiore a due anni; nel secondo rientrano i soggetti a cui viene irrogata una pena detentiva superiore ai due anni. La riforma tende a creare così un doppio binario nella disciplina del patteggiamento idoneo a distinguere, in modo netto, i benefici riconosciuti in base alla «quantità» di pena irrogata.
L'articolo 3 della legge 134 del 2003 modifica, inoltre, l'articolo 629 del codice di procedura penale, estendendo l'istituto della revisione alle sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti.
Con questa disposizione il legislatore pone fine ad un forte contrasto, presente tra dottrina e giurisprudenza, in merito alla possibilità di estendere l’istituto della revisione alle sentenze frutto di «patteggiamento ». Tra le novità della riforma merita menzione il significativo aumento (raddoppio) delle soglie edittali delle pene sostitutive che determinerà un conseguente ed inevitabile riassetto di equilibri e ruoli nel rapporto tra il patteggiamento e il giudizio abbreviato. Il legislatore, dopo aver individuato nell'articolo 57 della legge 689 del 1981 i criteri che il giudice deve adottare nella sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria, impone di determinare l'ammontare della pena pecuniaria individuando il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l'imputato e di moltiplicare quest'ultimo per i giorni di pena detentiva.
Nonostante l'apparente cura di particolari, la legge in esame non si sofferma a chiarire, per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, almeno due ordini di problemi che probabilmente non tarderanno a creare dei momenti di contrasto nell'attuazione pratica della disciplina. Il primo è l’individuazione degli strumenti che in concreto si devono utilizzare per la determinazione e la verifica del parametro utilizzato per la quantificazione del «valore giornaliero ». Il secondo è l'esatto ruolo e «peso» del giudice e delle parti nella determinazione dell'ammontare del «valore giornaliero », in particolare in situazioni di disaccordo tra questi ultimi. Come si può notare anche quest’ultima scelta del legislatore è tesa a rilanciare il ruolo del patteggiamento nell'economia del processo penale. Ogni aspetto della riforma induce a compiere una profonda rilettura non solo del rapporto intercorrente tra i riti «alternativi » ma anche tra questi ultimi e un rito «ordinario » che viene relegato sempre più ad un ruolo secondario e di eccezione.
In conclusione, il patteggiamento «allargato» appare come l’ennesimo tentativo attuato dalle forze politiche di tappare alcune falle di un sistema processuale in difficoltà a causa dell'enorme carico di procedimenti, aperti con sempre più vigore e chiusi con sempre maggiore difficoltà. Il rischio, però, è quello di rincorrere, come assetati in un deserto, un miraggio, affascinante nella sua dimensione immaginaria e deludente nella sua inconsistenza materiale, di un’efficienza esclusivamente aritmetica tralasciando di curare un altro tipo di efficienza che nel diritto è misurata attraverso valutazioni più complesse e ricche di variabili che comunemente vengono tutte ricondotte all’interno di quel particolare «metro» definito «Giustizia».

Di Leo Stilo







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