Quanti anni prima di capire questo messaggio
Quanto, la trasformazione
della
realtà, costantemente
in movimento, sia
di fatto da noi stessi per
primi sempre negata.
Quanto, la paura della trasformazione,
ci faccia legare
a cose vuote di passioni
ma dense di obblighi
e di rituali, e come molto
spesso tutta la nostra vita
sia un susseguirsi di liturgie
dove l’emozione è un
ospite sgradito, ed accettato
solo a parole.
La paura di trascorrere, di
mutare stadio, di capire se
stessi, il difficile compito
di sbrogliare la matassa
delle emozioni della nostra
infanzia, di conoscere e di
comprendere, profondamente,
le scintille che ci
creano le emozioni.
A quali stimoli esse siano
legate e come il lato inconscio
delle emozioni sia
senza eguale, perché composto
di quella prima sensazione,
di quell’imprinting,
che si è affermato nel
nostro Io fanciullo.
Se tutto questo è dimostrato,
al di là di mere ipotesi,
da una copiosa letteratura
scientifica, allora perché
non immaginare un corso
di sostegno, di ausilio alla
vita di coppia, quando sia
in arrivo un bimbo.
Il miracolo della vita dell’uomo,
la sua futura serenità,
ed il suo vivere in un
purgatorio od in un inferno
emotivo, sono legati
agli esseri che gli hanno
dato la vita.
La genesi esperienziale
nell’uomo non è legata solo
al riconoscimento della
realtà ed all’apprendimento
delle tecniche di sopravvivenza,
come per gli
animali, ma comprende
anche, e soprattutto, le
modalità di riconoscimento
dell’affetto nel suo futuro
ripresentarsi.
Ed una coppia genitoriale,
attraversata da turbamenti
getterà le basi per gli
stress affettivi dei figli.
Tali turbamenti sono assolutamente
slegati all’evento
della separazione e sono
costituiti dall’incapacità
di dare quel genuino
riconoscimento, quell’affetto
regalato al figlio perché
effettivamente desiderato,
a quell’incapacità di
far sentire il bimbo al suo
posto, degno del suo status,
quel non difenderlo
da cose ed emozioni che
non appartengono alla sua
età (adultizzazione, complesso
dell’infermiera).
La mancanza di questi
scambi emozionali, veramente
vissuti e comunicati
per via empatica e comportamentale
al figlio, e
non solo ripetute con mere
fasi che celebrano la famiglia,
potranno sviluppare
nel successivo adulto
comportamentalità compulsive
alle quali non potrà
sottrarsi, e che saranno
tanto più difficili da risolvere,
tanto più profondamente
rimosse (dal bambino
per sopravvivere ed
adattarsi).
La società, da che mondo
è mondo, quasi inconsciamente
si è resa conto di
come la figura della famiglia
“mulino bianco” sia
un’utopia, e quindi si è difesa,
proprio per meglio
tutelare la sua stessa essenza,
sviluppando una
serie di patti, contratti,
giuramenti, che vanno e
durano, oltre la vita affettiva
di una coppia, come
se la tutela di questa, “formalmente”
in vita, sia l’unica
tutela da poter dare ai
bimbi.
Certo, nessuno si nasconde
le difficoltà nell’operare
una consapevolizzazione
sociale del mondo familiare
su vasta scala, ma
il negare ogni approccio al
problema spostando le
aree di intervento su tematiche
formalistico-obbligatorie,
o sviluppare dissertazioni
sulla necessità della
presenza della diade genitoriale
nella vita del minore,
senza per altro far
nulla affinché gli adulti
comprendano meglio cosa
significhi quell’ “esser genitori”,
è colpevolmente
miope.
Forse il turbamento comportamentale,
la difficoltà
nel saper vivere ed affrontare
le emozioni, quella
paura di soffrire che attraversa,
come un brivido, la
nostra società del benessere,
è indotta proprio perché
operare per la sua soluzione
significherebbe avere
esseri umani meno influenzabili,
e più capaci di decidere
in via autonoma.
Non può sfuggire a nessuno
la circostanza che l’ansia
e la paura ci impongono
dei comportamenti
sempre più omologanti ed
omologati, mentre la serenità
ed una maggior consapevolezza
ci consente di
scegliere ciò che effettivamente
si vuole: la compagna
od il compagno di una
vita, un lavoro e la scelta
di un “modo di vivere” più
equilibrato, a misura d’uomo
appunto!
di Giorgio Vaccaro
Avvocato del Foro di Roma, Presidente del Circolo Psicogiuridico