L'Avvocatura, il vessillo della
libertà degli individui.
Con il rinvio alle Camere
da parte del
Presidente della Repubblica
la riforma dell’ordinamento
giudiziario voluta
dal governo Berlusconi
è andata per il momento
in soffitta, salvo l’impegno
del premier a riapprovarla
con semplici correzioni entro
febbraio 2005.
Staremo a vedere. Per il
momento l’ordinamento
giudiziario resta quello voluto
dal Fascismo, emendato
in senso antimeritocratico
negli anni successivi:
è incredibile, per alcuni
settori della Magistratura
Benito Mussolina è divenuto
la linea del Piave contro
Silvio Berlusconi.
Chi scrive ritiene che
.
Ergo tale vessillo non solo
deve essere presente lì
ove si assumono decisioni
importanti per la libertà
ed i diritti, ma deve sventolare
nella posizione più
alta in uno stato che si definisca
democratico e scriva
in tutte le aule che «la
giustizia è amministrata
in nome del popolo».
Invero l’aver consentito attraverso
un esame scarsamente
selettivo l’accesso alle
professioni forense ad una
miriade di laureati in giurisprudenza
i quali, essendo
disoccupati, si arrabattano
con pratiche e pratichette al
fine di sbarcare il lunario
non giova certo alla dignità
ed al ruolo della toga: tuttavia
chi ha il coraggio (o la
necessità) di autorganizzarsi
il lavoro e di rispondere quotidianamente
del proprio
operato al cliente che lo paga
ha, comunque, un habitat
mentale e culturale che lo
porta a difendere quella libertà
che costituisce il mezzo
di sostentamento di una attività
che, altrimenti, non
avrebbe ragione di esistere.
Quindi nessuno potrà affermare
che il ridotto livello
culturale o, anche, etico di
alcuni esercenti la professione
forense (ma, poi,
quanti sono di fronte al numero
degli avvocati?) costituisca
legittimo motivo per
sminuire il ruolo dell’Avvocatura
all’interno del sistema
giustizia.
Il problema è che tale categoria,
essendo costituita da
una somma di uomini liberi,
non ha la capacità di far valere
il proprio ruolo e, priva
di leaders capaci di infiammarne
i cuori, preferisce
compatirsi pensando alle
occasioni perdute piuttosto
che attivarsi perché tali
eventi non si verifichino. E,
qui, il problema della necessità
di giungere comunque
ad un risultato per incassare
le parcelle fa spesso rinunciare
ad opporre quelli che
dovrebbero essere dei rifiuti
quotidiani in difesa della
propria dignità.
La riforma dell’ordinamento
giudiziario è stata, sinora,
una delle più grandi occasioni
perdute da parte dell’Avvocatura.
In primo luogo per il grande
tema, quello della separazione
delle carriere.
Va innanzitutto chiarito che
l’obiettivo della separazione
delle carriere non è un regalo
al sig. Silvio Berlusconi,
il quale sabotò il referendum
che avrebbe consentito
di pervenire in via diretta a
tale risultato, ma un atto dovuto
alla volontà popolare
che, tramite il Parlamento,
ha modificato l’art. 111 della
Costituzione, introducendo,
all’attuale 2° comma, le
parole «ogni processo si
svolge nel contraddittorio
tra le parti, in condizioni di
parità, davanti a giudice
terzo e imparziale».
Non è necessario essere dei
giuristi per comprendere che,
ragionando di massimi sistemi,
due appartenenti al medesimo
ordine, due colleghi,
difficilmente siano da considerare
terzi tra di loro.
Quindi il primo problema
costituzionale non è di separazione
di carriere, ma di
appartenenza al medesimo
ordine. Il che significa che,
ove per l’esercizio della
funzione di Pubblico Ministero
non si voglia creare
una nuova, diversa ed autonoma
categoria di Magistrati,
così come lo sono i Giudici
Amministrativi o i Giudici
Contabili, le norme sulla
separazione delle carriere
dovranno essere rigide, tanto
da rendere i due ruoli impermeabili
tra di loro.
Ma questa dovrebbe essere la
linea del Piave dell’Avvocatura
e di tutti gli uomini liberi
su questo tema nel rispetto
dell’art. 111 Cost.: né si dica
che l’appartenenza del P.M.
ad una diversa categoria di
Magistrati farebbe venire
meno la cultura della giurisdizione,
trasformando i PM
in poliziotti.
Fermo restando che tale timore
non sembra essere presente
nel legislatore, il quale
senza particolari contrasti tra
maggioranza ed opposizione
ha consentito ai funzionari di
PG di esercitare le funzioni
di PM avanti al Giudice di
Pace, si osserva che la cultura
della giurisdizione non ha
impedito sinora gli eccessi
da parte dei PM e che, anzi,
una separazione netta dei
ruoli esalterebbe la figura del
Giudice, in particolare del
GIP, che diverrebbe anche a
livello di percezione popolare
il custode imparziale della
giustizia e della libertà.
Peraltro l’appartenenza ad
una categoria, quella dei Magistrati
dell’accusa, porterebbe
gli stessi ad una specializzazione
tale da assicurare alla
giustizia maggiori successi.
Del resto, per porre un
freno ad iniziative avventate,
basterebbe valutare le carriere
dei P.M. alla luce delle
statistiche sulle istanze accusatorie
accolte o rigettate, tenendo
conto dei tre gradi di
giudizio, fatto che, sui grandi
numeri, costituisce sicuramente
un dato oggettivo
quantomeno in ordine all’equilibrio
comportamentale di
una persona.
Né la circostanza che il Presidente
Ciampi, nel proprio
messaggio alle Camere, abbia
ritenuto che una tale forma
di monitoraggio sarebbe
in contrasto con l’art. 112
Cost. che sancisce l’obbligatorietà
dell’azione penale è
ostativa ad un similare provvedimento.
Infatti anche
Ciampi, pur essendo un ottimo
Presidente della Repub-
blica, può commettere un errore
giuridico e, nella fattispecie,
lo ha commesso, atteso
che il monitoraggio non
ostacola l’azione penale, ma
verifica solo che l’esercizio
di questa sia stato ritenuto
dai Giudici corretto: né criticare
un pensiero del Presidente
deve essere vietato o
ritenuto una sorta di lesa
maestà, atteso che il sistema
repubblicano è inspirato a
principi opposti.
Vi è poi la questione dei
consigli giudiziari, nei quali
la riforma sull’ordinamento
giudiziario prevedeva la
presenza di Avvocati, ma li
escludeva poi da quelle funzioni
rilevantissime per l’esercizio
equilibrato della
giustizia, quelle della vigilanza
e della formulazione
di pareri sul comportamento
dei magistrati.
Il che significa che agli Avvocati,
rappresentanti della
libertà, è stato dato il cosiddetto
«contentino», offrendo
una carica senza il reale
potere di controllo.
Su questo l’Avvocatura è rimasta
silente, ormai succube
di un sistema che tende a
relegarla al ruolo di parte
sopportata del procedimento
giurisdizionale.
Qualcuno forse tace temendo
che venga toccata la propria
pagnotta: ma, così facendo,
si rinuncia alla libertà fondamentale,
quella di azione.
Avvocatura, se ci sei, batti
un colpo.
Di Romolo Reboa
Avvocato del Foro di Roma