Esame di Stato, dibattito sempre aperto
Date: Wednesday, February 23 @ 14:30:10 CET
Topic: 2003


InGiustizia mantiene aperto il dibattito sull’esame di stato per l’abilitazione e sulle riforme in atto pubblicando in questo numero una lettera che propone uno dei punti di vista dei praticanti italiani.



Faccio riferimento al Suo articolo dal titolo «Una riforma assolutamente vitale» pubblicato su «Ingiustizia, la Parola al Popolo» dello scorso aprile, da me recentemente letto.
Richiamo alcuni tratti del Suo articolo, e li analizzo applicandoli al mio caso, di «praticante coatto» abilitato da oltre tre anni, ancor privo dell’agognato titolo.
«…È davvero assurdo che migliaia di avvocati siano giudicati tali da commissioni del sud Italia… semianalfabeti abilitati in sedi poco serie… Inoltre, sarebbe opportuno che la figura del praticante avvocato sia svuotata di ogni potere difensivo… Il praticante non deve poter difendere nessuno in giudizio ».
Come scritto in precedenza, vivo nello stato di praticante coatto da diversi anni: affronto l’esame di abilitazione a Roma con scarsi risultati, come potrà immaginare.
Ciò nonostante, nel mio status di abilitato posso permettermi una folta clientela, composta da persone fisiche e società.
Inoltre collaboro con il mio studio riscuotendo successi e congratulazioni da Suoi eminenti Colleghi, che, come avvenuto, talvolta hanno copiato di sana pianta dei miei atti. Pago l’IVA e la Cassa come Lei.
Resta il problema di aver fatto una scelta personale, ovvero quella di voler affrontare e ripetere a tutti i costi l’esame a Roma. Ciò dipende soprattutto da motivi di lavoro, che mi impediscono un trasferimento presso le sedi da Lei giudicate «poco serie ». Molti miei colleghi ed ex colleghi (in quanto divenuti avvocati) si sono invece trasferiti presso tali sedi, ove sono in procinto o hanno recentemente superato l’esame.
Quanto alla Sua prima osservazione, inerente la facilità di acceso alla professione al sud, non avverto il peso della problematica così come da Lei illustrata.
La scelta dei miei colleghi (resa vana dal decreto di riforma in via di approvazione) è stata determinata dell’immane difficoltà di accesso alla professione mediante l’esperimento della prova dell’esame a Roma, Milano etc., causa gli ostacoli a Noi noti. Ma quale è (anzi era) la retta via? Se compariamo il nostro sistema di accesso alla professione forense con quelli dei paesi dell’intera Europa, ci accorgiamo delle ingiuste disparità di trattamento, che travalicano il nostro buon diritto di conseguire il titolo.
Allora quale è il sistema giusto, quello che promuove solo poche centinaia di praticanti, o quello che consente l’accesso alla professione mediante un esame pro forma? Perché architetti, ingegneri ed altri professionisti possono ottenere l’abilitazione dopo la laurea mediante un semplice esame e noi no?! Non appare tantomeno condivisibile il Suo punto di vista sulla situazione dei giovani avvocati che hanno superato gli esami al sud: non credo che un laureato in giurisprudenza possa essere definito un semianalfabeta.
Tralascio ogni considerazione sulle Sue proposte di impedire lo svolgimento degli esami al sud, ma in merito Le dico una cosa: sono sicuro che Lei, quando ha fatto l’esame di abilitazione, non ha portato come materia di esame il Diritto Costituzionale.
Quanto poi alla Sua seconda considerazione, contenente l’auspicio di impedire l’esercizio del potere difensivo ai praticanti abilitati, sappia che in tal modo verrebbe lesionato il diritto di tante persone che, come me, vivono di questo lavoro pur trovandosi nel limbo dell’abilitazione, e che vogliono superare l’esame a Roma.
In conclusione, La invito ad una più serena considerazione dei Suoi ex colleghi.

Di Mirko Bernard







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