Roma, la storia, la memoria
Date: Wednesday, February 23 @ 14:51:17 CET
Topic: 2003


Bertinotti e Bossi hanno in comune una dote, quella della coerenza politica che li porta a non sot- tomettere le proprie idee alla ragion di stato



Liquidare le periodiche uscite contro «Roma ladrona» di Umberto Bossi come un fenomeno folcloristico o come le intemperanze di una sorta di bambino discolo, come tenta di fare Silvio Berlusconi, può anche essere un ottimo espediente mediatico per tentare di evitare che le polemiche scatenate dal leader leghista facciano da cassa di risonanza alle sue tesi, ma certamente non è la soluzione di un problema con il quale la politica italiana convive da almeno dieci anni.
Né si pensi che la cosa riguardi esclusivamente il centro destra, alleato con la Lega e scottato dall’esperienza del 1994, in quanto i successivi governi Prodi, D’Alema ed Amato tentarono di raggiungere accordi con Bossi e fu a causa dell’impossibilità di un dialogo costruttivo con lui che si trovarono nella morsa della coerenza politica di Bertinotti.
Si potrebbe affermare che Bertinotti e Bossi, oltre ad avere in comune la B iniziale del loro cognome, hanno in comune una dote, quella della coerenza politica che li porta a non sot- tomettere le proprie idee alla ragion di stato.
Se non può negarsi che vi sia un fondo di vero in ciò, analogamente non può omettersi di fare alcune considerazioni.
Le idee di Bertinotti sono figlie di un pensiero politico e filosofico che ha caratterizzato nel bene e nel male la vita del XX secolo e continua ad influire sull’economia e sulla storia del terzo millennio, mentre le posizioni di Bossi sono le figlie di un mal di pancia che esalta gli egoismi locali in una visione regionalistica della politica e, come tale, storicamente limitata.
Altresì la ragion di stato non è solo una scusa per insabbiare inchieste o mettere a tacere istanze provenienti dalla base, ma può essere anche un qualcosa di estremamente positivo, cioè il sottomettere alcuni interessi individuali di fronte all’interesse superiore della collettività di vivere in pace e prosperità.
E’ evidente che, per un uomo politico, può essere spesso difficile conciliare le proprie idee e le promesse elettorali con la ragion di stato. Per farlo bisogna essere degli statisti, non dei semplici politicanti.
Oppure bisogna avere il coraggio di non accettare incarichi incompatibili anche solo con certe affermazioni pubbliche: è infatti evidente che diverso è il ruolo del leader politico di un partito di opposizione da quello di un ministro della Repubblica.
Altresì non può negarsi che si ponga un problema di compatibilità tra il giuramento di fedeltà ad una Repubblica che afferma nella propria costituzione di avere in Roma la propria capitale.
Repubblica che, a propria volta, è la continuazione di un regno d’Italia formatosi sul principio risorgimentale di Roma capitale.
Vi è un sillogismo nella storia della nostra nazione: Italia eguale Roma capitale. Il che significa che chi si pone in contrasto con tale concetto può essere una persona rispettabilissima ed è sicuramente libero di parlare in uno stato democratico, ma dovrebbe coerentemente rinunciare alla cittadinanza italiana o, quantomeno, alle cariche ed ai privilegi a lui attribuiti da quella «Roma ladrona» che tanto osteggia.
Oppure egli non parli di coerenza e, allora, se il Presidente del Consiglio lo bacchetta come un bambino discolo, ridicolizzandolo così di fronte all’opinione pubblica, ed egli accetta le bacchettate, è palese che non ci si trova di fronte ad un uomo dello spessore politico che si richiederebbe non già ad uno statista, ma al semplice sindaco di un comune capoluogo di provincia.
Fare politica è, anche, avere memoria. Avere memoria significa conoscere la storia.
Sia la storia d’Italia che la storia della vittoria del centro destra portano a Roma.
Quel Carroccio che è il simbolo della Lega è parte della storia del Risorgimento italiano il cui presupposto non è stato certo creare uno stato padano o riproporre in chiave moderna l’Italia dei Comuni, ma raggiungere l’unità d’Italia con Roma capitale.
Se l’on. Bossi afferma il contrario, significa che ignora la storia, fatto che legittima nei suoi confronti la definizione di politico ignorante che spesso riceve da parte di oppositori (ed alleati).
Ma anche se si vuole passare sopra la storia risorgimentale in nome di un modernismo che, invero, non è certamente uno delle prerogative della Lega, non può negarsi che la storia dei successi del centro destra nasce da Roma, dalla scelta dei Romani di portare al ballottaggio per la carica di sindaco capitolino Gianfranco Fini, che, alla guida del MSI / DN, enunciava il progetto di Alleanza Nazionale in uno alla lista civica Insieme per Roma.
Fu quel quasi 50 % dei consensi e quel vento di entusiasmo per il progetto missino (che si riprometteva di cambiare il sistema con lo slogan «non restaurare, non rinnegare ») che indusse Silvio Berlusconi a pronunciarsi in favore di Gianfranco Fini. E fu quello stesso vento che proveniva da Roma a portare nel 1994 gli attivisti del Carroccio ad assumere a Montecitorio la carica di deputato, trasformando un movimento locale di minoranza in una forza politica di governo.
E’ l’inno di Mameli a ricordarci che l’Italia è «schiava di Roma», perché senza la capitale e la sua storia millenaria essa sarebbe null’altro che una «espressione geo- grafica», così come la definì Bismark, dimostrando che non solo Bossi, anche un grande cancelliere può essere incapace di leggere il messaggio che porta il vento.
Milano, così come nessuna altra città d’Italia, mai potrà avere quel prestigio indispensabile per guidare un paese a livello internazionale.
Milano, senza Roma, non sarebbe il cuore italiano degli affari, ma solo una importante città del centro sud dell’Europa.
Una politica intelligente nell’interesse dello sviluppo di Milano e del Nord è quella di rispettare la geografia, cioè di fare di tali regioni il punto di passaggio obbligato di un centro sud ricco e prosperoso, dove Roma, anche dal punto di vista stradale, dovrebbe essere il centro economico di un’Italia a sua volta al centro del Mediterraneo, non una città che difende i suoi posti di lavoro di fronte all’esodo delle aziende verso il nord.
Perché il vivere da ricco in un fortino circondato da poveri è passare la propria esistenza in una prigione dorata, non vivere in prosperità.
Capirlo significa comprendere perché il Cristianesimo ha preservato Roma dalla caduta di tutti gli imperi.

Di Romolo Reboa
Avvocato del Foro di Roma







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