Alle radici dell'odio
Date: Wednesday, September 22 @ 22:37:29 CEST
Topic: Articolo


Il titolo utilizzato, "Alle radici dell'odio", può apparire esagerato e pretestuoso, eppure tenta di esprimere in modo semplice l'esigenza di comprensione che avverto ogniqualvolta mi trovo di fronte alle notizie di un nuovo disaccordo/scontro, in materia di diritto penale sostanziale e processuale, tra i rappresentanti dell'ordine giudiziario e quelli del potere legislativo.



Dopo essermi infervorato, penso come molti in questi ultimi tempi, e aver preso alternativamente posizione a favore delle ragioni dell'una o dell'altra parte, mi sono chiesto se sotto queste pseudo-discussioni, in realtà, vi sia un problema di fondo che vada oltre il semplice e fisiologico antagonismo tra poteri chiamati a rivestire ruoli fondamentali per l'esistenza stessa del nostro Stato. Sollevando il velo delle discussioni "più gettonate" (si pensi ad es.:l'esigenza di neutralità o di apoliticità del giudice; l'esigenza di una separazione delle carriere in magistratura; l'iniquità di alcune leggi fatte, o non fatte, ad hoc per soddisfare delle esigenze personali del legislatore di turno…) ci si accorge che l'attenzione è stata rapita dalle sovrastrutture derivate dall'esistenza di un ben più grave ed inquietante dilemma.

Uno degli elementi portanti di un moderno e civile diritto penale è rappresentato dal principio di legalità: vincolo imprescindibile tanto per il legislatore che per il magistrato. Questo principio contiene in sé la risposta ad uno dei quesiti più angosciosi della nostra civiltà giuridica: solo il fatto previsto dalla legge come reato è realmente tale (legalità formale), oppure può essere considerato reato ciò che si configura come socialmente pericoloso sebbene non espressamente previsto come tale da una legge (legalità sostanziale)? Se da un lato il principio di legalità formale tende ad evitare l'arbitrio del potere esecutivo e del potere giudiziario esercitando una forte funzione di garanzia, dall'altro il principio di legalità, inteso in senso sostanziale, permette: di punire ciò che è considerato antisociale, o non punire ciò che non è considerato antisociale, prescindendo dalla sua formale previsione legislativa. Osservando la storia dell'Europa, si può notare che il principio di legalità formale trova un riconoscimento ed una pedissequa osservanza nelle epoche storiche di stasi o di lenta evoluzione, in cui la società poggia su principi sedimentati e generalmente condivisi. Al contrario, " nei periodi di profondi sconvolgimenti sociali e nelle società in transizione, in cui l'evoluzione della realtà sociale è più rapida della possibilità e volontà di riforme legislative, tale principio entra fatalmente in crisi a favore del contrapposto principio della legalità sostanziale…e in queste fasi storiche la c.d. apoliticità del giudice entra fatalmente in crisi poiché sia che egli rimanga fedele alla legge scritta sia che attinga il diritto da fonti extralegislative, si presenta pur sempre espressione di un ordine che non riflette più un generale consenso." (MANTOVANI, Diritto penale, IV ed.,Torino, 2001).

Le radici dell'odio hanno trovato il terreno fecondo nel disordine discendente dalla crisi dello Stato, provocata dall'incapacità di trovare ed affermare dei saldi valori su cui poggiare il "diritto". In questo momento di incertezza dalla società proviene un urlo che si cristallizza nell'aria in una richiesta di giustizia. Questa voce viene immediatamente percepita, assorbita e metabolizzata, creando una sorta di "corrispondenza d'amorosi sensi" con i cittadini, dai primi fruitori ed elargitori di giustizia; la magistratura nel tentativo di tappare le falle di un lento e macchinoso apparato produttivo di leggi, pone in essere una vera attività creativa del diritto cercando, tra le righe della Costituzione, dei principi politici a cui dare un'immediata applicazione giurisprudenziale. Questi tentativi sono rivolti sia ad incriminare fatti non direttamente riconducibili ad espresse norme di legge, si pensi ad esempio all'incriminazione degli atti sessuali non consensuali in cui non è presente la "violenza o minaccia", sia ad affermare la non corrispondenza di un fatto, ad es. la sterilizzazione non reversibile, ad una fattispecie legale descrivente un fatto costitutivo di reato.

La storia del secolo appena trascorso è testimone del pericolo insito nell'abbandono, anche parziale, del rigido principio del nullum crimen nulla poena sine lege a favore della ricerca di una maggiore giustizia. Il ricordo vola alla metamorfosi subita dal codice penale liberale tedesco del 1871, trasformato nel codice totalitario nazista con una modifica, terribile nella sua semplicità formale, del parag. 2 nel 1935: bastò affermare che la pena dovesse essere irrogata a chiunque avesse commesso un fatto che costituisse reato secondo il pensiero fondamentale della legge penale e secondo il "sano sentimento del popolo". Mi rendo conto di aver toccato alcuni temi di grande importanza in modo forse troppo semplicistico e di questo chiedo perdono agli Studiosi del diritto. Lo scopo di questo breve scritto è quello di far percepire ed intravedere, anche in minima parte, ai non addetti ai lavori i gravi problemi irrisolti posti alle radici delle attuali discussioni tra i massimi poteri dello Stato. Non ho una soluzione da far uscire, per magia, dal cilindro, astrattamente idonea a risolvere questi annosi problemi, ma l'unica cosa che riesco a fare in quest'epoca di incertezze è di attaccarmi, come "ostrica allo scoglio", alla fede nel principio sancito dall'articolo 25 della Costituzione: "Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso".

di Leo Stilo







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