La selva oscura
Date: Friday, March 18 @ 17:48:39 CET
Topic: 2002


I recenti arresti operati dalla Magistratura nell’ambito dell’inchiesta sulla sezione fallimentare del Tribunale di Firenze pongono all’attenzione nazionale una problematica che questa testata esamina da alcuni mesi senza esservi stata indotta da eventi di rilevanza penale: quello della trasparenza degli incarichi giudiziari.



I recenti arresti operati dalla Magistratura nell’ambito dell’inchiesta sulla sezione fallimentare del Tribunale di Firenze pongono all’attenzione nazionale una problematica che questa testata esamina da alcuni mesi senza esservi stata indotta da eventi di rilevanza penale: quello della trasparenza degli incarichi giudiziari.
Chi scrive si augura che presto, nella patria di Dante Alighieri, si dimostri infondata l’accusa dell’esistenza di connivenze tra magistrati assegnati alla sezione fallimentari, professionisti e curatori di fallimenti.
L’eventuale assoluzione di tutti gli indagati non risolverebbe però il problema di natura politico / amministrativa posto dalla clamorosa iniziativa della Procura della Repubblica, cioè quello delle modalità di assegnazione degli incarichi da parte della Magistratura.
Nelle curatele fallimentari, così come negli arbitrati e negli altri incarichi minori o meno conosciuti, il giudice spesso racchiude in sé la medesima persona fisica che assegna l’incarico (o approva le proposte delle persone da lui nominate), controlla l’operato del proprio coadiutore e, poi, liquida i compensi in maniera di fatto discrezionale.
Nella maggioranza dei casi il tutto avviene in perfetta buona fede e nel rispetto di quei canoni di onestà propri delle persone che rivestono tali alti incarichi, ma alcune volte i sani principi non sono sufficienti a preservare l’essere umano da errori, mentre altre volte le cosiddette mele marce hanno fatto sì che i giornali parlassero della mafia di questa o quella sezione di un ufficio giudiziario.
Anche perché, in molti casi, non è sufficiente che il giudice sia una persona onesta e non commetta errori, atteso che egli non può fisicamente gestire o anche solo controllare tutto ciò che ruota intorno determinati affari delicati. E l’esperienza insegna che, per certe cose, è più utile un usciere che un dirigente... L’entità dei compensi di una persona nominata componente o presidente di un collegio arbitrale di medio valore economico supera abbondantemente il reddito annuo di un «normale » professionista, così come un fallimento con un rilevante attivo può consentire al suo curatore di acquistare un appartamento con le parcelle a lui spettanti.
Se poi ai compensi previsti dalle tabelle si aggiunge il fatto che vi possono essere per il curatore dei «ritorni» dall’aver «sponsorizzato» la nomina di questo o quel professionista per degli incarichi (anche di difesa) la utilità dei quali magari appare dubbia agli osservatori competenti, sarà facile anche per il semplice cittadino comprendere, ad esempio, perché le sezioni fallimentari dei tribunali siano spesso additate a sospetto.
Altre sezioni sono finite sui giornali per fatti ai quali la figura del giudice è totalmente estranea: è infatti sufficiente che, da un fascicolo depositato in cancelleria, «sparisca» una perizia di un’immobile sottoposto ad esecuzione perché la vendita si blocchi, mentre una descrizione dello stato del bene eccessivamente «pessimista» potrà facilmente scoraggiare i potenziali acquirenti. Ciò non è una novità per il legislatore, che non a caso nel codice penale ha previsto il reato di turbativa d’asta.
Di fronte a fatti ad essa estranei, quali le «sparizioni » di documenti, la Magistratura si sta difendendo con l’informatica, come dimostra la recente scannerizzazione dei fascicoli delle sezioni immobiliari, mentre di fronte ai criteri delle assegnazioni degli incarichi l’interlocutore trova un tabù dialettico, quasi che, parlandone, commetta un peccato di lesa maestà.
Probabilmente, così come lo fu allorché l’opinione pubblica affrontò la questione degli incarichi arbitrali ai magistrati, il problema, per essere risolto, non può essere posto su scala locale, ma deve essere affrontato dal legislatore a livello nazionale.
E’ sicuramente inaccettabile che, nell’era dell’informatica e della cosiddetta trasparenza, per verificare se quel curatore, quel perito o quell’avvocato abbiano ricevuto uno o cento incarichi, magari tutti dal medesimo giudice, occorra una indagine della Procura della Repubblica.
Nessuno, nemmeno i presidenti dei tribunali (almeno nei grandi fori), è in grado di conoscere il giro di affari che trova origine dalle nomine giudiziarie.
E non si tratta solo di grandi arbitrati o curatele fallimentari, ma di una miriade di piccoli e medi incarichi dei quali nulla si conosce.
La nomina di un amministratore di condominio avviene in caso di incapacità dell’assemblea a cura del Tribunale, così come quella di un curatore di un’eredità giacente. E, ancora, circa il 50% delle cause civili vede l’intervento di un CTU, cioè di un professionista (commercialista, ingegnere, geometra, ecc.) che redige una perizia tecnica o contabile o stima un bene.
Altrettanto avviene nel processo penale, ove poi vi sono le amministrazioni dei beni degli imputati sospetti di reati mafiosi che sono gli incarichi più lucrosi (oltre che pericolosi).
Per accedere ad alcuni incarichi è necessario essere iscritti nell’elenco dei con- sulenti tecnici (o dei periti) dell’ufficio giudiziario, mentre per accedere ad altri è sufficiente segnalare la propria disponibilità. In entrambi i casi, in assenza di un’opera di «lobbismo», è molto difficile che il professionista sia chiamato a svolgere alcunché di rilevante economicamente.
Ciò, sotto alcuni profili, è naturale, in quanto il giudice dovrebbe nominare professionisti affidabili e tale requisito si acquisisce solo attraverso la conoscenza personale: tuttavia l’esperienza insegna che, molte volte, i nominati sono abili solo a procacciare incarichi a loro stessi piuttosto che a svolgere il loro lavoro.
A tutela della figura della immagine della medesima Magistratura occorre quindi una regolamentazione nazionale per le assegnazioni che tenga conto del valore degli incarichi e dei livelli di capacità in dipendenza di titoli, anzianità e organizzazione professionale, risultati, con un registro contenente l’annotazione dei risultati medesimi e del numero degli incarichi Forse, così, Firenze sarà utile per uscire da una selva oscura cui Dante appare estraneo.

di Romolo Reboa
Avvocato del Foro di Roma







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