Mentre queste righe vengono
scritte, la cosiddetta
«legge Cirami» è ancora in
discussione alla Camera
dei Deputati, dopo essere
stata approvata al Senato al
termine di un virulento
scontro tra le forze politiche
che non ha risparmiato
la figura del Presidente del
Senato, cioè della seconda
carica dello Stato.
Mentre queste righe vengono
scritte, la cosiddetta
«legge Cirami» è ancora in
discussione alla Camera
dei Deputati, dopo essere
stata approvata al Senato al
termine di un virulento
scontro tra le forze politiche
che non ha risparmiato
la figura del Presidente del
Senato, cioè della seconda
carica dello Stato.
Ritengo che vi siano delle
considerazioni comuni alle
persone intellettualmente
libere, sia se esse abbiano
votato Polo sia se abbiano
votato Ulivo e, all’interno
dei due schieramenti, sia se
la scelta stata pro o contro
Berlusconi o pro o contro
Rutelli: il direttore d’orchestra
dei tempi della discussione
è il processo di Milano
a carico dell’on. Previti
e del Presidente del Consiglio.
Il reale problema politico
che si pone è se ciò sia o
meno un fatto nuovo, cioè
non conosciuto dagli Italiani
al momento in cui essi
sono andati a votare, e se
tale comportamento costituisca
un fatto di ingiustizia
sostanziale e quindi sia
passibile di censura se non
legale, quantomeno sotto il
profilo morale del conflitto
di interessi.
La campagna elettorale,
piuttosto che sulle proposte
per il futuro e sull’esame dei
risultati ottenuti dalla maggioranza
che aveva vinto
nella precedente legislatura,
è stata impostata dall’Ulivo
in un referendum pro o contro
Berlusconi, raggiungendo
una sorta di intesa mediatica
con il leader del Polo che ha
imposto al proprio team di
incentrare su di lui anche la
campagna dei candidati locali.
Tutte le problematiche giudiziarie
dell’attuale Presidente
del Consiglio sono state passate
al setaccio ed utilizzate
per affermare la incompatibilità
tra l’uomo e la carica:
nemmeno satira ed ironia
hanno risparmiato il leader
del Polo, inondando il web e
gli amanti della carta stampata
di immagini parodia dei
manifesti della campagna
elettorale di Berlusconi, alcuni
dei quali talmente ben
fatti da ritenere che il destinatario,
risultato vincente
nella competizione, dovrebbe
conferire un premio ai loro
autori che hanno contributo
forse involontariamente
ad accrescerne la popolarità.
Molti Pubblici Ministeri
hanno accusato Berlusconi
ed i suoi più affidati collaboratori
di reati anche gravi: è
noto che le persone prive di
cultura o sensibilità giuridica
recepiscono mediaticamente
le semplici accuse come una
condanna che non può essere
eseguita solo perché ostacolata
dalla presunzione costituzionale
di innocenza. Il richiamo
animalesco del sangue
è troppo forte nell’uomo,
anche in quello moderno,
che guarda comodamente
seduto in poltrona i reportage
di guerra o i bombardamenti
in diretta che hanno
fatto la fortuna della CNN,
così come prima assisteva
alle lotte tra i gladiatori al
Colosseo o cercava la prima
fila nelle piazze ove la ghigliottina
(o la mannaia di
Mastro Titta o la forca) facevano
«giustizia».
Malgrado l’istinto giustizialista
del popolo ed una campagna
mediatica che ha di
fatto associato la facciata
del Tribunale di Milano con
il volto di Silvio Berlusconi,
egli ha ricevuto dagli elettori
una maggioranza superiore
a quella alla quale, probabilmente,
nel proprio intimo
anch’egli credeva.
Quindi il problema che si
pone non è quello della conoscenza
o meno, da parte
degli elettori, dei problemi
giudiziari di Berlusconi, ma
della legittimità, sotto il profilo
della giustizia sostanziale,
di una azione parlamentare
finalizzata ad evitare il
rischio che la eventuale sentenza
di condanna trovi origine
nascosta nella volontà
di distruggere la figura di
Berlusconi leader del Polo
piuttosto che censurare suoi
comportamenti quale imprenditore.
E qui nasce un legittimo sospetto
diverso da quello in
discussione alla Camera,
cioè se la statura dei leaders
e dei cosiddetti intellettuali
d’assalto dell’Ulivo sia
conforme al ruolo che rivestono
o vorrebbero ricoprire
o se essi, in realtà, siano
delle quinte colonne che
Berlusconi utilizza per delegittimare
in ogni caso una
sentenza a lui sfavorevole.
Il ragionamento è semplice.
La Costituzione riconosce ai
Magistrati la possibilità di
candidarsi alle competizioni
elettorali e di ritornare ad
esercitare le funzioni giurisdizionali
al termine dei loro
mandati. Quindi i Magistrati
altro non sono che esseri
umani laureati in giurisprudenza
che hanno superato
un selettivo concorso pubblico
ed assunto una funzione
che impone loro determinati
comportamenti ed attribuisce
loro un notevole potere.
Essi sono però, pur
sempre, degli esseri umani,
con le loro passioni politiche
e sportive, pulsioni, vizi,
così come è giusto che sia.
Giustizia, che è una parola
universalmente presente
nella maggioranza delle coscienze,
ma è anche un concetto
astratto e legato a luoghi,
usi e costumi: è quindi
umano che alcuni Magistrati
possano interpretare la legge
ispirati dalle proprie convinzioni
piuttosto che a
principi di moderazione che
facilitano la convivenza, ma
potrebbero essere sentiti da
alcuni come la negazione
della giustizia o della volontà
del legislatore di realizzare
un certo modello di
stato.
Anche la Magistratura spesso
sottolinea che ciò che dovrebbe
tutelare il cittadino
sia dagli errori che dai possibili
abusi è il sistema giudiziario
inteso nel proprio
complesso, con le sue garanzie,
i suoi controlli, i
suoi gravami, nel quale si
inserisce la legge in discussione
alla Camera.
Si è affermato che la «legge
Cirami» avrebbe, in realtà,
lo scopo di bloccare sine
die i processi che abbiano
quali imputate persone che
possono spendere patrimoni
nella loro difesa. Il testo approvato
al Senato porta a ritenere
tale timore non
infondato: tuttavia, ove l’Ulivo
avesse impostato la
propria battaglia parlamentare
non già contro il provvedimento,
ma in favore di
un emendamento giuridicamente
logico e che il Polo
si è dichiarato disponibile a
recepire, cioè la sospensione
del processo solo per il
breve e perentorio termine
assegnato alla Cassazione
per giudicare la ammissibilità
del ricorso, il problema
sarebbe stato risolto ed i richiami
all’Italia al rispetto
della Convenzione dei diritti
dell’Uomo dai quali la
norma comunque tra spunto
potrebbero trovare posto
nell’ordinamento con il
consenso di tutti.
Una sentenza di condanna
di Berlusconi che il comportamento
dell’Ulivo renderebbe
sospetta non farebbe
bene all’Italia e di ciò
sono consapevoli gli uomini
di tutte le parti che hanno il
senso dello Stato e dell’Italia
unita: perché, allora, cercare
a tutti i costi di dividere
il Paese?
di Romolo Reboa
Avvocato del Foro di Roma