Tra tariffe forensi disattese
e incalzanti studi di settore, le situazioni presunte con gli studi di settore
sono lontane dalla realtà
Le nuove tariffe forensi
approvate dopo
dieci anni di
blocco con il Decreto del
Ministro della Giustizia
contengono ancora il principio
secondo cui gli onorari
e i diritti stabiliti per le
prestazioni dei procuratori
e gli onorari minimi stabiliti
per le prestazioni degli
avvocati sono inderogabili.
Le nostre tariffe sono dunque
costantemente tenute
sotto controllo del Consiglio
Nazionale Forense che
ha natura e funzioni di ente
pubblico e, quando vengono
approvate dal Ministro
della Giustizia divengono
atto normativo, di natura
regolamentare.
Veniamo dunque agli studi
di settore e cominciamo a
comprendere quanta importanza
oggi rivesta la
corretta applicazione della
nostra tariffa professionale.
Se da un lato lo Stato per i
fini d’imposizione fiscale
sta operando in maniera
essenzialmente statistica,
che pur essendo un metodo
idoneo a calcolare i grandi
numeri non potrà mai rappresentare
una scienza in
grado di cogliere le situazioni
individuali, a meno
di usare la vecchia storia
del “mezzo pollo ciascuno”,
dall’altro, noi avvocati,
che così molto e male
siamo rappresentati dai nostri
colleghi in parlamento,
dobbiamo prenderne atto e
cercare di attuare qualche
contro misura. Tutti noi
siamo tenuti a contribuire
fiscalmente secondo i nostri
redditi; ma per farlo
dobbiamo ottenere dalla nostra attività i giusti compensi.
Si da il caso però
che per la magistratura (togata
ed onoraria) ormai è
divenuta una consuetudine,
salve le poche dovute eccezioni,
quella di abbattere
pesantemente, in sede giudiziale
e non, le nostre notule,
molto spesso ben al di
sotto degli “inderogabili
minimi tariffari”, quando
addirittura non arrivando
ad elargire somme risibili,
come ultimamente sta accadendo
di fronte ad un
certo numero di Giudici di Pace. Inoltre, ciò non bastasse
si sta spesso verificando
un abuso non motivato
della possibilità (motivatamente
discrezionale)
di compensazione delle
spese. Tutto questo deve
ormai essere visto non solo
da un punto di vista critico-
fatalista, come in tanti
nella nostra professione indulgono
a fare. Oggi, e
non solo da oggi, sono proprio gli studi di settore
che ci impongono una reazione.
Non appare legittimo
che gli organi fiscali
dello stato (Ministero,
Agenzie delle Entrate) non
tengano in conto che altri
organi o rappresentanti di
funzioni statali (amministrazione
della Giustizia)
non applichino correttamente
le tariffe forensi.
Inoltre, ancor peggio, che
coloro che sono chiamati
ad applicare quelle tariffe
non tengano in alcun conto
che su tali tariffe (presumo
che esse siano state realmente
prese in considerazione
nell’elaborazione degli
studi di settore) vengano
desunti gran parte degli
elementi statistici per valutare
presuntivamente il
reddito. Si potrebbe addirittura
paventare l’ipotesi di un procurato “danno fiscale”,
per il giudice che
immotivatamente riduca
una parcella correttamente
redatta da un avvocato. E
non valga la tesi che la statuizione
del giudice sia
vincolante solo per il soccombente,
sia perché la
posizione del soccombente
appare ben delineata nella
tariffa, sia perché qualsiasi
avvocato corretto e intelligente non usa addossare al
proprio cliente quanto non
liquidatogli dal giudice, in
specie in cause di poco valore.
Se lo facesse penalizzerebbe
oltremodo il proprio
assistito facendogli ottenere
la classica “vittoria
di Pirro” e, non cosa da
poco, perderebbe il proprio
cliente. Ma anche visto
dalla parte dell’erario il
comportamento del giudice
potrebbe dar luogo a quella
che potremmo chiamare
“induzione indiretta all’evasione
fiscale” Mi spiego!
Se il contribuente viene
costretto o indotto ad ottenere
per sentenza somme
inferiori a quelle a lui spettanti
per atto normativo regolamentare
(le tariffe forensi),
peraltro in un clima
europeo di massimo stimolo
alla concorrenza (anche
sleale, n.d.r), il medesimo non sarà che costretto a
non rispettare i parametri
(individualmente ciechi)
degli studi di settore con
l’ulteriore conseguenza di
dover affrontare estenuanti
contenziosi o forzosi condoni
(con danno evidente
anche per l’erario). Ci troviamo
allora di fronte ad
un circolo vizioso. Chi può
negare infatti che ad impossibilia
nemo tenetur?
di Settimio Catalisano
Avvocato del Foro di Roma,
componente dell'Osservatorio
sulla Giustizia del Consiglio
dell'Ordine degli Avvocati
di Roma