Vincoli per gli avvocati
Date: Monday, March 28 @ 00:00:00 CEST
Topic: 2005


Tra tariffe forensi disattese e incalzanti studi di settore, le situazioni presunte con gli studi di settore sono lontane dalla realtà



Le nuove tariffe forensi approvate dopo dieci anni di blocco con il Decreto del Ministro della Giustizia contengono ancora il principio secondo cui gli onorari e i diritti stabiliti per le prestazioni dei procuratori e gli onorari minimi stabiliti per le prestazioni degli avvocati sono inderogabili.
Le nostre tariffe sono dunque costantemente tenute sotto controllo del Consiglio Nazionale Forense che ha natura e funzioni di ente pubblico e, quando vengono approvate dal Ministro della Giustizia divengono atto normativo, di natura regolamentare.
Veniamo dunque agli studi di settore e cominciamo a comprendere quanta importanza oggi rivesta la corretta applicazione della nostra tariffa professionale.
Se da un lato lo Stato per i fini d’imposizione fiscale sta operando in maniera essenzialmente statistica, che pur essendo un metodo idoneo a calcolare i grandi numeri non potrà mai rappresentare una scienza in grado di cogliere le situazioni individuali, a meno di usare la vecchia storia del “mezzo pollo ciascuno”, dall’altro, noi avvocati, che così molto e male siamo rappresentati dai nostri colleghi in parlamento, dobbiamo prenderne atto e cercare di attuare qualche contro misura. Tutti noi siamo tenuti a contribuire fiscalmente secondo i nostri redditi; ma per farlo dobbiamo ottenere dalla nostra attività i giusti compensi.
Si da il caso però che per la magistratura (togata ed onoraria) ormai è divenuta una consuetudine, salve le poche dovute eccezioni, quella di abbattere pesantemente, in sede giudiziale e non, le nostre notule, molto spesso ben al di sotto degli “inderogabili minimi tariffari”, quando addirittura non arrivando ad elargire somme risibili, come ultimamente sta accadendo di fronte ad un certo numero di Giudici di Pace. Inoltre, ciò non bastasse si sta spesso verificando un abuso non motivato della possibilità (motivatamente discrezionale) di compensazione delle spese. Tutto questo deve ormai essere visto non solo da un punto di vista critico- fatalista, come in tanti nella nostra professione indulgono a fare. Oggi, e non solo da oggi, sono proprio gli studi di settore che ci impongono una reazione.
Non appare legittimo che gli organi fiscali dello stato (Ministero, Agenzie delle Entrate) non tengano in conto che altri organi o rappresentanti di funzioni statali (amministrazione della Giustizia) non applichino correttamente le tariffe forensi.
Inoltre, ancor peggio, che coloro che sono chiamati ad applicare quelle tariffe non tengano in alcun conto che su tali tariffe (presumo che esse siano state realmente prese in considerazione nell’elaborazione degli studi di settore) vengano desunti gran parte degli elementi statistici per valutare presuntivamente il reddito. Si potrebbe addirittura paventare l’ipotesi di un procurato “danno fiscale”, per il giudice che immotivatamente riduca una parcella correttamente redatta da un avvocato. E non valga la tesi che la statuizione del giudice sia vincolante solo per il soccombente, sia perché la posizione del soccombente appare ben delineata nella tariffa, sia perché qualsiasi avvocato corretto e intelligente non usa addossare al proprio cliente quanto non liquidatogli dal giudice, in specie in cause di poco valore.
Se lo facesse penalizzerebbe oltremodo il proprio assistito facendogli ottenere la classica “vittoria di Pirro” e, non cosa da poco, perderebbe il proprio cliente. Ma anche visto dalla parte dell’erario il comportamento del giudice potrebbe dar luogo a quella che potremmo chiamare “induzione indiretta all’evasione fiscale” Mi spiego! Se il contribuente viene costretto o indotto ad ottenere per sentenza somme inferiori a quelle a lui spettanti per atto normativo regolamentare (le tariffe forensi), peraltro in un clima europeo di massimo stimolo alla concorrenza (anche sleale, n.d.r), il medesimo non sarà che costretto a non rispettare i parametri (individualmente ciechi) degli studi di settore con l’ulteriore conseguenza di dover affrontare estenuanti contenziosi o forzosi condoni (con danno evidente anche per l’erario). Ci troviamo allora di fronte ad un circolo vizioso. Chi può negare infatti che ad impossibilia nemo tenetur?

di Settimio Catalisano
Avvocato del Foro di Roma, componente dell'Osservatorio sulla Giustizia del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma







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