Il treno veloce dell’ingiustizia
Date: Monday, March 28 @ 00:00:00 CEST
Topic: 2005


Nelle aule dei tribunali si amministra la giustizia, non si dà giustizia: è un concetto molto semplice, che deriva dalla constatazione che quello della giustizia è un concetto etico diversamente interpretato dai popoli, i quali spesso lo traducono in leggi la cui corretta applicazione viene demandata al controllo dei tribunali.



Nelle aule dei tribunali si amministra la giustizia, non si dà giustizia: è un concetto molto semplice, che deriva dalla constatazione che quello della giustizia è un concetto etico diversamente interpretato dai popoli, i quali spesso lo traducono in leggi la cui corretta applicazione viene demandata al controllo dei tribunali.
Anzi, per la verità, vi sono stati (islamici) nei quali le leggi principali non sono nemmeno scritte da un parlamento, ma vengono ritenute emanate direttamente da Dio (Allah), che le ha comunicate agli uomini tramite il proprio profeta (Maometto), i cui interpreti (i religiosi) le traducono in precetti concreti (la sharia).
Ve ne sono altri nei quali i precedenti giurisprudenziali assumono un rilievo prevalente (paesi di Common Law), tanto che l’attività legislativa è limitata rispetto alle nazioni le quali si rifanno prevalentemente al diritto romano ed alla legislazione bonapartista che ha consentito ai suoi principi di essere ancora attuali (code Napoleon).
Vi è poi la legge naturale, che per molte religioni, trova origine nella Bibbiae nei dieci comandamenti, i quali, peraltro, sono stati tramandati dal cattolicesimo (attraverso il Catechismo di S. Pio X per la preparazione ai sacramenti) in maniera diversa rispetto al testo originario, a dimostrazione della possibilità di evoluzione codificata anche dei fondamenti del vivere civile.
Peraltro, mentre l’evoluzione della società occidentale e l’emancipazione femminile pongono sul tappeto il quesito se vi sia attuale rispondenza tra l’intimo sentire della gente ed alcuni comandamenti tramandati dal catechismo, società le quali si rifanno all’interpretazione biblica condannano comportamenti in Italia ritenuti una dimostrazione di un profondo sentimento religioso, quali, ad esempio, l’iconoclastia.
Anche se il limitato spazio di un articolo non consente un accurato approfondimento di concetti in relazione ai quali nei secoli sono state scatenate sanguinose guerre, si ritiene che queste poche righe siano state sufficienti per dimostrare come il concetto di giustizia vari da società a società e da epoca ad epoca.
Nelle aule dei tribunali si deve verificare la rispondenza di umani comportamenti a norme emanate dagli uomini nell’esercizio del loro potere di governo, spesso con una tecnica legislativa superficiale: fatto che consente di affermare che le stesse a volte non solo non corrispondono a giustizia, ma nemmeno alla volontà di chi le aveva proposte. Vi è un brocardo latino, tot capita, tot sententia, che significa letteralmente tante teste, tante sentenze, che già da solo consente di comprendere come la giustizia non possa essere considerata un valore assoluto. I maliziosi lo hanno poi maccheronicamente tradotto in capita di tutto nelle sentenze, ma la filosofia insita nell’espressione non cambia.
L’ampia possibilità dei Magistrati di interpretare crea molta incertezza su quello che potrebbe essere l’esito di una decisione finale, sicché in una sentenza può capitare di tutto, anche che orientamenti consolidati di massimi uffici giudiziari siano liquidati con quattro apodittiche righe da altri componenti dei medesimi uffici, i quali così diverranno i promotori o di un nuovo orientamento giurisprudenziale o di un contrasto insanabile all’interno di autorità che dovrebbero garantire giustizia.
Viceversa, amministrando la giustizia, ci si dovrebbe rendere conto che una corretta evoluzione interpretativa del diritto non può che avvenire attraverso atti ampiamente motivati, i quali consentano al cittadino di comprendere quali comportamenti egli deve tenere: tuttavia il sistema italiano e l’ordinamento attuale della Magistratura non consentono efficaci rimedi ad episodi distorsivi.
Quindi il distacco tra il sentimento popolare, di per sé mutevole, e l’amministrazione della giustizia è spesso enorme, ampliato allorché al procedimento giudiziario si aggiunga il processo mediatico, che si svolge spesso solo acquisendo informazioni più o meno fondate all’interno delle Procure della Repubblica.
Informazioni che i mass media trasformano in verità pesanti come macigni.
Vi sono poi informazioni vere le quali attendono solo i tempi della giustizia per essere confermate, contro le quali si agitano gli scudi cartacei di formalismi nati per assicurare, attraverso la correttezza delle procedure, il rispetto dei diritti, ma che vengono distorti sino al punto di divenire la garanzia della illegalità o dell’impunità.
Nell’era dell’elettronica, la velocità con la quale possono essere legittimamente verificati dei dati non corrisponde spesso né al tempo necessario per dare valenza giuridica a tali verifiche, né a quello ancora più lungo di trasformare i risultati di una verifica in una sentenza.
Così avviene che il treno dell’ingiustizia e dell’illegalità passi davanti al cittadino veloce e travolgente ed egli si senta indifeso di fronte ad eventi nei confronti dei quali può opporre solo l’azione di Don Chicotte contro i mulini a vento.
In una società moderna ove tutto si consuma con tempi brevissimi, l’ingiustizia è estremamente più rapida della amministrazione giudiziaria macchinosa, spesso incerta e contrastante nelle proprie decisioni.
Il male è fisiologico e non riguarda il solo sistema giudiziario italiano: quindi, è difficile trovare una cura che porti alla guarigione.
Il problema è che, quando queste cure vengono ricercate e faticosamente tradotte in ipotesi di norme, il siste-anch’essa fisiologica: si chiude a riccio, autorizzando di fatto solo riforme le quali, in nome della celerità delle decisioni, vanno ad incidere esclusivamente sulla motivazione dei provvedimenti e sulla loro collegialità, riducendo il sistema dei controlli.
Tutte le riforme del sistema giudiziario precedenti all’attuale governo hanno operato nel senso di ridurre la collegialità delle decisioni e di rendere la motivazione di quest’ultima più sommaria e stringata al fine di accelerare i tempi necessari per ottenere una sentenza.
Tuttavia anche il governo Berlusconi, attraverso depenalizzazioni e modifiche dei tempi prescrizionali, non sembra avere intrapreso una strada diversa, salvo quella delle riforme dell’ordinamento giudiziario e dell’ordinamento della giustizia minorile, entrambe naufragate in tempi e con modalità diverse.
In tale quadro il distacco tra l’amministrazione della giustizia ed i cittadini non solo è comprensibile, ma anch’esso fisiologico: occorrerebbe capire che in un paese con una malattia cronica così grave la pacifica convivenza potrebbe sfaldarsi all’improvviso, come fu per il Muro di Berlino.

di Romolo Reboa
Avvocato del Foro di Roma







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