Nelle aule dei tribunali
si amministra
la giustizia, non si
dà giustizia: è un concetto
molto semplice, che deriva
dalla constatazione che
quello della giustizia è un
concetto etico diversamente
interpretato dai popoli,
i quali spesso lo traducono
in leggi la cui corretta
applicazione viene
demandata al controllo
dei tribunali.
Nelle aule dei tribunali
si amministra
la giustizia, non si
dà giustizia: è un concetto
molto semplice, che deriva
dalla constatazione che
quello della giustizia è un
concetto etico diversamente
interpretato dai popoli,
i quali spesso lo traducono
in leggi la cui corretta
applicazione viene
demandata al controllo
dei tribunali.
Anzi, per la verità, vi sono
stati (islamici) nei quali
le leggi principali non
sono nemmeno scritte da
un parlamento, ma vengono
ritenute emanate direttamente
da Dio (Allah),
che le ha comunicate agli
uomini tramite il proprio
profeta (Maometto), i cui
interpreti (i religiosi) le
traducono in precetti concreti
(la sharia).
Ve ne sono altri nei quali i
precedenti giurisprudenziali
assumono un rilievo
prevalente (paesi di Common
Law), tanto che l’attività
legislativa è limitata
rispetto alle nazioni le
quali si rifanno prevalentemente
al diritto romano
ed alla legislazione bonapartista
che ha consentito
ai suoi principi di essere
ancora attuali (code Napoleon).
Vi è poi la legge naturale,
che per molte religioni,
trova origine nella Bibbiae nei dieci comandamenti, i
quali, peraltro, sono stati
tramandati dal cattolicesimo
(attraverso il Catechismo
di S. Pio X per la preparazione
ai sacramenti) in
maniera diversa rispetto al
testo originario, a dimostrazione
della possibilità di
evoluzione codificata anche
dei fondamenti del vivere
civile.
Peraltro, mentre l’evoluzione
della società occidentale
e l’emancipazione femminile
pongono sul tappeto il
quesito se vi sia attuale rispondenza
tra l’intimo sentire
della gente ed alcuni
comandamenti tramandati
dal catechismo, società le
quali si rifanno all’interpretazione
biblica condannano
comportamenti in Italia ritenuti
una dimostrazione di
un profondo sentimento religioso,
quali, ad esempio,
l’iconoclastia.
Anche se il limitato spazio
di un articolo non consente
un accurato approfondimento
di concetti in relazione
ai quali nei secoli sono
state scatenate sanguinose
guerre, si ritiene che queste
poche righe siano state sufficienti
per dimostrare come
il concetto di giustizia
vari da società a società e
da epoca ad epoca.
Nelle aule dei tribunali si
deve verificare la rispondenza
di umani comportamenti
a norme emanate dagli
uomini nell’esercizio del
loro potere di governo,
spesso con una tecnica legislativa
superficiale: fatto
che consente di affermare
che le stesse a volte non solo
non corrispondono a giustizia,
ma nemmeno alla
volontà di chi le aveva proposte.
Vi è un brocardo latino, tot
capita, tot sententia, che significa
letteralmente tante
teste, tante sentenze, che
già da solo consente di
comprendere come la giustizia
non possa essere considerata
un valore assoluto. I
maliziosi lo hanno poi maccheronicamente
tradotto in
capita di tutto nelle sentenze,
ma la filosofia insita nell’espressione
non cambia.
L’ampia possibilità dei Magistrati
di interpretare crea
molta incertezza su quello
che potrebbe essere l’esito
di una decisione finale, sicché
in una sentenza può capitare
di tutto, anche che
orientamenti consolidati di
massimi uffici giudiziari
siano liquidati con quattro
apodittiche righe da altri
componenti dei medesimi
uffici, i quali così diverranno
i promotori o di un nuovo
orientamento giurisprudenziale
o di un contrasto
insanabile all’interno di autorità
che dovrebbero garantire
giustizia.
Viceversa, amministrando la
giustizia, ci si dovrebbe rendere
conto che una corretta
evoluzione interpretativa del
diritto non può che avvenire
attraverso atti ampiamente
motivati, i quali consentano
al cittadino di comprendere
quali comportamenti egli
deve tenere: tuttavia il sistema
italiano e l’ordinamento
attuale della Magistratura
non consentono efficaci rimedi
ad episodi distorsivi.
Quindi il distacco tra il sentimento
popolare, di per sé
mutevole, e l’amministrazione
della giustizia è spesso
enorme, ampliato allorché
al procedimento giudiziario
si aggiunga il processo
mediatico, che si svolge
spesso solo acquisendo
informazioni più o meno
fondate all’interno delle
Procure della Repubblica.
Informazioni che i mass media
trasformano in verità
pesanti come macigni.
Vi sono poi informazioni
vere le quali attendono solo
i tempi della giustizia per
essere confermate, contro le
quali si agitano gli scudi
cartacei di formalismi nati
per assicurare, attraverso la
correttezza delle procedure,
il rispetto dei diritti, ma che
vengono distorti sino al
punto di divenire la garanzia
della illegalità o dell’impunità.
Nell’era dell’elettronica, la
velocità con la quale possono
essere legittimamente
verificati dei dati non corrisponde
spesso né al tempo
necessario per dare valenza
giuridica a tali verifiche, né
a quello ancora più lungo di
trasformare i risultati di una
verifica in una sentenza.
Così avviene che il treno
dell’ingiustizia e dell’illegalità
passi davanti al cittadino
veloce e travolgente ed
egli si senta indifeso di
fronte ad eventi nei confronti
dei quali può opporre
solo l’azione di Don Chicotte
contro i mulini a vento.
In una società moderna ove
tutto si consuma con tempi
brevissimi, l’ingiustizia è
estremamente più rapida
della amministrazione giudiziaria
macchinosa, spesso
incerta e contrastante nelle
proprie decisioni.
Il male è fisiologico e non
riguarda il solo sistema giudiziario
italiano: quindi, è
difficile trovare una cura
che porti alla guarigione.
Il problema è che, quando
queste cure vengono ricercate
e faticosamente tradotte
in ipotesi di norme, il siste-anch’essa
fisiologica: si chiude
a riccio, autorizzando di
fatto solo riforme le quali,
in nome della celerità delle
decisioni, vanno ad incidere
esclusivamente sulla motivazione
dei provvedimenti
e sulla loro collegialità, riducendo
il sistema dei controlli.
Tutte le riforme del sistema
giudiziario precedenti all’attuale
governo hanno
operato nel senso di ridurre
la collegialità delle decisioni
e di rendere la motivazione
di quest’ultima più
sommaria e stringata al fine
di accelerare i tempi necessari
per ottenere una sentenza.
Tuttavia anche il governo
Berlusconi, attraverso
depenalizzazioni e modifiche
dei tempi prescrizionali,
non sembra avere intrapreso
una strada diversa, salvo
quella delle riforme dell’ordinamento
giudiziario e dell’ordinamento
della giustizia
minorile, entrambe naufragate
in tempi e con modalità
diverse.
In tale quadro il distacco tra
l’amministrazione della giustizia
ed i cittadini non solo
è comprensibile, ma anch’esso
fisiologico: occorrerebbe
capire che in un
paese con una malattia cronica
così grave la pacifica
convivenza potrebbe sfaldarsi
all’improvviso, come
fu per il Muro di Berlino.
di Romolo Reboa
Avvocato del Foro di Roma