La Mediazione Familiare: una risorsa concreta alla quale bisogna dare dignità di legge
Sempre più numerosi
sono i riferimenti
sulle riviste specializzate
e sulla stampa, anche
quotidiana, che fanno
riferimento alla Mediazione
Familiare, come possibile
via di soluzione alle
problematiche della crisi
della famiglia.
Si fa un gran parlare dell’esperienza
di alcuni Paesi
europei od extra europei,
che hanno già previsto
la Mediazione Familiare
come risorsa concreta
offerta agli utenti.
Ma la nostra attenzione,
nell’esaminare il problema
della riforma del diritto
di famiglia (negli
aspetti della separazione
e del divorzio) non può
essere sviata da altre
realtà, e non tener ben
presente il contesto sociale
e culturale e i principi
del diritto, che caratterizzano
la esperienza italiana.
Posta questa premessa,
necessaria per fermare sul
nascere ogni tentativo di
far passare come battaglie
condivisibili quelle che
tentano di privatizzare tutto
il contenzioso familiare,
(vista l’impossibilità di
una visione che non tenga
presente il diritto e le tutele
offerte dalla giurisdizione,
nella verifica degli interessi
connessi alla soluzione
di continuità della
famiglia) è evidente a tutti
che è arrivato il momento
di dare dignità di legge alla
Mediazione Familiare.
E tale dignità, a parere
dello scrivente, deve essere
propedeutica a qualunque
inserimento dell’istituto
della Mediazione Familiare,
nel nostro ordinamento.
Diversamente, il campo
della Mediazione Familiare
verrebbe invaso, come
campo nuovo di mercato,
da mille soggetti non
aventi requisiti professionali
omogenei tra loro, con
conseguente disarmonia
delle risposte agli utenti, e
con conseguente endemico
fallimento della soluzione
prospettata.
In altre parole, non si può
prevedere l’utilità di una
soluzione e la validità del
suo percorso, senza prima
avere tracciato i requisiti
di formazione dei professionisti
che si dovranno
occupare della gestione di
questa risorsa.
E’ sconfortante verificare
come sino ad oggi, la
maggior parte delle Proposte
di Legge abbiano invertito
la questione prevedendo
«Centri polifunzionali
per la famiglia» o
«Consultori Familiari» e
addirittura «Unità specializzate
per la famiglia»
(come si legge nel Progetto
di Legge 3290 al Senato)
come soluzioni che si
limitano ad immaginare i
«benefici effetti» della
Mediazione Familiare nella
soluzione dei problemi
tra i coniugi, ma che rimandano
a non si sa bene
quando, ogni previsione
della regolamentazione
circa la formazione dei
professionisti della Mediazione
Familiare.
Ecco dunque perché ritengo
sia necessario da parte
degli Avvocati lanciare un
fortissimo allarme.
Fra tutti i professionisti
della crisi della famiglia,
gli Avvocati sono quelli
che più da vicino conoscono
il vissuto delle parti
nel momento della loro
massima confusione, della
loro massima angoscia,
quando si trovano a vivere
l’evento-scontro della loro
separazione o del loro divorzio.
Nessuno come gli Avvocati,
è attento ad ogni pronuncia
innovativa, in materia
famiglia, della Giurisprudenza,
alla quale va
riconosciuto il merito di
aver via via umanizzato e
reso sempre più aderente
al sentire sociale, la normativa
della separazione e
del divorzio, nel prevedere
equilibri diversi dopo
l’evento formale della crisi
della coppia.
Nel campo dello scioglimento
del «nodo contrattuale
», il progresso delle
soluzioni giurisprudenziali,
non può non essere riconosciuto.
Ma nel campo della soluzione
del «nodo relazionale
», che rappresenta il
campo di elezione della
Mediazione Familiare, e
del suo mondo quello della
psicologia relazionale,
non è consentito andare
avanti per tentativi o adattamenti,
ed il carico umano
e sociale di sofferenza,
per gli errori che scaturirebbero
dal presappochismo
e dalla mancata chiarezza
circa la previsione
della formazione professionale,
degli addetti alla
Mediazione Familiare, non
sarebbe sopportabile.
Ecco perché è assolutamente
necessario che prima
che il nostro legislatore
abbia a prevedere il ricorso
a tale via, come soluzione
della crisi del nodo
relazionale (che è la
vera causa delle separazioni
e dei divorzi) venga
prevista e regolamentata
la categoria dei professionisti
della Mediazione
Familiare.
E ciò per impedire che un
settore così delicato, venga
invaso da professionalità
le più svariate, animate,
forse, da mille buone
intenzioni, ma anche da
troppo diverse estrazioni
di formazione di base, e
quindi incapaci di dare alle
problematiche una risposta
univoca, rischiando di generare
così il fallimento di
tale via di soluzione.
Ecco perché per onestà
concettuale, non possiamo
non ricordare che il mondo
della Mediazione Familiare
in Italia vede ormai da
un decennio operare la Società
Italiana di Mediazione
Familiare, che è membro
della più vasta realtà
Europea.
Ecco perché è assolutamente
necessario difendere
l’autonomia della Mediazione,
dalla fase processuale,
che può interrompersi,
come è preferibile, o
può continuare, ma in assoluta
e perfetta autonomia
con il percorso di mediazione
intrapreso dai coniugi.
Perché la mediazione possa
avere successo, o meglio
ancora perché possa
avere un senso, ogni elemento
della dinamica processuale,
nel contesto mediativo,
deve essere abbandonato;
ai soggetti in mediazione
deve essere consentito
affrontare il piano
emotivo relazionale, senza
che questo possa, o debba
avere, alcun effetto nella
dinamica processuale, per
giungere allo scioglimento
al superamento del nodo
relazionale.
Ogni diversa impostazione
ha come effetto, semplicemente,
quello di snaturare
la Mediazione Familiare e
farne un inutile, ulteriore,
teatrino della dinamica
conflittuale, come accade
oggi troppo spesso, con la
Consulenza Tecnica Psicologica
in materia di famiglia,
dove i soggetti coinvolti
sentono di dover dare
il massimo, perché valutati
e giudicati nei loro comportamenti.
Svilire o ridurre a questo,
la Mediazione Familiare,
significherebbe privare
questa particolare via di
soluzione delle problematiche
della crisi familiare,
del più importante aspetto,
quello che fuori dal contesto
giudiziale, fuori dalla
conflittualità processuale,
un genitore può essere se
stesso e può, senza essere
giudicato da nessuno, riconoscere
l’ex partner come
soggetto degno di considerazione
e riconoscimento
genitoriale.
Aspetto che gli sarebbe
precluso nella dinamica
processuale, proprio a causa
della conflittualità insita
con tale realtà.
Ignorare questo aspetto, come
è capitato di leggere e
di sentire, immaginare la
Mediazione Familiare come
realtà endoprocessuale,
significa tradire lo spirito
stesso della Mediazione,
che è risorsa solo se consente
ai soggetti, in questa
coinvolti, di essere se stessi
al di là del gioco delle parti
del processo.
In questo è la grandezza ed
il limite della Mediazione
Familiare, solo la spontaneità
del ricorso a tale soluzione,
solo la sua perfetta
autonomia e segretezza dal
contesto giudiziale, né può
garantire un possibile successo.
Ogni diversa ricostruzione
ne assicurerà un certo fallimento.
di Giorgio Vaccaro
Avvocato del Foro di Roma