Troppe inefficienze nell’amministrazione pubblica
Date: Wednesday, March 30 @ 17:09:33 CEST
Topic: 2003


Vincenzo Apicella: «per realizzare una buona amministrazione della cosa pubblica, è necessario innanzi tutto tenere fermi i valori morali della tradizione nazionale: su tutti, inderogabilmente, quelli fondati sulla cultura del lavoro, del dovere e della solidarietà»



La relazione annuale del Procuratore Generale della Corte dei Conti Vincenzo Apicella ha descritto una situazione della pubblica amministrazione piuttosto deludente, sulla base dei dati ottenuti dalla Corte nell’esercizio della sua attività.
Sotto il profilo dell’efficienza, secondo Apicella «l’analisi dei dati concernenti il quadro dei risultati delle funzioni di controllo e di giurisdizione della Corte mostrano, non solo oggi, – ma, direi, da oltre un quarantennio – la diffusa presenza, nella macchina burocratica pubblica, ed anche nel tessuto normativo, di inadeguatezze e di insufficienze, di lacune e di omissioni, di errori e di disattenzioni, di lentezze e di ritardi, che, alla fine, producono risultati deludenti in relazione ai fini voluti».
Apicella vede un preciso parallelismo tra i fenomeni di spreco rilevabili nel settore privato e in quello pubblico, specie per le cause che li determinano: lunghe attese improduttive, ripartizioni irrazionali di competenza, procedure inutili e troppo costose, sovrapposizioni di normative, duplicazioni di interventi operativi, trascuratezze nell’acquisizione delle entrate e nella riscossione dei crediti.
Apicella fa salvo il lavoro del Secit, della Ragioneria dello Stato, l’Autorità di Vigilanza sui Lavori Pubblici e aggiunge che «non può dirsi che sia mancata l’attenzione di politici e l’impegno di molti amministratori, come neppure sono mancate le riforme».
Un ultimo importante riferimento contenuto nella relazione riguarda le recenti riforme costituzionali e legislative: «Ora, nel momento in cui l’Ordinamento della Repubblica si muove verso scelte federaliste, mi sento sollecitato ad esprimere un altro convincimento, e sono sicuro di non cadere nella retorica, quello che tale storica evoluzione potrà trovare, anche sotto il profilo finanziario- contabile, un giusto e felice assetto solo nella tutela del non inconciliabile principio dell’unità della Nazione, quel principio che resta, e penso resterà, sancito nella Costituzione all’articolo 5: là dove i Padri Costituenti hanno voluto raccogliere l’antico e collaudato concetto, ad un tempo politico e giuridico, dell’unità e della indivisibilità della Repubblica.
Questo principio, da due secoli, è un cardine delle democrazie, in quanto presidio di un’ordinata e coordinata gestione degli interessi di una collettività di cittadini che si trovano per ragioni storiche, geografiche, etniche ed anche economiche, nell’onorevole e nobile necessità, perché tale è, di costituirsi in Nazione, e specialmente di sentirsi Nazione».

Di Andrea Trunzo







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