Giustizia nel pallone
Date: Tuesday, October 24 @ 15:45:30 CEST
Topic: Editoriali




Correva l'anno 1980 e le auto con il lampeggiatore entrarono negli stadi ed arrestarono i giocatori accusati di scommettere sulle partite che giocavano, alterando così il risultato.
Scoppiò così, davanti alle telecamere, lo scandalo del «calcio scommesse» che portò la Lazio ed il Milan in serie B e molti cittadini a dichiarare che avrebbero cessato di seguire il calcio.
Poi l'Italia vinse i Mondiali del 1982 e le immagini festanti non solo dei cittadini, ma dell'allora Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, fecero sì che quella storia venisse archiviata, almeno nella mente dei cittadini. E la palla riprese a correre, sempre di più sotto gli occhi di tutti, grazie ai lucrosi contratti televisivi. E con essi gli ingaggi dei giocatori diventeranno così alti che l'attuale portiere della Nazionale non esiterà a dichiarare candidamente alla stampa di aver perso nelle scommesse su internet cifre che, tradotte in quella cessata valuta che però ancora si utilizza per misurare il valore reale delle cose, corrispondono a miliardi di lire.
Tutti i giornali parleranno di mafia russa e del suo ingresso nel calcio, con acquisti di più o meno riusciti di grandi club europei ed italiani. Molti tifosi reagiranno a tali notizie, sperando nell'arrivo di questi nuovi capitali a sostegno della squadra del loro cuore, avendo essi fame di vittorie ad ogni costo piuttosto che la voglia di vedere uno spettacolo forse imperfetto, in quanto pulito e vero.
Li ho definiti tifosi, ma forse sono qualcosa di più, se si pensa che ormai, almeno nel Lazio, si presentano a tutte le competizioni elettorali con il proprio simbolo, apparentati ora al leader dell'Unione ed ora a quello della Casa delle Libertà.
Così incassano i contributi elettorali pubblici e probabilmente qualcosa di più in termini di potere, visto che possono risultare decisivi per la vittoria di questo o di quel candidato, con il loro non più «mucchietto», ma patrimonio di voti: tale va, infatti, definita la loro base elettorale, prendendo atto che, alle politiche 2006, la lista «Forza Roma» ha ricevuto al Senato ben 13.320 consensi. Gli errori (o le ingiustizie) arbitrali sono apparsi clamorosi agli occhi di milioni di spettatori e tutti hanno sempre detto che la Juventus aveva un qualcosa in più del vantaggio di avere in squadra grandi campioni. Anche molti suoi tifosi più appassionati ne sono sempre stati convinti, tanto da dichiarare che il loro appassionarsi per la squadra nasceva dai suoi successi, sempre e comunque: italico ossequio al vincitore e dileggio dello sconfitto, sentimenti che, nel Novecento, riempivano piazza Venezia quando Mussolini era Duce e, nell'antica Roma, spingevano al «pollice verso» nei confronti dei gladiatori perdenti.
Ma anche lo strapotere dei diritti TV e, con esso, anche della squadra di proprietà di uno dei suoi titolari è sempre stato sugli occhi di tutti, i quali, invece di ribellarsi, hanno pensato di vedere la partita non più la domenica pomeriggio, ma all'ora dell'anticipo, del posticipo e delle altre partite, in ossequio al grande vecchio che condiziona le giornate dei più, sottraendo attenzioni ad affari, amici e famiglia. Del resto la famiglia mediaticamente intesa è stata ricostituita, partorendo un grande fratello che fa di tutto, anche l'amore, sotto i paterni e compiaciuti occhi delle telecamere.
Così nessuno pensa che potessero essere millanteria le parole di un borgataro romano (quale Moggi è, dando un senso etnico alla parola) che si leggono nelle intercettazioni trascritte sui giornali, anche quando si parla di un arbitro rinchiuso a chiave negli spogliatoi di un campo di calcio di serie A che non è propriamente un luogo isolato, dove non si trova nessuno che, ad un semplice squillo di telefonino, sfondi una porta di legno.
E nessuno si domanda come mai i testi delle intercettazioni i difensori li debbono leggere prima sui giornali e, poi, forse, li possono acquisire in maniera integrale, perché coperti dal cosiddetto segreto d'ufficio.
Probabilmente chi non segue la trasmissione «Il grande fratello» e giudica gli eventi politici non solo attraverso le lenti di ingrandimento scelte dai conduttori dei vari «Porta a Porta», «Matrix», ecc. ha una opinione degli eventi diversa e, magari, parla di lotta di potere all'interno del sistema bancario e di assalto di una di queste roccaforti di potere. Lotta di potere nella quale sono caduti l'ex Governatore della Banca d'Italia, il cattolicissimo Fazio, ed i dirigenti delle Coop rosse e nelle quali vi è una sorta di capitalismo nazionale o nazionalista che si scontra con uno più internazionale, o meglio europeista, che l'opinione pubblica identifica in Prodi, così come identificava in Berlusconi il capitalismo privato. Geronzi e Capitalia, con le relative ramificazioni nelle quali Carraro è una struttura portante, sono al centro di questa contesa o forse l'obiettivo reale: certo è che, se è vero che quella che la stampa ha definito la «banda Moggi» ha impedito che i cartellini di alcuni calciatori finissero nelle mani della mafia russa, viene da domandarsi se il sistema non fosse così malato da rendere indispensabili i «cattivi» e se la loro caduta non sia in realtà a causa della Giustizia, ma dell'azione di qualcuno ancora più «cattivo».
Certo una giustizia nella quale prima si danno in pasto al popolo le prove dell'accusa e, poi, si consente ai difensori di esaminarle è una giustizia che reclama una sentenza popolare di condanna.
Una giustizia nel pallone, con la «g» minuscola, dove si tagliano le teste e le si gettano in pasto al popolo davanti alla ghigliottina, perché ci giochi a football. P.S.: quale Romanista sarei felicissimo di vedere la Juventus in serie B, ricordando certe partite in maniera scandalosa: ma se il tifo è un sentimento e la giustizia un valore, tale obiettivo non può essere raggiunto a furor di popolo.

Di Romolo Reboa
Avvocato del Foro di Roma







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