E’partito l'attacco
alle categorie
che, nella maggioranza
dei loro componenti,
avevano appoggiato
il governo Berlusconi.
Dai tassisti al liberi professionisti,
nessuno è stato
risparmiato con il cosiddetto
decreto sulla
competitività nel quale si
sommano misure fiscali e
colpi d'ascia a vecchi sistemi
finalizzati a creare
i presupposti per un nuovo
ordine delle cose. Il
tutto condito con norme
assurde e palesemente ingiuste,
quale il famigerato
art. 35, co. 12, che testualmente
stabilisce che
«I compensi in denaro
per l'esercizio di arti e
professioni sono riscossi
esclusivamente mediante
assegni non trasferibili o
bonifici ovvero altre modalità
di pagamento bancario
o postale nonché
mediante sistemi di pagamento
elettronico, salvo
per importi unitari inferiori
a 100 euro». Il legislatore
ha mostrato di
ben conoscere il funzionamento
ed i meccanismi
che regolano i vari settori
nei quali ha deciso di intervenire
per consentire
all'interprete di ritenere che
il governo non si sia reso
conto che provvedimenti
quali l'art. 35, co. 12 sono
illogici. Ingiusti e, come tali,
anticostituzionali.
E' evidente che vietare ad
un professionista di accettare
pagamenti per contanti
significa in primo luogo obbligare
tutti i clienti ad essere
titolari di conti correnti
bancari o postali. Ciò non
può essere spacciato come
una norma in favore dei
consumatori.
E, poiché non si sta parlando
di professionisti che operano
con clienti «di nicchia», quali potrebbero essere
gli intermediari finanziari,
ma di persone che sono
a continuo contatto con
il pubblico (la norma riguarda
anche il pittore di
strada a p.za Navona), tale
disposizione produrrà vari
effetti.
Il primo è opposto a presunte
finalità del decreto. cioè
stimolare l'evasione fiscale:
nessuno avrà la capacità
economica di poter mandare
via un cliente perché paga
in contanti e, pertanto, visto
che, se fatturerà l'importo
ricevuto, confesserà di aver
violato il divieto di accettare
un pagamento in denaro,
preferirà incassare i soldi
«in nero».
La conseguenza sarà che
ogni esercente le arti o professioni
sarà«obbligato» a
divenire un evasore e, come
tale, sarà sempre ricattabile
con lo spettro di un accertamento
fiscale: la libertà di
espressione, di cura e di difesa
diventeranno una chimera.
Ci sono molti modi di instaurare
una dittatura, non
necessariamente cruenti:
uno di questi è impedire alle
persone di vivere in modo
normale, costringendole
a violare la legge per tentare
di farlo.
Vi sarà poi l'effetto della
non esecuzione delle prestazioni
nei confronti dei
meno abbienti: perché rischiare
di assistere un malato
che paga poco e non ha
nemmeno un libretto degli
assegni?
Con riferimento al diritto di
difesa applicare la norma
potrà in molti casi corrispondere
alla violazione di
tale diritto.
Basta immaginare la richiesta
ad un latitante di andare
in banca ed eseguire il bonifico
del fondo spese all'avvocato,
mostrando i propri
documenti al funzionario di
banca. O ad un interdetto ad
emettere assegni di pagare
con assegno bancario!
O, ancora, ad uno straniero
arrestato in Italia perché
privo di stabile dimora.
Ovviamente, quando si
vanno a toccare i diritti fondamentali
dell'individuo,
nessuna categoria si salva:
si immagini la pretesa di un
medico di voler ottenere il
pagamento tramite banca
da parte di un malato o privo
di c/c bancario o che
semplicemente non vuol far
conoscere la propria malattia
al coniuge contitolare
del proprio conto.
La norma obbliga a violare
la legge sulla privacy, facendo
conoscere a terzi (familiari,
banchieri, ecc.)
informazioni su «dati sensibili» e, come tali, sottoposti
alla massima tutela.
Chi scrive non ritiene che
l'on. Bersani, del quale sono
note le elevate capacità,
non possa non aver previsto
tutto ciò, né che il Consiglio
dei Ministri abbia potuto
approvare una disposizione
di tale portata senza
nemmeno averla letta. Pensarlo
sarebbe una offesa all'intelligenza
di un intero
governo.
Allora la realtà è un'altra. E
qui le ipotesi sono due.
La norma è stata inserita
per avere una «merce di
scambio» sul tavolo della
concertazione con le categorie
interessate. E' come
una pistola puntata alla
tempia: pur di vedersi staccare
la canna dalla testa
ogni persona farebbe qualsiasi
cosa. Così i rappresentanti
delle categorie ben volentieri
rinunceranno ad alcune
prerogative pur di salvare
la possibilità di lavorare
senza lo spettro dell'illegalità
ad ogni atto.
Oppure, inserita come un
codicillo all'interno di un
più vasto pacchetto normativo,
la stessa è di quelle intangibili
in quanto, con la
scusa della lotta all'evasione,
vuole in realtà colpire al
cuore le libere professioni.
I margini di trattativa sono
scarsi in quanto è irrealisti-
co credere che il Ministro
Mastella arriverebbe veramente
a dimettersi per modificare
un decreto che è
stato approvato da un Consiglio
del quale faceva parte,
mentre le cosiddette lobby
professionali hanno perso
gran parte del loro potere a
causa di una scellerata riforma
elettorale che ha fatto sì
che i parlamentari siano non
già degli eletti, portatori dei
consensi della loro base
elettorale, bensì dei nominati
dai vertici di partiti che
ormai sono anche nominativamente
l'espressione diretta
dei loro leaders.
Altresì siamo nei cosiddetti
primi cento giorni, senza alcuna
nuova competizione
elettorale alle porte: quindi
chi rischierebbe la poltrona
per quelli che vede essere
degli interessi di parte, sapendo
che, in caso di nuova
chiamata alle urne, potrebbe
non essere ricandidato dal
proprio leader?
Occorre quindi fare pressione
direttamente sui responsabili
dei partiti, ricordando
che il bene in gioco non è
l'interesse di una o più categorie,
ma la libertà.
E avere coraggio, perché ce
ne vuole a muoversi quando
si ha una pistola puntata.
Di Romolo Reboa
Avvocato del Foro di Roma