Il vero male del Tribunale Civile è la mancanza di risorse umane e materiali.
Quando interviene
la Repubblica si
pensa subito che la
conseguenza sarà la fine
di un regno.
Per sapere di quale regno
si tratti sarà necessario
leggere il giornale con attenzione,
senza limitarsi ai
titoli o alle foto in prima
pagina, ma andando a
guardare «tra le righe»
con spirito critico, magari
pensando quale business
economico potrebbe derivare
da una rivoluzione
nell'ambiente o nell'area
sulla quale il prestigioso
quotidiano ha deciso di
scavare.
A pensar male si fa peccato,
ma spesso ci si indovina:
un detto popolare
in un italiano non perfetto
che è difficile smentire e
che ben si adatta alla circostanza
trova praticamente al centro
di Roma e, quindi, uno spostamento
dell'ospedale sul
quale ha aperto un'inchiesta
il Gruppo Editoriale l'Espresso
la libererebbe alla
speculazione edilizia.
Così come farebbe la gioia
dei gruppi economici anche
solo la ricostruzione o ristrutturazione
integrale delle
cliniche ospedaliere attualmente
ivi esistenti.
Ovviamente la dietrologia
non deve far perdere di vista
il fatto che quanto denunciato
è vero, ma non si deve dimenticare
che spesso si tratta
di fotografie di realtà inserite
in strutture di grandi
dimensioni, quindi di immagini
parziali che non consentono
di rispondere al
quesito di quale sia la percentuale
di marciume rispetto
alla parte sana.
Quando è apparsa su la Repubblica
la campagna sullo
stato di degrado della giustizia
civile e sulle condizioni
nelle quali versa il Tribunale
di Roma, la prima considerazione
è stata che il quotidiano
aveva scoperto l'acqua
calda, mentre la seconda
è stata: qual è la testa
che si vuol fare cadere?
L'ex Presidente del Tribunale
di Roma, ora sottosegretario
alla Giustizia, Luigi
Scotti, ha rilasciato un'intervista
al quotidiano, affermando
che, forse, il degrado
deriverebbe dal fatto che oggi
non vi è più una persona
«cattiva» come lo era lui a
capo dell'ufficio giudiziario
più grande d'Italia.
Chissà, forse sarà anche vero
che, per dirigere un ufficio
così grande e complesso,
sia necessario rendersi antipatico
ai propri interlocutori,
ma l'affermazione è apparsa
una velata critica all'operato
dell'attuale Presidente
vicario, Alberto Bucci,
del quale sono note la
simpatia e le qualità umane.
Quando si fa una campagna
giornalistica di tale virulenza
non si può fingere di
ignorare che la stessa mette
a repentaglio la poltrona del
capo dell'ufficio che «non
funziona»: se poi tale capo è
un vicario, è facile pensare
che lo scopo sia quello di
farlo sostituire con un salvatore
della patria.
Ma chi l'ha detto che la situazione
è peggiorata da
quando il dr. Scotti è divenuto
sottosegretario?
I mali del Tribunale Civile
sono atavici ed hanno un
nome solo: la carenza di risorse
umane e materiali, a
fronte della quale la capacità
di adattamento degli avvocati
e, anche, di magistrati
e cancellieri ha impedito
che si chiudessero i battenti.
Sono oltre venticinque anni
che esercito la professione
forense e dall'inizio della
professione, a Roma, mancano
i cancellieri nelle
udienze civili, l'avvocato si
deve arrampicare per cercare
i fascicoli nei quali depositare
gli atti, l'ufficio notifiche
è intasato dalle code,
non si verbalizza se non ci
si portano i fogli da casa ed
i testimoni si ascoltano in
corridoio nel contraddittorio
tra gli avvocati ed in assenza
del giudice, che si limita
a rileggere il verbale al teste,
chiedendogli la conferma
delle sue dichiarazioni.
In questi venticinque anni
ogni tanto i quotidiani hanno
scritto articoli di denuncia,
pubblicato foto, scatenato
bagarre: poi tutto è tornato
nella normalità.
Se si pensa all'entità di pratiche
lavorate in un anno, il
numero dei fascicoli scomparsi
e dei documenti sottratti
è statisticamente insignificante,
così come lo sono
le violazioni della privacy,
in relazione alla quale
l'apparente caos ed il dinamismo
con il quale si muove
il sistema creano una
sorta di scudo invisibile. Infatti,
in una piccola comunità,
basta entrare in un Tribunale
perché tutti sappiano
che si ha un contenzioso,
mentre in una megalopoli
un nome su un fascicolo alla
vista di tutti è solo il nome
di uno sconosciuto.
La causa principale dei mali
della giustizia civile è da attribuire
ai governi succedutisi
nel tempo, i quali hanno
posto limiti alle assunzioni,
hanno tagliato i fondi, hanno
di fatto voluto che la
macchina non funzionasse,
forse per far sì che il contenzioso
importante venisse
dirottato negli arbitrati, dove
chi si non può permettere
di pagare il compenso al
collegio arbitrale ha perso
in partenza. Altre questioni
importanti sono state dirot-
tate alle Authority, attraverso
un procedimento di degiurisdizionalizzazione
della tutela
sostanziale di diritti fondamentali
del cittadino, sicché
ai Giudici, terzi rispetto
al potere politico, sono state
lasciate le briciole del contenzioso.>br>
Da amministrarsi
con il marchio della sfiducia
e del degrado.
Sarebbe bastato che la legge
finanziaria, invece di ribadire
il blocco delle assunzioni
per la pubblica amministrazione,
avesse assegnato i
fondi per bandire i concorsi
finalizzati a colmare i vuoti
di organico tra i cancellieri
ed i magistrati.
Così non è stato, ma la soluzione
sarà trovata dai solerti
ispettori ministeriali inviati
dal ministro Mastella, i quali
certificheranno che la legge
non viene rispettata…
Sarebbe bastato che l'avvocatura
avesse smesso di sopperire
gratuitamente alle disfunzioni
del sistema, ma la
categoria negli anni ha mostrato
di essere incapace a
far rispettare quella dignità
della toga di cui si riempie
la bocca nei convegni.
E, allora, viva la
Repubblica, visto che il regno
della giustizia è finito da
tempo.
Romolo Reboa