La Repubblica e l'acqua calda
Date: Monday, March 26 @ 18:26:57 CEST
Topic: Editoriali


Il vero male del Tribunale Civile è la mancanza di risorse umane e materiali.

Quando interviene la Repubblica si pensa subito che la conseguenza sarà la fine di un regno.
Per sapere di quale regno si tratti sarà necessario leggere il giornale con attenzione, senza limitarsi ai titoli o alle foto in prima pagina, ma andando a guardare «tra le righe» con spirito critico, magari pensando quale business economico potrebbe derivare da una rivoluzione nell'ambiente o nell'area sulla quale il prestigioso quotidiano ha deciso di scavare.
A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si indovina: un detto popolare in un italiano non perfetto che è difficile smentire e che ben si adatta alla circostanza trova praticamente al centro di Roma e, quindi, uno spostamento dell'ospedale sul quale ha aperto un'inchiesta il Gruppo Editoriale l'Espresso la libererebbe alla speculazione edilizia.
Così come farebbe la gioia dei gruppi economici anche solo la ricostruzione o ristrutturazione integrale delle cliniche ospedaliere attualmente ivi esistenti.
Ovviamente la dietrologia non deve far perdere di vista il fatto che quanto denunciato è vero, ma non si deve dimenticare che spesso si tratta di fotografie di realtà inserite in strutture di grandi dimensioni, quindi di immagini parziali che non consentono di rispondere al quesito di quale sia la percentuale di marciume rispetto alla parte sana.
Quando è apparsa su la Repubblica la campagna sullo stato di degrado della giustizia civile e sulle condizioni nelle quali versa il Tribunale di Roma, la prima considerazione è stata che il quotidiano aveva scoperto l'acqua calda, mentre la seconda è stata: qual è la testa che si vuol fare cadere?
L'ex Presidente del Tribunale di Roma, ora sottosegretario alla Giustizia, Luigi Scotti, ha rilasciato un'intervista al quotidiano, affermando che, forse, il degrado deriverebbe dal fatto che oggi non vi è più una persona «cattiva» come lo era lui a capo dell'ufficio giudiziario più grande d'Italia.
Chissà, forse sarà anche vero che, per dirigere un ufficio così grande e complesso, sia necessario rendersi antipatico ai propri interlocutori, ma l'affermazione è apparsa una velata critica all'operato dell'attuale Presidente vicario, Alberto Bucci, del quale sono note la simpatia e le qualità umane.
Quando si fa una campagna giornalistica di tale virulenza non si può fingere di ignorare che la stessa mette a repentaglio la poltrona del capo dell'ufficio che «non funziona»: se poi tale capo è un vicario, è facile pensare che lo scopo sia quello di farlo sostituire con un salvatore della patria.
Ma chi l'ha detto che la situazione è peggiorata da quando il dr. Scotti è divenuto sottosegretario?
I mali del Tribunale Civile sono atavici ed hanno un nome solo: la carenza di risorse umane e materiali, a fronte della quale la capacità di adattamento degli avvocati e, anche, di magistrati e cancellieri ha impedito che si chiudessero i battenti.
Sono oltre venticinque anni che esercito la professione forense e dall'inizio della professione, a Roma, mancano i cancellieri nelle udienze civili, l'avvocato si deve arrampicare per cercare i fascicoli nei quali depositare gli atti, l'ufficio notifiche è intasato dalle code, non si verbalizza se non ci si portano i fogli da casa ed i testimoni si ascoltano in corridoio nel contraddittorio tra gli avvocati ed in assenza del giudice, che si limita a rileggere il verbale al teste, chiedendogli la conferma delle sue dichiarazioni.
In questi venticinque anni ogni tanto i quotidiani hanno scritto articoli di denuncia, pubblicato foto, scatenato bagarre: poi tutto è tornato nella normalità.
Se si pensa all'entità di pratiche lavorate in un anno, il numero dei fascicoli scomparsi e dei documenti sottratti è statisticamente insignificante, così come lo sono le violazioni della privacy, in relazione alla quale l'apparente caos ed il dinamismo con il quale si muove il sistema creano una sorta di scudo invisibile. Infatti, in una piccola comunità, basta entrare in un Tribunale perché tutti sappiano che si ha un contenzioso, mentre in una megalopoli un nome su un fascicolo alla vista di tutti è solo il nome di uno sconosciuto.
La causa principale dei mali della giustizia civile è da attribuire ai governi succedutisi nel tempo, i quali hanno posto limiti alle assunzioni, hanno tagliato i fondi, hanno di fatto voluto che la macchina non funzionasse, forse per far sì che il contenzioso importante venisse dirottato negli arbitrati, dove chi si non può permettere di pagare il compenso al collegio arbitrale ha perso in partenza. Altre questioni importanti sono state dirot- tate alle Authority, attraverso un procedimento di degiurisdizionalizzazione della tutela sostanziale di diritti fondamentali del cittadino, sicché ai Giudici, terzi rispetto al potere politico, sono state lasciate le briciole del contenzioso.>br> Da amministrarsi con il marchio della sfiducia e del degrado.
Sarebbe bastato che la legge finanziaria, invece di ribadire il blocco delle assunzioni per la pubblica amministrazione, avesse assegnato i fondi per bandire i concorsi finalizzati a colmare i vuoti di organico tra i cancellieri ed i magistrati.
Così non è stato, ma la soluzione sarà trovata dai solerti ispettori ministeriali inviati dal ministro Mastella, i quali certificheranno che la legge non viene rispettata…
Sarebbe bastato che l'avvocatura avesse smesso di sopperire gratuitamente alle disfunzioni del sistema, ma la categoria negli anni ha mostrato di essere incapace a far rispettare quella dignità della toga di cui si riempie la bocca nei convegni.
E, allora, viva la Repubblica, visto che il regno della giustizia è finito da tempo.

Romolo Reboa





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