L’immigrazione incontrollata ed il liberismo economico senza confini mettono a rischio non solo alcune nazionalità 'in estinzione' , ma l'intero stato sociale.
Il manifesto che ha decretato
il successo della
Lega dei Ticinesi alle
recenti elezioni politiche
svizzere rappresentante la
foto di un capo indiano che
afferma: «Noi non abbiamo
avuto la forza di resistere
alla immigrazione, ci
siamo trovati nelle
riserve» è stato richiesto
dal leader della Lega Nord,
Umberto Bossi, per poterlo
distribuire anche in Italia.
Anche chi la pensa diversamente
non potrà negare
che il messaggio di questo
manifesto sia ad alto contenuto
mediatico, in quanto
unisce la simpatia istintiva
che in Europa si ha per i
nativi americani con una
affermazione che fa riflettere:
alcuni parleranno di
un’immagine di sinistra
per un messaggio di destra,
altri affermeranno che i valori
di vita dei guerrieri
pellerossa sono tipici della
destra, altri diranno che
non ha senso paragonare
un fenomeno di colonizzazione
con uno di immigrazione,
ma la distonia delle
affermazioni confermerà
che il manifesto rimarrà al
centro dei dibattiti tra gli
studiosi della scienza delle che il fenomeno dell’immigrazione
è uno dei grandi temi
politici del nuovo millennio
anche perché coinvolge
aspetti religiosi tali da portare
l’umanità vicino al baratro
dello scontro tra civiltà, tanto
da aver lasciato in secondo
piano il pur sempre presente
dibattito tra i sistemi
economici. Liberismo e statalismo,
capitalismo e comunismo
sembrano estranei al
problema immigrazione e
spesso appaiono strumentali
alla approvazione o rifiuto
della presenza sul territorio
di esseri umani provenienti
da questa o quella nazione.
In un dibattito sul tema liberismo
e statalismo, ad un interlocutore
che affermava di
volere che prevalesse la politica
sull’economia, risposi
che era più corretto dire che
bisognava privilegiare l’uomo
sull’economia. La mia
affermazione trovò il consenso
istintivo della sala e,
mentre ricevevo quegli applausi,
mi rendevo conto di
aver identificato uno dei temi
cardini del conflitto politico
dei prossimi decenni,
che si innestava perfettamente
sull’altra questione in altra
sede da me già sollevata,
quella degli schiavisti del
terzo millennio. Tornando al
manifesto dei Ticinesi, se è
palese che un fenomeno di
immigrazione è diverso da
uno di colonizzazione, è altrettanto
vero che entrambi
riducono teoricamente gli
spazi dei cosiddetti nativi:
tuttavia, atteso che un corretto
fenomeno migratorio presuppone
l’integrazione dei
nuovi arrivati nella struttura
sociale preesistente, la riduzione
degli spazi derivante
dalla immigrazione dovrebbe
essere compensata socialmente
dall’arricchimento
culturale che deriva dal contatto
costante tra varie etnie
e dall’innesto di forza lavoro
lì ove mancano risorse umane
disponibili.
Vi è, però, un macigno che
contrasta il corretto svolgimento
dei flussi migratori ed
è costituito dalla prevalenza
degli interessi dell’economia
sull’uomo. Economia cui la
politica è asservita, come è
dimostrato dall’esistenza di
governi in tutto il mondo asserviti
al potere del sistema
bancario o delle multinazionali.
L’economia non rispetta
l’uomo come individuo,
ma lo definisce con termini
quale forza lavoro, maestranza,
quadro, dirigente,
oppure consumatore. Le
umane aspirazioni per l’economia
sono bisogni da indirizzare
secondo il potere di
acquisto o le potenzialità di
ricorso al credito dei singoli.
Le code che ogni domenica
si registrano sulle strade che
portano ai moderni centri
commerciali altro non sono
che piccoli flussi migratori
indotti dall’economia, ove la
vita dell’uomo è prepotentemente
condizionata dai sistemi
di distribuzione delle
merci.
In Europa il grande merito,
prima, delle dittature socialmente
aperte del XX secolo
(anche contrapposte, quali il
Comunismo sovietico ed il
Fascismo) e, poi, delle lotte
sindacali condotte dalla sinistra
riformista è stato quello
di aver creato un sistema di
tutela del lavoro che ha consentito
nelle nazioni democratiche
a tutte le classi sociali
di avere condizioni di
vita dignitose e la possibilità
per i singoli di affermarsi
nei propri settori di operatività.
Con i limiti o le situazioni
migliori a seconda delle
singole nazioni, ovunque
in Europa è garantito il diritto
all’assistenza sanitaria,
allo studio, alla pensione.
L’immigrazione incontrollata
ed il liberismo economico
senza confini metteranno
nella riserva indiana non i
singoli nativi, ma lo stato
sociale. L’economia di ogni
nazione, se sana, ha la produzione
al centro del proprio
sistema. La produzione
ha sviluppo se ha mercati e
ha mercati se è competitiva.
Nessuna produzione, salvo
quella relativa ai beni di lusso
o di alta specializzazione,
cioè quella destinata ai cosiddetti
mercati di nicchia,
può essere competitiva se in
altre parti del mondo gli
stessi o similari beni vengono
realizzati abbattendo il
costo maggiore nei paesi occidentali,
quello del lavoro,
ed i costi di trasporto non
eliminano tale gap. Il sistema
produttivo nei paesi
asiatici avviene in violazione
di ogni normativa europea
a tutela della salute e
della sicurezza dei lavoratori,
con sfruttamento del la-
voro minorile ed in assenza
delle tutele sociali e pensionistiche
occidentali. Se in Europa
venissero scoperti datori
di lavoro similari, i giornali li
definirebbero (correttamente)
degli schiavisti, ma da essi le
economie liberiste di un’Europa
senz’anima importano le
merci da immettere nei propri
mercati per abbattere i prezzi
in danno degli operatori del
territorio che, nel rispetto delle
leggi, non possono essere
competitivi. Perché il liberismo
è positivo se tutti producono
rispettando le medesime
leggi, ma è castrante se si
vuole entrare in concorrenza
con chi viola le leggi: così
l’immigrazione incontrollata
ha un solo fine, quella di
creare mano d’opera in nero
ed a basso costo che consenta
una produzione illegalmente
competitiva e non crei problemi
sindacali. Persone senza
garanzie, senza permessi
di soggiorno e con salari infimi
sono i nuovi schiavi e chi
fa del buonismo sociale per
farli entrare o rimanere nel
nostro Paese senza creare
adeguate strutture per l’accoglienza
e per l’esercizio di attività
lavorativa in maniera
regolare non è un filantropo,
ma uno schiavista del terzo
millennio.
Romolo Reboa