Gli schiavisti del terzo millennio
Date: Tuesday, November 27 @ 18:17:49 CET
Topic: Editoriali


L’immigrazione incontrollata ed il liberismo economico senza confini mettono a rischio non solo alcune nazionalità 'in estinzione' , ma l'intero stato sociale.

Il manifesto che ha decretato il successo della Lega dei Ticinesi alle recenti elezioni politiche svizzere rappresentante la foto di un capo indiano che afferma: «Noi non abbiamo avuto la forza di resistere alla immigrazione, ci siamo trovati nelle riserve» è stato richiesto dal leader della Lega Nord, Umberto Bossi, per poterlo distribuire anche in Italia.
Anche chi la pensa diversamente non potrà negare che il messaggio di questo manifesto sia ad alto contenuto mediatico, in quanto unisce la simpatia istintiva che in Europa si ha per i nativi americani con una affermazione che fa riflettere: alcuni parleranno di un’immagine di sinistra per un messaggio di destra, altri affermeranno che i valori di vita dei guerrieri pellerossa sono tipici della destra, altri diranno che non ha senso paragonare un fenomeno di colonizzazione con uno di immigrazione, ma la distonia delle affermazioni confermerà che il manifesto rimarrà al centro dei dibattiti tra gli studiosi della scienza delle che il fenomeno dell’immigrazione è uno dei grandi temi politici del nuovo millennio anche perché coinvolge aspetti religiosi tali da portare l’umanità vicino al baratro dello scontro tra civiltà, tanto da aver lasciato in secondo piano il pur sempre presente dibattito tra i sistemi economici. Liberismo e statalismo, capitalismo e comunismo sembrano estranei al problema immigrazione e spesso appaiono strumentali alla approvazione o rifiuto della presenza sul territorio di esseri umani provenienti da questa o quella nazione.
In un dibattito sul tema liberismo e statalismo, ad un interlocutore che affermava di volere che prevalesse la politica sull’economia, risposi che era più corretto dire che bisognava privilegiare l’uomo sull’economia. La mia affermazione trovò il consenso istintivo della sala e, mentre ricevevo quegli applausi, mi rendevo conto di aver identificato uno dei temi cardini del conflitto politico dei prossimi decenni, che si innestava perfettamente sull’altra questione in altra sede da me già sollevata, quella degli schiavisti del terzo millennio. Tornando al manifesto dei Ticinesi, se è palese che un fenomeno di immigrazione è diverso da uno di colonizzazione, è altrettanto vero che entrambi riducono teoricamente gli spazi dei cosiddetti nativi: tuttavia, atteso che un corretto fenomeno migratorio presuppone l’integrazione dei nuovi arrivati nella struttura sociale preesistente, la riduzione degli spazi derivante dalla immigrazione dovrebbe essere compensata socialmente dall’arricchimento culturale che deriva dal contatto costante tra varie etnie e dall’innesto di forza lavoro lì ove mancano risorse umane disponibili.
Vi è, però, un macigno che contrasta il corretto svolgimento dei flussi migratori ed è costituito dalla prevalenza degli interessi dell’economia sull’uomo. Economia cui la politica è asservita, come è dimostrato dall’esistenza di governi in tutto il mondo asserviti al potere del sistema bancario o delle multinazionali.
L’economia non rispetta l’uomo come individuo, ma lo definisce con termini quale forza lavoro, maestranza, quadro, dirigente, oppure consumatore. Le umane aspirazioni per l’economia sono bisogni da indirizzare secondo il potere di acquisto o le potenzialità di ricorso al credito dei singoli.
Le code che ogni domenica si registrano sulle strade che portano ai moderni centri commerciali altro non sono che piccoli flussi migratori indotti dall’economia, ove la vita dell’uomo è prepotentemente condizionata dai sistemi di distribuzione delle merci.
In Europa il grande merito, prima, delle dittature socialmente aperte del XX secolo (anche contrapposte, quali il Comunismo sovietico ed il Fascismo) e, poi, delle lotte sindacali condotte dalla sinistra riformista è stato quello di aver creato un sistema di tutela del lavoro che ha consentito nelle nazioni democratiche a tutte le classi sociali di avere condizioni di vita dignitose e la possibilità per i singoli di affermarsi nei propri settori di operatività.
Con i limiti o le situazioni migliori a seconda delle singole nazioni, ovunque in Europa è garantito il diritto all’assistenza sanitaria, allo studio, alla pensione.
L’immigrazione incontrollata ed il liberismo economico senza confini metteranno nella riserva indiana non i singoli nativi, ma lo stato sociale. L’economia di ogni nazione, se sana, ha la produzione al centro del proprio sistema. La produzione ha sviluppo se ha mercati e ha mercati se è competitiva.
Nessuna produzione, salvo quella relativa ai beni di lusso o di alta specializzazione, cioè quella destinata ai cosiddetti mercati di nicchia, può essere competitiva se in altre parti del mondo gli stessi o similari beni vengono realizzati abbattendo il costo maggiore nei paesi occidentali, quello del lavoro, ed i costi di trasporto non eliminano tale gap. Il sistema produttivo nei paesi asiatici avviene in violazione di ogni normativa europea a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, con sfruttamento del la- voro minorile ed in assenza delle tutele sociali e pensionistiche occidentali. Se in Europa venissero scoperti datori di lavoro similari, i giornali li definirebbero (correttamente) degli schiavisti, ma da essi le economie liberiste di un’Europa senz’anima importano le merci da immettere nei propri mercati per abbattere i prezzi in danno degli operatori del territorio che, nel rispetto delle leggi, non possono essere competitivi. Perché il liberismo è positivo se tutti producono rispettando le medesime leggi, ma è castrante se si vuole entrare in concorrenza con chi viola le leggi: così l’immigrazione incontrollata ha un solo fine, quella di creare mano d’opera in nero ed a basso costo che consenta una produzione illegalmente competitiva e non crei problemi sindacali. Persone senza garanzie, senza permessi di soggiorno e con salari infimi sono i nuovi schiavi e chi fa del buonismo sociale per farli entrare o rimanere nel nostro Paese senza creare adeguate strutture per l’accoglienza e per l’esercizio di attività lavorativa in maniera regolare non è un filantropo, ma uno schiavista del terzo millennio.

Romolo Reboa





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