Al giudice penale spetta accertare il fatto, diversamente al giudice
della famiglia spetta tutelare il superiore interesse del minore.
La nuova stesura del 155 Codice Civile
Nulla v’è di più
odioso che approfittare
di chi non
possa difendersi, ma proprio
per mantenere alta la
guardia e la tutela dei
piccoli si deve condividere,
sempre di più, una
metodologia che aiuti tutti
i professionisti del sistema
famiglia, a riconoscere
quelli che possono
essere gli indicatori di
abuso da quelli che, palesemente,
non lo sono.
Ecco perché è evidente
che in prima battuta, proprio
il contesto nel quale
la denuncia di abuso viene
a prendere corpo, non
può essere indifferente.
Una cosa è denunciare un
sospetto per un atteggiamento
del figlio avente
causa nel comportamento
di un estraneo, o di un familiare,
quando questo
denunciare avvenga nel
corso delle situazioni
neutre del convivere sotto
lo stesso tetto, o in un determinato
ambiente.
Altra cosa è l’introdurre,
come un fulmine a ciel
sereno, questa tematica
all’interno di un processo
per la separazione, o il divorzio,
di due genitori, o
in un processo per l’affidamento
di un figlio frutto
di una unione naturale.
Dovrebbe essere evidente
che nel contesto separativo
dove, come abbiamo
sempre ribadito, la litigiosità
tra i due elementi
della coppia è la colonna
sonora naturale del momento,
ogni elemento che
vada a rinforzare la posizione
dell’uno a scapito
dell’altro, con al centro la
possibilità di esercitare
integralmente il controllo
sul figlio/a, dovrebbe essere
guardato con estremo
sospetto.
Ma non è così. Ancora
oggi lo scandalo che circonda
la denuncia di abuso
porta, addosso a chi riceve
l’anatema, un alone
di malvagità, proprio perché
la figura dell’abusante,
troppo spesso, si cela
dietro il sorriso accattivante
di uno sconosciuto,
che all’apparenza era così
per bene.
Questa è la vera forza devastante
della denuncia di
abuso, quella di ritagliare
addosso a chiunque ne
venga colpito, un sudario
di sospetto; più questi è
per bene, più ha, incredibilmente,
tutte le caratteristiche
per essere il perfetto
abusante, quello del
quale si è fatto male a fidarsi.
Purtroppo, questo anatema
colpisce l’immaginario
collettivo di tutti, anche
di quelli che dovrebbero
essere gli esperti,
terzi tecnici e sereni, della
fase del contenzioso, i
Giudici.
Davanti ad una denuncia
di abuso, confezionata
nel corso di un processo
separativo e/o di affidamento,
tutti si fa un passo
indietro, e la parola scritta
sulla carta della querela,
si stampa come un sigillo
di inaffidabilità addosso
al poverino, indicato
come reo. Basta solo
questo!
Diversamente non è dato
comprendere come, al
giorno di oggi, ed in barba
a tutta la dottrina specialistica,
al semplice
pronunciare le parole di
“presunti atti di libidine”
l’attenzione di tante, troppe,
Corti giudicanti venga
immediatamente focalizzata
sul disporre che il
protagonista della storia
(vera o falsa che sia non
importa) venga immediatamente
allontanato dalla
piccola/o, senza minimamente
indagare su nessun
aspetto della concretezza
della denuncia, perché vi
provvederà altra autorità,
quella penale con i suoi
tempi. Ed è questo un
grandissimo errore metodologico.
Al giudice penale
spetta infatti accertare
il fatto, diversamente
al giudice della famiglia
spetta tutelare il superiore
interesse del minore, ed
oggi con la nuova stesura
del 155 codice civile tutelare
a questi la fruibilità
di entrambe le figure dei
genitori. Ecco quindi che
prima di aprire la botola
sotto i piedi del genitore
travolto dall’anatema, costringendolo
di fatto lontano
dal figlio per un periodo
estremamente lungo,
si dovrebbero porre in
essere almeno le prime
verifiche in ordine alla attendibilità
ed al rispetto
da parte di coloro che
hanno siglato le prime relazioni,
di quelle convenzioni
scientifiche che sono
state raggiunte dalla
comunità degli operatori
per tutelare il minore da
false ipotesi di abuso; in
difetto ogni segnalazione
che venga depositata senza
i crismi, proprio nel
corso di un processo di
separazione, dovrebbe
aprire la fase delle necessarie
verifiche, senza modificare
i rapporti con
nessuno dei due genitori.
Questo potrebbe in concreto
scoraggiare la tentazione
di sporgere una denuncia
al solo scopo di
interrompere la frequentazione
con l’altro genitore.
Ma cosa succede ora,
nel frattempo?
Ecco, è proprio il tempo
di mezzo, quello che passa
tra l’anatema e l’esorcismo
necessario per poterlo
smontare, ad essere
il grande assente nella
preoccupazione e nell’analisi
delle Corti Civili,
alle prese con il problema.
Eppure, è dato di comune
esperienza, che proprio
quel tempo, quell’intermezzo
sia il tempo dell’avvelenamento,
con l’agire
della induzione al ricordo.
Questo, ovviamente, sia
che la storia sia vera, o
che sia inventata, in entrambi
i casi, l’amorevole
adulto denunciante, si trasformerà
in un geloso custode
della memoria del
piccolo/a che si assume
offeso dal comportamento
abusante.
Col palese fine di non lasciare
impunito un misfatto,
che si assume avvenuto,
questi ribadirà,
con parole, atteggiamenti,
coccole, od altre comportamentalità
evidenti, i ricordi
dell’abuso, che si è
denunciato come subito.
Allo stato di fatto, creerà
evidenti, enormi, problemi
a quella Autorità che
dovrà poi intervenire per
ricostruire un plausibile
ricordo.
Pertanto, l’unico rimedio
possibile appare quello di
allontanare il piccolo/a
sia dal presunto reo, sia
anche, immediatamente e
forse soprattutto, dal denunciante.
Questo nell’interesse del
minore, e proprio per impedire
che il denunciante,
volente o nolente, inquini
le prove dell’abuso,
con inconsapevoli modi
di fare, dire od essere,
che confermino la tesi di
quello che si assume avvenuto.
Sembrerebbe lapalissiano,
perfino ovvio, ma, incredibilmente,
ancora la
maggior parte di quelli
che hanno in mano le redini
del destino dei minori,
considerano l’induzione
al ricordo alla stregua
di un male di stagione, rispetto
alla supposta enormità
dell’anatema proferito,
che così prende vita,
e si rafforza ogni momento
che passa, come un
uragano.
Il primo segnale di questo
lo si può facilmente cogliere,
nei processi per
l’affidamento dei figli od
in quelli che debbono regolare
le modalità di frequentazione,
nell’atteggiamento
di chi, nel tempo
precedente, ha visto, e
vede, nella possibilità di
incrementare la frequentazione
dei comuni figli
con l’altro genitore, un
pericolo da evitare, un
lusso da non concedere.
Basterebbe prestare attenzione
a questi piccoli segni,
di cui v’è sempre
traccia nelle relazioni delle
Ctu già acquisite agli
atti, o basterebbe, ancora,
verificare come, spessissimo,
mai prima di allora,
vi fosse un qualche
cosa nella storia di quel
genitore (mai una denuncia,
mai un esposto, mai)
che consentisse di immaginarlo
come un mostro,
per dare la giusta posizione
alle carte processuali
denuncianti un abuso, nel
corso del processo separativo.
Ma v’è di più! Come detto,
sarebbe sufficiente,
per altro verso, verificare
il confezionamento delle
relazioni, che si allegano
a condimento della querela
vera e propria.
Proprio l’analisi delle relazioni
di parte allegate
alle denunce di abuso,
può farle considerare,
nella maggioranza dei casi,
veri e propri compendi
di quello che non dovrebbe
essere mai posto in essere,
da specialisti dell’area
psicologica, magari
sedicenti esperti dell’età
evolutiva.
Sempre accade che l’altro
genitore non sia stato avvisato,
preventivamente,
del comportamento strano
del piccolo/a che poi è il
motivo per il quale il genitore,
che si assume unico
custode della serenità
del figlio, lo ha portato
dal medico !
Né mai, successivamente,
al genitore assente, viene
restituito alcunché delle
verifiche effettuate diret-
di tamente dall’esperto incaricato.
Al contrario, nei
casi di abusi denunciati
nel corso di una separazione
o di una divorzio,
l’altro, il colpevole, (già
da ora e per sempre),
scoprirà tutte le nefandezze,
solo in occasione del
colpo di teatro, durante
una udienza o magari nell’attesa
della fissazione di
un ricorso, da lui incardinato,
per l’altrui decadenza
dalla potestà.
Altra singolarità, propria
della denuncie di abuso,
sorte in concomitanza
con il processo dei genitori
per la fruizione del
figlio/a, sembra essere
quella della dilatazione
dei tempi dall’acquisizione
della notizia all’esplosione
dell’effetto speciale
processuale.
Ma anche su tale evidentissimo
tema, nessun giudice
della separazione ha
mai sino ad ora brillato
per spirito di osservazione.
In un processo di separazione
dove, fino a poco
prima, ci si riempiva di
esposti contestuali, fatti
la sera per la mattina, magari
per un ritardo di poche
decine di minuti nel
rientro del fine settimana,
la denuncia di abuso, una
volta che l’esperto di fiducia
l’abbia accertata,
può dormire nei cassetti
dell’avvocato (anch’esso
esperto !!) fino a dieci,
quindici giorni, sino a
quando non si presenti il
momento giusto.
Ed infine, mai che l’esperto
di fiducia, senta il
suo dovere deontologico
e normativo di denunciare
direttamente, all’autorità
giudiziaria il comportamento
che ha accertato
essere abusante: in questi
casi ci si dimentica di
ogni solerzia a tutela del
minore: perché il genitore
(cliente pagante) ha detto
che ci pensava
l’avvocato.
Troppe sviste, troppe casualità
che si rincorrono
tutte eguali, per non costringere,
si spera in un
immediato futuro, la magistratura
civile e minorile,
ad osservare con il microscopio
tali particolari
denuncie. Prevedendo al
cospetto delle incongruenze
su richiamate
con il medesimo decreto
con il quale si fissano le
visite protette per il genitore
semplice accusato, la
contestuale diversa allocazione
del minore presso
un diverso nucleo parentale.
La subitanea reazione deve
infatti essere quella di
impedire che sul minore
venga consumata la tragedia
della reiterazione di
racconti, storie e falsi ricordi,
che non consentano
più nel futuro un accertamento
specchiato
della verità.
Come ha
correttamente
osservato
la Suprema
Corte nella
Sentenza
852/2007 (III
sez. Penale)
in occasione
della nota e
tristissima
vicenda dell’asilo
di Rignano
“l’assunto
secondo
il quale i
bambini piccoli
non
mentano
consapevolmente
e la
loro fantasia
attinge pur
sempre ad un
patrimonio
conoscitivo,
deve essere contemperato
con la consapevolezza
che gli stessi possono essere
dichiarati attendibili
se lasciati liberi di raccontare,
ma diventano altamente
malleabili in presenza
di suggestioni eteroindotte;
interrogati con
domande inducenti tendono
a conformarsi alle
aspettative dell’interlocutore.”
Ed una volta formato il
racconto nelle mente del
piccolo, questo viene ripetuto
con forza, vero o
non vero che sia, con il
conseguente sospetto a
vita sul capo del presunto
abusante, ma soprattutto
con la definitiva scomparsa
dell’innocenza comportamentale
del piccolo/a,
che dopo aver subito una
induzione al ricordo di tal
fatta, consciamente od inconsciamente
somministratagli,
non potrà mai
più essere la medesima
persona.
Purtroppo sembra che,
laddove una parte decida
di giocare la carta della
denuncia di abuso contro
l’altro genitore nel corso
di una separazione, la regola
non detta ma scientificamente
posta in essere
sia quella del tanto peggio
tanto meglio, se non si
raggiungerà mai la possibilità
di ricostruire la verità,
sarà meglio così,
perché da quell’ombra
non si potrà mai andare
assolti.
Ed alla fine quando la
CTU dichiarerà non credibile
quanto riferito molto
tempo prima dal minore,
ecco che nella stragrande
maggioranza dei casi nulla
viene accertato sul capo
di chi ha introdotto tale
anatema nella dinamica
processuale.
In troppo sentenze si è
letta la semplice presa
d’atto del problema superato,
giusto il parere del
consulente perché non
esistente, e nulla è stato
disposto per comprendere
cosa abbia a suo tempo
consigliato l’amorevole
altro genitore a dichiarare
quanto poi smentito dalla
perizia.
E’ tempo di mutare orientamento,
è tempo di analisi
più attente per rendere
effettivo il precetto del superiore
interesse del minore.
Di Giorgio Vaccaro