la calunnia dell'abuso sui minori
Date: Thursday, February 14 @ 17:17:51 CET
Topic: Articolo


Al giudice penale spetta accertare il fatto, diversamente al giudice della famiglia spetta tutelare il superiore interesse del minore. La nuova stesura del 155 Codice Civile



Nulla v’è di più odioso che approfittare di chi non possa difendersi, ma proprio per mantenere alta la guardia e la tutela dei piccoli si deve condividere, sempre di più, una metodologia che aiuti tutti i professionisti del sistema famiglia, a riconoscere quelli che possono essere gli indicatori di abuso da quelli che, palesemente, non lo sono.
Ecco perché è evidente che in prima battuta, proprio il contesto nel quale la denuncia di abuso viene a prendere corpo, non può essere indifferente.
Una cosa è denunciare un sospetto per un atteggiamento del figlio avente causa nel comportamento di un estraneo, o di un familiare, quando questo denunciare avvenga nel corso delle situazioni neutre del convivere sotto lo stesso tetto, o in un determinato ambiente.
Altra cosa è l’introdurre, come un fulmine a ciel sereno, questa tematica all’interno di un processo per la separazione, o il divorzio, di due genitori, o in un processo per l’affidamento di un figlio frutto di una unione naturale.
Dovrebbe essere evidente che nel contesto separativo dove, come abbiamo sempre ribadito, la litigiosità tra i due elementi della coppia è la colonna sonora naturale del momento, ogni elemento che vada a rinforzare la posizione dell’uno a scapito dell’altro, con al centro la possibilità di esercitare integralmente il controllo sul figlio/a, dovrebbe essere guardato con estremo sospetto.
Ma non è così. Ancora oggi lo scandalo che circonda la denuncia di abuso porta, addosso a chi riceve l’anatema, un alone di malvagità, proprio perché la figura dell’abusante, troppo spesso, si cela dietro il sorriso accattivante di uno sconosciuto, che all’apparenza era così per bene.
Questa è la vera forza devastante della denuncia di abuso, quella di ritagliare addosso a chiunque ne venga colpito, un sudario di sospetto; più questi è per bene, più ha, incredibilmente, tutte le caratteristiche per essere il perfetto abusante, quello del quale si è fatto male a fidarsi.
Purtroppo, questo anatema colpisce l’immaginario collettivo di tutti, anche di quelli che dovrebbero essere gli esperti, terzi tecnici e sereni, della fase del contenzioso, i Giudici.
Davanti ad una denuncia di abuso, confezionata nel corso di un processo separativo e/o di affidamento, tutti si fa un passo indietro, e la parola scritta sulla carta della querela, si stampa come un sigillo di inaffidabilità addosso al poverino, indicato come reo. Basta solo questo!
Diversamente non è dato comprendere come, al giorno di oggi, ed in barba a tutta la dottrina specialistica, al semplice pronunciare le parole di “presunti atti di libidine” l’attenzione di tante, troppe, Corti giudicanti venga immediatamente focalizzata sul disporre che il protagonista della storia (vera o falsa che sia non importa) venga immediatamente allontanato dalla piccola/o, senza minimamente indagare su nessun aspetto della concretezza della denuncia, perché vi provvederà altra autorità, quella penale con i suoi tempi. Ed è questo un grandissimo errore metodologico.
Al giudice penale spetta infatti accertare il fatto, diversamente al giudice della famiglia spetta tutelare il superiore interesse del minore, ed oggi con la nuova stesura del 155 codice civile tutelare a questi la fruibilità di entrambe le figure dei genitori. Ecco quindi che prima di aprire la botola sotto i piedi del genitore travolto dall’anatema, costringendolo di fatto lontano dal figlio per un periodo estremamente lungo, si dovrebbero porre in essere almeno le prime verifiche in ordine alla attendibilità ed al rispetto da parte di coloro che hanno siglato le prime relazioni, di quelle convenzioni scientifiche che sono state raggiunte dalla comunità degli operatori per tutelare il minore da false ipotesi di abuso; in difetto ogni segnalazione che venga depositata senza i crismi, proprio nel corso di un processo di separazione, dovrebbe aprire la fase delle necessarie verifiche, senza modificare i rapporti con nessuno dei due genitori.
Questo potrebbe in concreto scoraggiare la tentazione di sporgere una denuncia al solo scopo di interrompere la frequentazione con l’altro genitore. Ma cosa succede ora, nel frattempo?
Ecco, è proprio il tempo di mezzo, quello che passa tra l’anatema e l’esorcismo necessario per poterlo smontare, ad essere il grande assente nella preoccupazione e nell’analisi delle Corti Civili, alle prese con il problema.
Eppure, è dato di comune esperienza, che proprio quel tempo, quell’intermezzo sia il tempo dell’avvelenamento, con l’agire della induzione al ricordo.
Questo, ovviamente, sia che la storia sia vera, o che sia inventata, in entrambi i casi, l’amorevole adulto denunciante, si trasformerà in un geloso custode della memoria del piccolo/a che si assume offeso dal comportamento abusante.
Col palese fine di non lasciare impunito un misfatto, che si assume avvenuto, questi ribadirà, con parole, atteggiamenti, coccole, od altre comportamentalità evidenti, i ricordi dell’abuso, che si è denunciato come subito.
Allo stato di fatto, creerà evidenti, enormi, problemi a quella Autorità che dovrà poi intervenire per ricostruire un plausibile ricordo.
Pertanto, l’unico rimedio possibile appare quello di allontanare il piccolo/a sia dal presunto reo, sia anche, immediatamente e forse soprattutto, dal denunciante.
Questo nell’interesse del minore, e proprio per impedire che il denunciante, volente o nolente, inquini le prove dell’abuso, con inconsapevoli modi di fare, dire od essere, che confermino la tesi di quello che si assume avvenuto.
Sembrerebbe lapalissiano, perfino ovvio, ma, incredibilmente, ancora la maggior parte di quelli che hanno in mano le redini del destino dei minori, considerano l’induzione al ricordo alla stregua di un male di stagione, rispetto alla supposta enormità dell’anatema proferito, che così prende vita, e si rafforza ogni momento che passa, come un uragano.
Il primo segnale di questo lo si può facilmente cogliere, nei processi per l’affidamento dei figli od in quelli che debbono regolare le modalità di frequentazione, nell’atteggiamento di chi, nel tempo precedente, ha visto, e vede, nella possibilità di incrementare la frequentazione dei comuni figli con l’altro genitore, un pericolo da evitare, un lusso da non concedere.
Basterebbe prestare attenzione a questi piccoli segni, di cui v’è sempre traccia nelle relazioni delle Ctu già acquisite agli atti, o basterebbe, ancora, verificare come, spessissimo, mai prima di allora, vi fosse un qualche cosa nella storia di quel genitore (mai una denuncia, mai un esposto, mai) che consentisse di immaginarlo come un mostro, per dare la giusta posizione alle carte processuali denuncianti un abuso, nel corso del processo separativo.
Ma v’è di più! Come detto, sarebbe sufficiente, per altro verso, verificare il confezionamento delle relazioni, che si allegano a condimento della querela vera e propria.
Proprio l’analisi delle relazioni di parte allegate alle denunce di abuso, può farle considerare, nella maggioranza dei casi, veri e propri compendi di quello che non dovrebbe essere mai posto in essere, da specialisti dell’area psicologica, magari sedicenti esperti dell’età evolutiva.
Sempre accade che l’altro genitore non sia stato avvisato, preventivamente, del comportamento strano del piccolo/a che poi è il motivo per il quale il genitore, che si assume unico custode della serenità del figlio, lo ha portato dal medico !
Né mai, successivamente, al genitore assente, viene restituito alcunché delle verifiche effettuate diret- di tamente dall’esperto incaricato.
Al contrario, nei casi di abusi denunciati nel corso di una separazione o di una divorzio, l’altro, il colpevole, (già da ora e per sempre), scoprirà tutte le nefandezze, solo in occasione del colpo di teatro, durante una udienza o magari nell’attesa della fissazione di un ricorso, da lui incardinato, per l’altrui decadenza dalla potestà.
Altra singolarità, propria della denuncie di abuso, sorte in concomitanza con il processo dei genitori per la fruizione del figlio/a, sembra essere quella della dilatazione dei tempi dall’acquisizione della notizia all’esplosione dell’effetto speciale processuale.
Ma anche su tale evidentissimo tema, nessun giudice della separazione ha mai sino ad ora brillato per spirito di osservazione.
In un processo di separazione dove, fino a poco prima, ci si riempiva di esposti contestuali, fatti la sera per la mattina, magari per un ritardo di poche decine di minuti nel rientro del fine settimana, la denuncia di abuso, una volta che l’esperto di fiducia l’abbia accertata, può dormire nei cassetti dell’avvocato (anch’esso esperto !!) fino a dieci, quindici giorni, sino a quando non si presenti il momento giusto.
Ed infine, mai che l’esperto di fiducia, senta il suo dovere deontologico e normativo di denunciare direttamente, all’autorità giudiziaria il comportamento che ha accertato essere abusante: in questi casi ci si dimentica di ogni solerzia a tutela del minore: perché il genitore (cliente pagante) ha detto che ci pensava l’avvocato.
Troppe sviste, troppe casualità che si rincorrono tutte eguali, per non costringere, si spera in un immediato futuro, la magistratura civile e minorile, ad osservare con il microscopio tali particolari denuncie. Prevedendo al cospetto delle incongruenze su richiamate con il medesimo decreto con il quale si fissano le visite protette per il genitore semplice accusato, la contestuale diversa allocazione del minore presso un diverso nucleo parentale.
La subitanea reazione deve infatti essere quella di impedire che sul minore venga consumata la tragedia della reiterazione di racconti, storie e falsi ricordi, che non consentano più nel futuro un accertamento specchiato della verità.
Come ha correttamente osservato la Suprema Corte nella Sentenza 852/2007 (III sez. Penale) in occasione della nota e tristissima vicenda dell’asilo di Rignano “l’assunto secondo il quale i bambini piccoli non mentano consapevolmente e la loro fantasia attinge pur sempre ad un patrimonio conoscitivo, deve essere contemperato con la consapevolezza che gli stessi possono essere dichiarati attendibili se lasciati liberi di raccontare, ma diventano altamente malleabili in presenza di suggestioni eteroindotte; interrogati con domande inducenti tendono a conformarsi alle aspettative dell’interlocutore.”
Ed una volta formato il racconto nelle mente del piccolo, questo viene ripetuto con forza, vero o non vero che sia, con il conseguente sospetto a vita sul capo del presunto abusante, ma soprattutto con la definitiva scomparsa dell’innocenza comportamentale del piccolo/a, che dopo aver subito una induzione al ricordo di tal fatta, consciamente od inconsciamente somministratagli, non potrà mai più essere la medesima persona.
Purtroppo sembra che, laddove una parte decida di giocare la carta della denuncia di abuso contro l’altro genitore nel corso di una separazione, la regola non detta ma scientificamente posta in essere sia quella del tanto peggio tanto meglio, se non si raggiungerà mai la possibilità di ricostruire la verità, sarà meglio così, perché da quell’ombra non si potrà mai andare assolti.
Ed alla fine quando la CTU dichiarerà non credibile quanto riferito molto tempo prima dal minore, ecco che nella stragrande maggioranza dei casi nulla viene accertato sul capo di chi ha introdotto tale anatema nella dinamica processuale.
In troppo sentenze si è letta la semplice presa d’atto del problema superato, giusto il parere del consulente perché non esistente, e nulla è stato disposto per comprendere cosa abbia a suo tempo consigliato l’amorevole altro genitore a dichiarare quanto poi smentito dalla perizia.
E’ tempo di mutare orientamento, è tempo di analisi più attente per rendere effettivo il precetto del superiore interesse del minore.

Di Giorgio Vaccaro







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