Corrispondenza aziendale del dipendente
Date: Friday, February 22 @ 18:01:13 CET
Topic: Articolo


Nuovi profili sulla rilevanza penale della lettura da parte del dirigente.



Con una sintetica ma chiarissima pronuncia di poche settimane fa (la n. 47096/07), la Quinta Sezione del Supremo Collegio ha stabilito che il dirigente aziendale che - essendo legittimamente in possesso della password - accede al computer di un dipendente al solo fine di prendere cognizione del contenuto della corrispondenza telematica aziendale non commette il reato di violazione di corrispondenza (art. 616 c.p.).
La Corte, nel giungere a queste conclusioni, ha preso avvio dall’esegesi dell’art. 616 c.p., osservando, in merito alla differente tutela accordata alla corrispondenza “aperta” rispetto a quella “chiusa”, che: “la condotta di chi si limita a prendere cognizione [come nel caso di specie] è punibile solo se riguarda corrispondenza chiusa.
Chi invece prende cognizione di corrispondenza aperta è punito solo se l'abbia a tale scopo sottratta al destinatario ovvero distratta dalla sua destinazione”.
Particolare rilievo assume pertanto stabilire se la corrispondenza telematica aziendale possa avere natura di corrispondenza “aperta” o se, al contrario, rappresenti una forma di corrispondenza “chiusa”, in presenza della quale – come visto - potrà dirsi integrato il reato di cui all’art. 616 c.p. con la semplice “presa cognizione” della stessa da parte del soggetto agente. Sul punto la Corte di Cassazione ha però chiaramente sancito che tale “diffusa” forma di corrispondenza debba considerarsi chiusa “solo nei confronti dei soggetti che non siano legittimati all'accesso ai sistemi informatici di invio o di ricezione dei singoli messaggi. Infatti, diversamente da quanto avviene per la corrispondenza cartacea, di regola accessibile solo al destinatario, è appunto la legittimazione all'uso del sistema informatico o telematico che abilita alla conoscenza delle informazioni in esso custodite”.
Pertanto, essendo il soggetto legittimato all’utilizzo del servizio telematico di corrispondenza anche legittimato alla conoscenza – o quantomeno alla conoscibilità - del suo contenuto, nei confronti di esso detta corrispondenza dovrà ritenersi “aperta” e non “chiusa”.
In altri termini, ai fini della punibilità del soggetto che, essendo legittimato ad accedere alla corrispondenza telematica, prenda cognizione di essa, sarà necessario, vista la natura “aperta” di tale tipologia di corrispondenza, che la presa di cognizione del suo contenuto rappresenti lo scopo di una precedente sottrazione o distrazione di detta corrispondenza dalla sua originaria destinazione.
La sentenza in esame appare di notevole pregio anche nel punto in cui sottolinea che la legittimazione all’utilizzo del servizio di corrispondenza telematica, titolo a sua volta abilitante alla conoscenza delle informazioni in esso contenute, dipenderebbe non solo dalla proprietà del mezzo – come invece dedotto dal Giudice di primo grado – ma principalmente dalle norme regolatrici dell’uso degli impianti.
Nessun rilievo avrebbe quindi la destinazione del mezzo telematico non solo al lavoro ma anche alla comunicazione come invece sostenuto da una lettura costituzionalmente orientata (art. 15 cost.) fatta propria dal ricorrente.
In particolare osserva il Giudice di legittimità che, qualora il sistema telematico sia protetto da una password (come nel caso di specie) debba ritenersi che la corrispondenza in esso custodita sia lecitamente conoscibile da parte di tutti coloro che legittimamente dispongano della chiave informatica di accesso, a condizione comunque che il dipendente - utilizzatore abituale del servizio di corrispondenza telematica in oggetto – sia stato informato della possibilità e delle modalità di accesso al proprio computer da parte del dirigente. Ne consegue che il dirigente che, previa adeguata informativa al dipendente, utilizzi la password - legittimamente detenuta – al solo fine di prendere cognizione della corrispondenza telematica aziendale del dipendente, non commette il reato di violazione di corrispondenza (art. 616 c.p.).
Sulla base di tali argomenti - peraltro pienamente condivisibili - il Supremo Collegio ha quindi rigettato il ricorso presentato dal P.M. del Tribunale di Torino contro una sentenza che aveva prosciolto un dirigente aziendale dall’accusa di avere abusivamente preso cognizione della corrispondenza informatica aziendale di una dipendente, licenziata poi sulla base delle informazioni così acquisite.

Di Francesco Salamone







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