Un vero e proprio problema sociale
La vexata questio della
compensazione delle
spese di giudizio costituisce
un problema noto a tutti
gli operatori del diritto e - purtroppo
per loro - anche a molti
malcapitati clienti che, pur essendo
risultati totalmente vittoriosi
in giudizio, si sono visti
costretti a pagare al proprio legale
le spese processuali, a
volte anche particolarmente ingenti.
Personalmente ho sempre
ritenuto immorale che fosse
lasciata ai giudici una discrezionalità
senza limiti e ho
fatto di tutto per modificare
l’orientamento giurisprudenziale,
che nel secolo scorso,
era praticamente incontrastato.
La prima dirompente inversione
di tendenza si è avuta con
la sentenza 26 gennaio-5 maggio
1999 n. 4455 della Prima
Sezione Civile della Corte di
Cassazione, la quale ha affermato
la necessità di una, almeno
implicita, motivazione della
compensazione delle spese a
danno della parte totalmente
vittoriosa. Mi preme sottolineare,
tra l’altro, che ciò si
rende ancor più necessario
quando contraddittore del cittadino
è la pubblica amministrazione,
che, allorché viola le
norme regolamentatrici del suo
comportamento, non può e non
deve essere favorita da provvedimenti
giudiziari privi, oltretutto,
di qualsivoglia ragione
giustificatrice. Nei primi anni
2000 si sono susseguite molteplici
pronunce di legittimità
che hanno, in buona sostanza,
trasformato in dominante l’orientamento
secondo cui l’esercizio
del potere di compensazione
delle spese non può risolversi
in mero arbitrio (Cass.
14 marzo 2003 n. 3801, Cass.
26 marzo 2003 n. 4474, Cass.
25 gennaio 2006 n. 1422,
Cass. n. 6699/06, Cass. n.
7699/06, Cass. 11 dicembre
2006 n. 26408, Cass. 21 dicembre
2006 n. 27310, Cass.
9 marzo 2007 n. 5457, Cass.
19 novembre 2007 n. 23993).
Il tema dell’arbitraria compensazione
delle spese stava così
tanto assurgendo ad un vero e
proprio problema sociale, che
addirittura il legislatore è stato
costretto ad intervenire con la
Legge 28 dicembre 2005 n.
263 per dare un’interpretazione
autentica del secondo comma
dell'art. 92 c.p.c., integrandolo
nel modo seguente: «Se vi
è soccombenza reciproca o
concorrono altri giusti motivi,
esplicitamente indicati nella
motivazione, il giudice può
compensare, parzialmente o
per intero, le spese tra le parti
»; modifica che è entrata in
vigore dal 1° marzo 2006.
Nonostante nel merito la giurisprudenza
di legittimità si stesse
ormai orientando nel senso
sopra richiamato anche per le
cause antecedenti a tale data,
alcuni giudici della Suprema
Corte rimanevano vincolati al
vecchio orientamento e, alla fine,
la questione è stata rimessa
alle Sezioni Unite per risolvere
il contrasto tra i diversi indirizzi.
Grazie a due identiche sentenze,
il tormentato iter giurisprudenziale
sulla compensazione
delle spese processuali,
si è poi concluso con la definitiva
esclusione della arbitrarietà
da parte del giudice di
merito di compensare le spese
giudiziali in presenza di una
soccombenza totale. Le due
decisioni in esame (Cass., Sez.
Unite, 30 luglio 2008 n. 20598
e 20599), ottenute entrambe
dal sottoscritto, hanno il grande
pregio di aver affrontato il
percorso storico e l’evoluzione
della giurisprudenza di legittimità
a partire dagli anni ’60 fino
ai giorni nostri, offrendone
un panorama completo ed
esaustivo. Ciò ha contribuito a
mettere in evidenza il radicale
mutamento nell’interpretazione
dell’art. 92 c.p.c., che nel tempo
ha portato a considerare
prevalente la tesi della necessità
di motivazione della compensazione
delle spese, molto
ben esposta nella storica ed innovativa
sentenza n. 4455/99,
cui le Sezioni Unite integralmente
si sono richiamate. Pertanto,
anche per i giudizi incardinati
precedentemente al 1°
marzo 2006, il principio di diritto
indicato dalle Sezioni
Unite è il seguente: «…ritiene
il collegio che il contrasto vada
superato affermando la necessità
che il provvedimento di
compensazione parziale o totale
delle spese per “giusti motivi”
trovi nella sentenza un
adeguato supporto motivazionale,
anche se a tal fine non è
necessaria l’adozione di motivazioni
specificamente riferite
a detto provvedimento, purché,
tuttavia, le ragioni giustificatrici
di esso siano chiaramente e inequivocamente desumibili
dal complesso della motivazione
adottata a sostegno della
statuizione di merito». La Corte
ha anche indicato sommariamente
alcuni casi in cui possono
sussistere realmente i motivi
per compensare le spese: «...
a titolo meramente esemplificativo,
potrebbe ritenersi assolto
detto obbligo di motivazione
ove si desse atto nella
motivazione del provvedimento
di merito (ma sarebbe anche
sufficiente che fosse desumibile
in modo inequivoco dai contesto
delle argomentazioni)di oscillazioni giurisprudenziali
sulla questione decisiva, ovvero
di oggettive difficoltà di accertamenti
in fatto idonee a
incidere sulla esatta conoscibilità
a priori delle rispettive
ragioni delle parti, ovvero di
una palese sproporzione tra
l’interesse concreto realizzato
dalla parte vittoriosa e il costo
delle attività processuali
richieste, ovvero, ancora, di
un comportamento processuale
ingiustificatamente restio a
proposte conciliative plausibili
in relazione alle concrete risultanze
processuali, ecc.».
Nell’ipotesi in cui il giudice
del merito dovesse ricorrere
ad una di tali formule in modo
apodittico e senza fondamento,
è evidente come detta
statuizione sia impugnabile
per manifesta illogicità, palese
erroneità e contraddittorietà
della motivazione. Tuttavia, la
vecchia abitudine di decidere
a proprio piacimento sulla liquidazione
delle spese processuali
è talmente dura a
morire che tuttora vi è una
tendenza diffusa e costante
da parte dei giudici di merito
di compensare le spese legali
con motivazioni insussistenti.
Il legislatore, pertanto, nel disegno
di legge n. 1082, passato
al Senato dopo l’approvazione
della Camera, ha
previsto una disciplina ancor
più restrittiva della compensazione,
stabilendo che le
spese possano essere compensate
- oltre all'ipotesi della
soccombenza reciproca -
soltanto quando “concorrono
altre gravi ed eccezionali ragioni,
esplicitamente indicate
nella motivazione”. In questo
modo è stata recepita l’assoluta
esigenza sociale che le
spese seguano sempre la soccombenza.
Mauro Vaglio
*AVVOCATO DEL FORO DI ROMA,
CONSIGLIERE ORDINE AVVOCATI DI ROMA