Per il presunto reato di vilipendio
Non posso nascondere
lo sconcerto nell'apprendere,
quale
avvocato e quale iscritto alla
Camera Penale di Roma,
la notizia della iniziativa
del Presidente dell'Unione
delle Camere Penali, avv.
Oreste Dominioni, di denunciare
l'on. Antonio Di
Pietro per il presunto reato
di vilipendio del Capo dello
Stato. Lo sconcerto è aumentato
aprendo il sito dell'UCPI
e leggendo la polemica
con il contenuto della
trasmissione Matrix, fatto
che lascia intendere che
l'Unione ha fatto propria la
iniziativa del presidente
Dominioni. Non mi risulta
che le Camere Penali si
siano mai pronunciate nel
senso di denunciare penalmente
un loro collega (l'on.
Di Pietro è attualmente un
avvocato) per un reato politico.
Senza entrare nel
merito delle dichiarazioni
dell'on. Di Pietro, può essere
condiviso che una associazione
che ha quale
scopo statutario fondamentale
l'affermazione che «il
diritto di difesa deve trovare
adeguata rappresentanza
e tutela politica, quale
strumento di garanzia delle
potenzialità dell'individuo»assuma una simile iniziativa
senza alcun confronto preventivo
con la base dei propri
iscritti, cioè le singole Camere
Penali e gli avvocati ad esse
aderenti?
L’avv. Oreste Dominioni è un
professionista di enorme valore,
che tante volte si è battuto
per la libertà dei propri
assistiti, e sono quindi convinto
che, nel suo intimo di
Avvocato con la «A» maiuscola,
si renda conto che la
sua iniziativa contrasta con
quei principi da lui sempre
propugnati e per i quali gode
della unanime stima. Talvolta
gli avvocati hanno dei clienti
ingombranti ai quali è difficile
dire di no, quando essi
chiedono di assumere posizioni
legalmente corrette, anche
se in contrasto con il modo
di essere del loro difensore.
Nulla si avrebbe quindi da
eccepire se la denuncia fosse
partita dal professionista,
avv. Dominioni: lo sconcerto
nasce dal fatto che l'UCPI se
ne sia assunta di fatto la paternità.
Peraltro, nel merito,
l'ascolto delle parole integrali
dell'on. Di Pietro nella trasmissione
Matrix fa ritenere
che nei confronti del Capo
dello Stato vi sia stata una
critica politica severa nel rispetto
del principio della
continenza e che, quindi,
l'UCPI, se proprio avesse voluto
pronunciarsi sulla vicenda,
avrebbe dovuto eventualmente
schierarsi a difesa del
proprio collega parlamentare
travolto nel tritacarne di polemiche
mediatiche giustizialiste
e, come tali, lontane dai
basilari principi di diritto e di
tolleranza a difesa dei quali
l'avvocatura penale è sempre
stata in prima linea.
Anche perché, come ho avuto
modo di scrivere in difesa
di altro illustre imputato per
il medesimo reato, nella storia
della legislazione italiana,
il delitto politico acquisisce
una valenza a volte positiva,
con una sorta di favor rei nel
caso in cui comportamenti
anche violenti (quali saccheggi,
devastazioni, ecc.) si
siano verificati per motivi
politici, ed a volte negativa,
con inasprimenti delle pene e
delle condizioni di detenzione
anche per i reati di opinione.
Dal 1926 e per tutta la
durata del periodo fascista, il
carattere politico del reato
aveva una valenza negativa,
con casi di incriminazione di
comportamenti altrimenti
non puniti, quale l'espatrio
clandestino per motivi politici,
o di aggravamento della
pena per il delitto politico rispetto
alla medesima fattispecie
comune.
E' innegabile che il vilipendio
al Capo dello Stato di cui
all'art. 278 c.p. è un delitto
contro la personalità dello
stato di natura prettamente
politica, che trova origine nel
cosiddetto reato di «lesa
maestà» presente nell'ordinamento
precedente alla Costituzione
Repubblicana, modificato
dall'Assemblea Costituente
con L. 1317 dell'11
Novembre 1947, prima della
approvazione della Costituzione,
ma in un periodo nel
quale l'influenza della legislazione
monarchica e fascista
era ancora enorme.
Ciò ha portato più volte gli
studiosi ad esprimere i loro
dubbi sulla sua rispondenza
al principio di libertà di manifestazione
del pensiero di
cui all'art. 21 Cost. anche
alla luce del fatto che il legislatore
dal 1947, pur volendo
liberalizzare il sistema,
non aveva ancora quale punto
di riferimento giuridico e
psicologico la Costituzione
ed i relativi limiti di punibilità
imposti da tale norma.
Gli avvocati ben sanno che
anche nella Repubblica vi è
stata un'alta incidenza delle
incriminazioni fatte in ragione
della politicità dei reati e
la sopravvivenza, sotto la
nozione di delitto politico, di
modalità persecutorie tipiche
del «crimen leasae maiestatis
», tant'è che, dopo la approvazione
della Costituzione,
si è assistito all'introduzione
ed alla permanenza
nell'ordinamento italiano di
norme che fanno della politicità
(per esempio sotto la
forma di «finalità di terrorismo
e di eversione dell'ordinamento
democratico/costituzionale
») la causa o di incriminazione
di comportamenti
altrimenti non puniti o
di forte aggravamento della
pena. Che il reato di cui si
vuole processare l'on. Di
Pietro sia un reato politico
d'opinione è provato dal fatto
che l'art. 278 c.p. subordina
l'esercizio dell'azione penale
all'autorizzazione a procedere del Ministro della Giustizia
di cui all'art. 313 c.p..
Orbene, dalle origini dello
stato unitario, la tecnica adottata
dal potere per controllare
un fenomeno politico (politicizzazione
o criminalizzazione)
e la fase in cui si trova il
fenomeno stesso (di crescita o
di esaurimento), passa attraverso
il potere esecutivo con
la concessione o meno delle
autorizzazioni a procedere ed
attraverso quello legislativo
con la concessione dei provvedimenti
di amnistia. Non a
caso sin dal R.D. 4/6/1899 n.
192, i reati che compaiono
più di frequente amnistiati per
riferimento diretto da parte
del legislatore sono quelli di
«offesa al re» e «vilipendio
delle istituzioni
costituzionali» (artt. 125 e
126 del Cod. Pen. Zanardelli).
Il difensore dell'on. Berlusconi,
avv. Dominioni, ha sostanzialmente
chiesto che il Ministro
Alfano decida se l'on. Di
Pietro, che ha presentato un
referendum contro il «lodo
Alfano» a tutela degli interessi
dell'on. Berlusconi, debba essere
o meno processato.
Ottima mossa, quale difensore
del proprio cliente: ma cosa
c'entra l'Unione delle Camere
Penali?
AVVOCATO DEL FORO DI ROMA
Di Romolo Reboa
Avvocato del Foro di Roma