E' autolesionismo?
Nel dopoguerra la rappresentanza dell’Avvocatura
si realizzava tramite i suoi esponenti di spicco e i personali rapporti privilegiati che essi intrattenevano con esponenti del Governo e della politica.
Negli anni ‘80 i cambiamenti profondi della società
italiana, con la sempre maggiore influenza dei mezzi di comunicazione di massa, di organizzazioni collettive sociali e politiche, misero in crisi quel modello di rappresentanza, rendendo sempre
più evidente che l’Avvocatura era assente nel dibattito pubblico, sicché, ad esempio, le riforme della giustizia le passavano sulla testa, quando non le venivano imposte, mentre la crisi della giustizia, e conseguentemente della professione,
continuava ad aggravarsi. Si tratta di quella crisi di rappresentanza dell’Avvocatura che, progressivamente peggiorando, è giunta fino
ad oggi e che deriva dal carattere binario delle sue
componenti, Istituzionali e Associative.
Nell’Avvocatura vi sono 3 soggetti, oltre
alla Cassa Forense, che in qualche modo rivendicano frammenti della sua rappresentanza:
il CNF, i Consigli degli Ordini e le Associazioni
forensi.
1) Le Associazioni Forensi hanno la rappresentanza associativa garantita loro dalla Costituzione, ma erano, e sono, presenti solo a “ macchia
di leopardo” sul territorio e, quindi, mancano di
una “rappresentatività orizzontale” sufficiente.
2) Il CNF invoca i poteri di parere sulle leggi riguardanti la giustizia, garantitigli dalla sua legge istitutiva, ma trova opposizione ad assumere un ruolo di rappresentanza politica, sia per la sua natura giurisdizionale, sia sul metodo di
designazione dei suoi componenti (di secondo grado e riferito ai Distretti) ritenuto non rispettoso di corretti criteri democratici di proporzionalità rappresentativa.
3) Ai Consigli degli Ordini, che pure hanno acquistato, in assenza delle associazioni,
una rappresentanza di fatto in molti Fori, si obietta
che, in un regime non corporativistico quale quello
repubblicano, non può attribuirsi rappresentanza politica ad un organo pubblico, a cui è obbligatorio iscriversi per esercitare la professione; ad un organo pubblico che, per di più, avendo il potere
di vaglio deontologico dei propri iscritti, con conseguenze pesanti per la stessa possibilità di esercitare la professione, non può essere
contemporaneamente rappresentante “politico”, perché ciò ne minerebbe irrimediabilmente
la credibilità e l’imparzialità. Con l’aggravante
che il grande numero di Consigli dell’Ordine (che
sono attualmente poco meno di 170) e la puntigliosa difesa dei loro poteri e della
loro autonomia, ne ha reso impossibile farne il riferimento di una rappresentanza unitaria nazionale. Questo carattere binario, associativo
e istituzionale, della struttura di rappresentanza
degli avvocati, causa un bailamme di voci contrastanti, che consegna all’opinione pubblica un’immagine di un’Avvocatura divisa, creando nei suoi interlocutori e nell’opinione pubblica
legittimi dubbi su chi possa effettivamente parlare
a suo nome. Cominciò allora a maturare, in molti
esponenti delle varie componenti forensi, l’idea che fosse indispensabile, anche a costo di rinunciare ad
alcune delle proprie convinzioni, realizzare una rappresentanza unica, che esprimesse la voce dell’Avvocatura, dopo un corretto confronto
democratico delle varie posizioni. Una struttura
unitaria tale da porsi come credibile e valido interlocutore del Governo, delle Forze Politiche e Sociali, degli organi di stampa e dei media, e soprattutto dell’ANM, naturale contraddittore
dell’Avvocatura, che, al contrario, si esprime
all’esterno con carattere monolitico e nazionale, riuscendo a comporre le pur esistenti differenze delle sue correnti. Ma come realizzare l’unità rappresentativa di soggetti dalla natura
così diversa? Cominciò quindi un lungo e
faticoso percorso di confronti e di proposte fra tutti
i protagonisti, istituzionali e associativi, per individuare una soluzione, iniziato nel 1982 e concluso con il Congresso Straordinario di Venezia
del 1994, che pervenne alla coraggiosa decisione
finale di sancire nello stesso Congresso, non più giuridico, ma solo Nazionale Forense, quella rappresentanza unitaria che si andava
cercando da più di un decennio e, fra un Congresso
ed il successivo, una sua Av v o c a t u r a.
Il carattere binario delle componenti
istituzionali e associative dell’avvocatura. L’Oua deve essere potenziato. L’OUA è quindi un organo, emanazione del Congresso Nazionale Forense che ne designa i componenti, con il potere di dare esecuzione ai deliberati congressuali e di assumere,
in nome e rappresentanza dell’Avvocatura, le appropriate decisioni politiche nelle more fra un
Congresso e il successivo, salva la possibilità di convocazione straordinaria del Congresso anche prima dei termini naturali. Chi afferma quindi disinvoltamente che l’OUA sarebbe un’associazione, mi auguro che, nella migliore
delle ipotesi, sia solo male informato. Fin dall’inizio
dell’attività dell’OUA fu evidente, sia la necessità di fornire a tale organismo i mezzi, anche economici, adeguati ai suoi compiti, sia l’esigenza che Ordini, CNF e Associazioni non lo boicottassero, rispettando quel tacito patto che è base della sua costituzione, cioè che, a prescindere dalle differenze di opinioni e posizioni, in ogni
caso sia interesse di tutti avere un Organismo di rappresentanza unitaria.
Il grande entusiasmo che la nascita dell’OUA aveva suscitato all’inizio e i successi iniziali con la grande manifestazione di protesta al teatro Adriano di Roma, furono ben presto offuscati da impedimenti ed ostacoli di varia natura.
In primo luogo dalle Camere Penali che si dissociarono, con una visione, a mio parere, miope, la quale, cercando di preservare la visibilità
di una singola associazione, ha però indebolito
l’Avvocatura tutta. Il riemergere poi di quelle conflittualità e divisioni fra le varie componenti, che già aveva reso così faticoso e tortuoso la realizzazione dell’Organismo unitario. Il
venir meno, infine, del consenso e del contributo economico di importanti Ordini, in primis proprio quello di Roma, con tutta la valenza negativa, anche politica, che questo ha comportato.
Tali ostacoli, nonostante i meriti dei Colleghi che
hanno dedicato tempo, risorse e passione
all’attività di quest’Organismo e ai quali dobbiamo gratitudine, hanno impedito all’OUA di conseguire
appieno quegli obiettivi che, nel vararlo, si sperava
di realizzare.
Condivido quindi alcune perplessità che sono state espresse sulle carenze dell’OUA, frenato dagli accennati ostacoli obiettivi.
Ma ai critici e quindi, anche a me stesso, pongo alcune domande: quali sono le alternative
possibili in sostituzione dell’OUA? Non mi
pare infatti di aver mai colto alcuna proposta alternativa da parte di chi ne critica l’azione o ne propone l’abolizione.
Forse si ritiene auspicabile un’Avvocatura che, senza un organo di rappresentanza unitaria, apparirebbe, e sarebbe in effetti, divisa, politicamente assente, mentre una gravissima
crisi, anche economica, ne mette in forse la sopravvivenza?
E anche nel caso ipotetico che fosse proposta
una soluzione alternativa, forse che la sua attuazione non incontrerebbe gli stessi immensi problemi, affrontati negli anni 80-90, che resero così difficile e faticoso pervenire ad una soluzione
condivisa? E infine, può l’Avvocatura, al cospetto
dell’attuale devastante crisi della Giustizia e della
professione, permettersi il lusso di ricominciare tutto daccapo, gettando alle ortiche decenni di lavoro e di confronto, per affrontare un percorso che potrebbe durare altri decenni?
Risulta, a mio parere, evidente come sia impossibile, immaginare soluzioni alternative,
che farebbero rinascere immediatamente le
stesse polemiche e contrapposizioni, che la nostra generazione si era illusa di avere superato per sempre.
Da tutto ciò, nasce la conclusione inevitabile: l’OUA può, e deve, essere corretto e modificato, ma soprattutto potenziato e sostenuto, in primo luogo rinnovando quel “gentlemen agreement” che era alla base della sua costituzione e lavorando per l’eliminazione degli altri ostacoli che ne hanno frenato l’azione.
La sua abolizione sarebbe un disastro, lasciando come unico rappresentante dell’Avvocatura le Camere Penali con i loro interessi settoriali e confermando la vocazione all’autolesionismo
che incombe come una condanna sulla categoria
Forense.
Giorgio Palenzona
Avvocato del Foro di Roma