La disciplina giuridica delle acque in Italia
Date: Tuesday, June 16 @ 19:50:36 CEST
Topic: Articolo


Tutela e sviluppo economico delle risorse idriche

Nel Libro VIII delle Leggi di Platone si afferma il principio che chi inquina le acque pubbliche è nemico della Patria. In particolare “l’acqua è assai indicata per nutrire gli orti, ma si inquina facilmente: né a terra, né il sole, né i venti, che con l’acqua concorrono al nutrimento dei vegetali che crescono dalla terra, si possono facilmente inquinare con i veleni, o deviare, o rubare, mentre per quanto riguarda la natura dell’acqua, è possibile che avvenga tutto questo; ecco perché essa ha bisogno dell’aiuto della legge.
Questa sia dunque la legge sull’acqua: se uno inquina volontariamente con veleni l’acqua di un altro, sia di fonte o anche raccolta, o con scavi la devia e la ruba, il danneggiato lo denunci agli astinomi, mettendo per iscritto la stima del danno. E se quel tale risulti colpevole di aver danneggiato con dei veleni, oltre alla multa purifichi la fonte o la riserva d’acqua, a seconda delle modalità indicate dalle norme degli interpreti delle leggi secondo le quali deve ogni volta avvenire la purificazione per ciascuno”.
Con la riforma del regime delle acque, attuata negli anni 1916-1920, si introduce il riconoscimento della prevalenza degli usi di interesse pubblico generale, connessi alle esigenze dello sviluppo economico, rispetto agli usi individuali privati. I successivi sviluppi della disciplina giuridica delle acque in Italia confermano una tendenza al consolidamento di tale indirizzo con conseguente riduzione della categoria delle acque private e l’ampliamento della categoria delle acque pubbliche e ciò per garantire quelle utilizzazioni dell’acqua volte a soddisfare le esigenze economico-sociali di rilevante interesse pubblico, via via emergenti e ritenute dal legislatore meritevoli di tutela, sì da pervenire nel 1933 (r.d. 11 dicembre 1933 n. 1775) al principio, legislativamente sancito, della natura pubblica di tutte le acque suscettibili di usi di pubblico interesse, ferma rimanendo la natura privata delle acque prive di tale requisito.
Sennonché, nell’ultimo quarantennio, l’enorme incremento dei consumi d’acqua con conseguente carenza di risorse disponibili e il diffuso e crescente inquinamento hanno posto in evidenza le lacune dell’ordinamento giuridico in tema di tutela delle risorse idriche, in particolare la mancanza di una legislazione adeguata alle moderne esigenze di tutela delle acque e di coevo sviluppo economico. Inizia quindi nel nostro ordinamento un processo evolutivo di accentuata considerazione dell’interesse pubblico alla tutela della qualità delle acque, in virtù del quale si perviene nel 1976 ad un primo intervento legislativo organico con la legge 10 maggio 1976 n.319, nota come legge Merli, che affronta globalmente il problema degli scarichi dei corpi idrici. Tale provvedimento, si è dimostrato nel tempo insufficiente e comunque poco efficace a causa, tra l’altro, di una lenta ed inadeguata applicazione.
Sul piano legislativo nazionale, nel corso della X legislatura, con l’approvazione della legge 18 maggio 1989 n. 183 sulla difesa del suolo (oggi d.lgs. 152/2006), si recepisce il principio secondo cui l’uso e la tutela delle acque vanno considerati unitariamente nell’ambito dei bacini idrografici. Tra gli altri obiettivi da perseguire con i piani di bacino vengono infatti presi in considerazione anche la razionale utilizzazione e il risanamento delle risorse idriche, superficiali e sotterranee. A tal fine le prime fondamentali disposizioni vengono inserite nella legge 5 gennaio 1994 n.36 (oggi facente parte del d.lgs. 152/2006), nota come Legge Galli, dal nome del Deputato proponente e relatore, la quale introduce nell’ordinamento del nostro Paese una radicale riforma che ha per obiettivo primario il soddisfacimento della fondamentale esigenza di una gestione delle acque, volta a consentire una utilizzazione accorta e razionale di tale risorsa che ne garantisca la conservazione.
La legge 36/1994 sancisce il principio che gli usi delle acque non possono prescindere da tener conto dell’esigenza del risparmio e del rinnovo delle risorse per non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell’ambiente, l’agricoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrogeologici.
Assume specifica rilevanza il riferimento all’agricoltura, in quanto il fine di non pregiudicare l’agricoltura viene considerato alla pari delle altre finalità pubbliche di interesse generale da tutelare.
Unitamente al nuovo regime delle acque, la legge 36/1994 introduce nel nostro ordinamento anche una profonda riforma del settore della gestione distinguendo tra servizio idrico integrato, che ricomprende acquedotti, fognatura e depurazione, ed usi produttivi. Per il servizio idrico integrato la governance è affidata alla Autorità d’ambito che aggrega Comuni e Province su ambiti territoriali delimitati sulla base di confini idrografici. Per gli usi produttivi, viceversa, ed in particolare per gli usi irrigui costituenti l’uso produttivo prevalente, si conferma il ruolo dei consorzi di bonifica e di irrigazione, le cui funzioni, negli ambiti territoriali di competenza, vengono estese anche agli usi plurimi delle acque ed al riuso delle acque reflue. Tale scelta, corrisponde anche all’impegno di rispettare il principio di sussidiarietà cui deve ormai adeguarsi, anche secondo le regole europee, la governance territoriale.
In particolare per il regime delle acque tale fondamentale regola è stata dettata dalla Direttiva approvata dall’Unione Europea nel 2000, che istituisce un quadro per la politica comunitaria in materia di acque. Tra i principi cardine della Direttiva va ricordato il seguente: “L’acqua non è un prodotto commerciale al pari degli altri, bensì un patrimonio che va protetto, difeso e trattato come tale”.
Su tale proposizione occorrono attente riflessioni giacché essa pone in evidenza la predominante considerazione dell’acqua come risorsa naturale e non già come bene economico; d’altra parte, in ragione della prioritaria rilevanza di tale principio, la direttiva detta norme che sono, complessivamente e univocamente, finalizzate a garantire la protezione ed una utilizzazione sostenibile delle acque nel rispetto del principio della sussidiarietà. L’esigenza primaria è, quindi, sempre quella del contemperamento tra utilizzazione e tutela. Tutela che in Italia viene disattesa a causa della scarsità di fondi destinabili al miglioramento delle infrastrutture idriche.
Spesso si sente parlare di acquedotti colabrodo, dimenticando infatti che la vera emergenza italiana riguarda la fognatura e la depurazione, non gli acquedotti: infatti, il 15% del Paese non ha ancora fognature e il 30% non ha depuratori. E' quanto emerge dalla fotografia delle infrastrutture idriche, scattata dal Blue Book, il libro a cura di Utilitatis in collaborazione con Anea, presentato a Bari il 27 maggio 2009. Il servizio di acquedotto, si rileva, copre il 95,9% della popolazione (con una rete totale di 337.452 km), per il servizio di fognatura si copre l'84,7% (con una rete totale di 164.473 km) e per il servizio di depurazionesi arriva al 70,4%. In pratica al 15% dei cittadini mancano le fognature e a quasi il 30% i depuratori.
Gli interventi sono costosi e necessari. Molti progetti sono già esistenti e cantierabili, ma, rileva il Blue Book, ''l'instabilita' normativa che riguarda tutto il settore dei servizi pubblici locali ed in particolare l'acqua, r e n d e difficile l ' a v v i o delle opere ed il reperimento delle risorse finanziarie'.
Gli investimenti dei primi anni di gestione sono particolarmente onerosi in quanto nel sistema Italia il SII risulta sottocapitalizzato e da diversi anni non si fanno significativi investimenti di settore. Se si volesse rispondere solo alle necessità più urgenti riversando totalmente i costi sul sistema degli ATO si produrrebbe o la situazione insostenibile per il cittadino utente o la paralisi.
La Regione Lazio, ad esempio, con DGR n. 668/2007 ha previsto un finanziamento pari a circa 365 mila euro per interventi in materia di depurazione e fognatura da destinare ai vari ATO regionali e destinati a non ricadere sulla tariffa del SII. Altre Regioni ravvisano la necessità di individuare nuove strade.
Sul versante invece della tutela del cittadino /utente, come noto, la Regione Lazio già con LR 26/98 ha previsto: il Garante Regionale del servizio Idrico Integrato, la Consulta regionale degli Utenti e Consumatori (unico caso in Italia), gli organismi di tutela degli utenti e consumatori a livello provinciale (OTUC), il Consiglio delle Segreterie Tecnico Operative (presieduto dal garante), l’Osservatorio sulla gestione delle risorse idriche. Inoltre, il Garante, in data 3 luglio 2007 ha approvato le linee guida di Carta dei servizi che sono state adottate con delibera di Giunta Regionale in data 21 gennaio 2009. Infine, altra questione rilevante concerne l’adeguamento della normativa regionale di settore con il nuovo art. 23 bis di cui alla Legge n.133/2008, che fissa una scadenza al 31/12/2010 per “liberalizzare” il mercato idrico. Appare quindi necessario affrontare il problema del contemperamento tra disposizioni non omogenee e analizzare gli effetti che queste producono sulle concessioni rilasciate con procedure diverse dall’evidenza pubblica.

Lucia Pitzurra
Garante del Servizio Idrico integrato della Regione Lazio





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