Fattispecie di recente trattazione nel panorama giuridico
Date: Wednesday, June 17 @ 17:43:33 CEST
Topic: Articolo


Legislazione in materia di mobbing

Il mobbing è una fattispecie di recente trattazione nel panorama giuridico italiano. Il termine è di derivazione anglosassone ed è stato coniato per descrivere un comportamento aggressivo finalizzato all'emarginazione di un determinato soggetto. Si parla quindi di relazioni intersoggettive che si attuano con determinate, precise, modalità all’interno di una comunità e che vengono poste in essere con uno specifico scopo. Già da questasemplice definizione si possono enucleare gli elementi costitutivi della fattispecie del mobbing: 1. una pluralità di comportamenti lesivi; 2. una precisa volontà lesiva; 3. un pregiudizio che ne deriva alla vittima. Si tratta, come facilmente intuibile, di una condotta che può essere riscontrata in numerosi ambienti, si parla anche di mobbing familiare per indicare quei comportamenti tesi a estromettere un genitore dalle scelte relative all’educazione istruzione e mantenimento dei figli, e che nasce addirittura per descrivere precise dinamiche comportamentali di alcune specie animali. Restringendo il campo di indagine dobbiamo concentrarci sulla pratica del mobbing all’interno dei luoghi di lavoro, dunque su quei comportamenti persecutori posti in essere dal datore di lavoro o sovraordinato gerarchico nei confronti, rispettivamente del dipendente ovvero del sottoposto; o ancora della condotta vessatoria realizzata dai colleghi di lavoro della vittima, secondo il duplice, tradizionale, schema del mobbing verticale e di quello orizzontale.
Perché si abbia mobbing dunque non basta un singolo isolato gesto ma occorre una pluralità di atti cioè un complesso di comportamenti che ripetuti e messi tutti insieme, evidenzi una vera e propria trama, un disegno, una volontà di nuocere. Occorre poi che il comportamento non sia solo soggettivamente lesivo; molto spesso capita di percepire determinati atteggiamenti come ostili solo per una particolare predisposizione soggettiva che può essere transitoria, passeggera, legata a stati emotivi del tutto personali. Nel mobbing invece deve emergere una condotta che sia oggettivamente in grado di arrecare danni alla vittima e non sia soltanto il frutto di una distorta rappresentazione della realtà. Nella pratica non è difficile imbattersi infatti, in situazioni in cui quelle che sono vere e proprie manie di persecuzione vengono esposte come tipiche fattispecie di mobbing di cui si è rimasti vittima. Può trattarsi di persone che presentano a monte problemi psicologici di autostima e di capacità relazionali, ovvero che possono avere alle spalle vissuti patologici che li condizionano, e che pertanto occorre ben preparare per ciò che concerne l’assunzione di infondate iniziative giudiziarie.
Assenza di una fattispecie autonoma di illecito sub specie mobbing. Anche perché si deve sin da subito chiarire un aspetto fondamentale: a differenza che in altre legislazioni (come in Svezia) il nostro ordinamento non conosce il reato di mobbing, non esiste cioè un’autonoma fattispecie penale di mobbing perseguibile in quanto tale dalle Autorità competenti.
Il mobbing diventa conoscibile dal giudice (civile) solo in quanto strumento per ottenere un risultato illecito che può essere la perdita del posto di lavoro e/o un vero e proprio danno biologico esistenziale patito dalla vittima. Pertanto può perfettamente ipotizzarsi il caso (invero poco gradevole e abbastanza comune) di atteggiamenti spiacevoli o anche conflittuali posti in essere dal datore di lavoro o da un collega, che tuttavia non traducendosi in un risultato illecito come un illegittimo licenziamento (un demansionamento o un trasferimento) ovvero un danno ingiusto ai sensi dell’art. 2043 c.c., non assumono alcun rilievo e possono essere tranquillamente inquadrati nelle normali dinamiche delle relazioni lavorative. Naturalmente diverso è il caso in cui il mobbing, dunque l’insieme dei comportamenti vessatori subiti dal lavoratore, si traduca in vere e proprie aggressioni fisiche o psicologiche della vittima, integranti singole fattispecie penali, come le lesioni, la minaccia, la diffamazione la molestia ecc, nel qual caso esso verrà perseguito secondo il reato (più grave) commesso, a prescindere dagli effetti-conseguenza prodottisi nella realtà.
Il danno da mobbing. La mancanza di una fattispecie di illecito penale riconducibile al mobbing fa sì che il primo passo da fare in caso di persecuzioni subite sul posto di lavoro è di farsi diagnosticare un danno; non è un caso leggere sugli organi di stampa che “Per avere un to alla clinica del lavoro di Milano Luigi Devoto, la prima nata in Italia e la più importante per numero di pazienti trattati, ormai bisogna aspettare almeno sei mesi.” (Simona Ravizza http://www.corriere.it/cronache). E sempre dalla medesima fonte apprendiamo che sono cresciute in Italia negli ultimi cinque anni numerose cliniche del lavoro ed è in costante aumento il numero di trattamenti praticati da tali strutture. Il danno maggiormente riscontrato e diagnosticato alle vittime di mobbing è costituito prevalentemente da crisi d'ansia e stati di depressione, cioè una condizione patologica riconducibile alla categoria del danno biologico, una lesione all’integrità psico-fisica del soggetto. Tuttavia in sede giudiziaria molto spesso tale figura di danno viene a sommarsi alle conseguenze di carattere esistenziale del mobbing, quindi alla lesione subita dal soggetto per quanto riguarda la possibilità di realizzarsi attraverso l’esercizio di un’attività lavorativa, possibilità o diritto tutelato e garantito dalla Carta costituzionale e pertanto meritevole di essere protetto ai sensi dell’art. 2043 c.c.. In presenza di una tale diagnosi il lavoratore è legittimato ad adire l’Autorità Giudiziaria ma, giova ribadire, non per ottenere una sanzione del comportamento mobbizzante, quanto piuttosto per chiedere al Giudice un ordine volto a far cessare i comportamenti persecutori da un lato, e a condannare il datore di lavoro al risarcimento dei danni subiti dal lavoratore dall’altro. Con l’inibizione degli atti persecutori il Giudice ordina anche il ripristino delle condizioni lavorative e ambientali anteriori agli atti di mobbing commessi, questo naturalmente quando il lavoratore sia stato oggetto di un demansionamento o di un trasferimento o peggio ancora sia stato indotto alle dimissioni per mascherare un ingiustificato licenziamento. Aspetti processuali. Dal punto di vista processuale ciò si traduce nella necessità di fornire la prova del fatto, cioè dei concreti atti in cui si è manifestato il mobbing, dell’intento persecutorio che ha animato l’autore del fatto, del nesso causale tra il fatto e il danno subito e infine del danno stesso, giacchè in assenza di danno la persecuzione subita non ha alcuna rilevanza, neppure esiste nella realtà giuridica. Il titolo su cui poggia la responsabilità datoriale e su cui si fondano le sentenze di condanna emesse dai Tribunali è duplice: da un lato la responsabilità ha natura contrattuale in quanto dal contratto di lavoro derivano a carico dell’imprenditore una serie di obblighi ulteriori rispetto al mero versamento della retribuzione, quali il rispetto della buona fede (art. 1375 c.c.), la tutela dell'integrità fisica e della personalità morale dei prestatori di lavoro (art. 2087 c.c.), il rispetto delle qualifiche e delle mansioni per le quali il lavoratore è stato assunto (art. 2103 c.c.). La mancata osservazione di ciascuna delle predette clausole di legge rappresenta un inadempimento agli obblighi nascenti dal contratto di lavoro, con conseguente obbligo risarcitorio a carico della parte inadempiente.
Ma la illiceità del mobbing trova la sua fonte anche al di là del contratto di lavoro, negli articoli 2043 e 2059 c.c., in quanto come abbiamo visto sopra, il comportamento mobbizzante va a colpire interessi e diritti costituzionalmente garantiti, che in quanto tali sono, in caso di loro compromissione, suscettibili di essere risarciti ai sensi dell’art. 2043 c.c.. In primo luogo l’interesse all’integrità psico-fisica, la tutela della salute (art. 32 Cost.), riconducibile come abbiamo visto alla figura del danno biologico, ma anche l’interesse esistenziale a realizzare la propria persona attraverso l’esercizio di un’attività lavorativa confacente alle proprie aspirazioni (artt. 2, 3, 4 Cost.). Competente a conoscere del mobbing è il Tribunale Civile in funzione di Giudice del Lavoro, dunque occorrerà uniformarsi agli artt. 409 e ss. c.p.c. per ciò che concerne forma della domanda, condizioni di procedibilità e scansione dell’attività istruttoria. Restano esclusi dalla competenza dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria i dipendenti pubblici per i quali non si è attuata la c.d. privatizzazione del pubblico impiego, vale a dire le categorie indicate dall’art. 3 d.lgs 165/2001 (magistrati, avvocati di stato, personale militare e delle forze di polizia, personale della carriera diplomatica e prefettizia, professori e ricercatori universitari) per le quali residua la competenza del giudice amministrativo. .

Giorgio Ciccarelli
Avvocato del Foro di Roma





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