I crediti formativi
Presso l’Archivio Internazionale dei Pesi e delle
Misure di Sévres, in Francia, accanto alla sbarra di platino – iridio, alle cui estremità sono incisi i due tratti la cui distanza misura esattamente il metro, varrebbe la pena di porre un nuovo ordine di grandezze: il Credito formativo, definito dal Consiglio Nazionale Forense come “L’unità di misura
della formazione continua” degli avvocati italiani. Come ogni sistema di misurazione, anche il
credito formativo ha i suoi multipli e sottomultipli. Sottomultipli del credito formativo sono: un’ora
di partecipazione a corsi di aggiornamento, masters, seminari, convegni, giornate di studio, tavole rotonde, commissioni consiliari, gruppi di lavoro ed altri eventi di cultura giuridica, specificatamente individuati dal C.N.F e dai
vari Consigli dell’Ordine sparsi per la Penisola, che equivale esattamente a n. 1 credito formativo. I
multipli, invece, sono n. 90 crediti formativi nell’arco del triennio, di cui almeno 20 per ogni anno in materie riguardanti i settori in cui ciascun avvocato esercita la propria attività, ed almeno 15 derivanti dalla partecipazione a dissertazioni aventi ad oggetto l’ordinamento previdenziale, professionale e deontologico. Tutto questo, messo insieme in un triennio, dà l’estensione massima di questa nuova unità di misura, che è il perfetto avvocato o meglio, l’avvocato perfettamente formato. Ad un anno o poco più dall’entrata in vigore della normativa che istituisce l’obbligo formativo continuo, le domande che ci si pongono sono molte. La prima è generica: con oltre duemila anni di storia forense alle spalle, vanto della mostra
cultura, come abbiamo fatto ad andare avanti finora, senza l’ausilio della formazione professionale costante, imposta per legge.
L’altra è soggettiva e deve necessariamente
trovare una risposta propria per ciascun avvocato:
“Ma io, finora, quanti crediti formativi avrò accumulato?” Nonostante tutte le buone intenzioni
fissate all’inizio dell’anno, personalmente,
ad un certo punto, ho gettato la spugna. Per poter partecipare ai corsi formativi organizzati dal Consiglio dell’Ordine di Roma, mi sono ritrovata per l’ennesima volta a sgomitare per tentare di entrare, insieme a qualche centinaio di altri colleghi, in un’aula avvocati, quale è quella a
noi riservata presso il palazzo della Corte di Cassazione, che ha un limite massimo di capienza ridottissimo. Contrariamente ad altre volte, la disposizione data per motivi di sicurezza di far accedere solo l’esatto numero di persone che la sala può contenere (non più di trecento, contro un bacino di potenziali utenti di oltre ventimila unità) è stata fatta rispettare dagli impiegati del Consiglio
che, per l’occasione, si sono dovuti trasformare loro malgrado in autentici buttafuori da stadio. Mi
sono arresa. Non ho più vent’anni. A quell’età mi alzavo alle cinque del mattino per andare ad occupare i posti nelle aule della facoltà di Giurisprudenza a “La Sapienza”, seguivo le lezioni
sdraiata per terra o seduta sui davanzali dei finestroni. Fino a qualche anno fa, pur di assistere a
un convegno, ero pronta anche a gelarmi le terga, stando seduta sui marmi sontuosi dell’Aula Avvocati
di cui sopra, ma ora non sono più disposta. Reclamo il mio diritto ad avere una postazione
decorosa per seguire i corsi, soprattutto se sono obbligata a farlo. come nel caso dei crediti
formativi. Invece, ogni volta che un accidente qualsiasi si abbatte sugli avvocati, per quanto riguarda quelli iscritti al Consiglio dell’Ordine
di Roma, il caos regna sovrano e l’incapacità organizzativa la fa da padrona. Quale altro
Consiglio dell’Ordine, nel nostro Paese e forse al mondo, conta quasi venticinquemila iscritti come
quello di Roma. Allora, ci vuole molto a capire che qualsiasi provvedimento si prenda in ordine all’avvocatura, per poter funzionare in tutta Italia, deve essere tarato sui grandi numeri della Capitale, altrimenti è destinato a fallire. Quando si minaccia di sfrattare il Consiglio di Roma dal
Palazzaccio, i vertici dello stesso lamentano la perdita di prestigio che comporterebbe il trasferimento in altro loco. Mi chiedo
dove vada a finire non il nostro prestigio, ma il nostro decoro, quando ci tocca fare a pugni per
guadagnare un posto su una sedia sgangherata in un’aula stracolma e male arieggiata. Occorrono spazi adeguati e/o una diversa capacità
organizzativa. Anche ad altre categorie professionali è imposto l’obbligo formativo, ma hanno affrontato la questione logistica fittando
dei teatri ad un prezzo che, parcellizzato tra tutti i partecipanti diventa assolutamente sostenibile.
Gli avvocati di Frosinone, invece, hanno preso in gestione la sala congressi di un grande albergo. Pagano una quota pro capite di dieci euro a riunione, e hanno risolto il problema. Il nostro Consiglio, invece, appare contrario a simili
soluzioni poiché, trattandosi di un obbligo formativo, ritiene ingiusto che i propri iscritti debbano pagare. Per non far pagare una quota minima, a tutti accessibile, pochi avvocati (quelli che se lo possono permettere) erogano molto di più agli organizzatori di corsi privati, per i quali si sta creando un vero e proprio business.
Tutti gli altri aggiungono alle quotidiane angosce, anche quella di come ottemperare all’obbligo
formativo. Si era parlato anche di informatizzare il tutto, predisponendo delle videoconferenze alle quali gli avvocati avrebbero potuto partecipare, collegandosi comodamente da studio attraverso
una webcam. Questa potrebbe essere una buona soluzione, ma ancora in fase di studio. Forse la più
adeguata ai tempi, ma ancora in fase di studio. Per ora dobbiamo accontentarci di un piccolissimo
passo, ossia di prenotare la nostra partecipazione ai corsi tramite email. Solo che per inviarle ci sono
orari molto rigidi e anche un po’ scomodi. Inoltre i posti sono sempre talmente limitati che, a partire
dallo start del sito, si fa in un baleno a raggiungere il tetto massimo di partecipanti. Sicché, anche in
questo caso, quello che dovrebbe essere un diritto, si trasforma in un privilegio subordinato alla capacità che ognuno di noi ha, nella vita, di “cogliere l’attimo”.
Raffaella De Angelis
Avvocato del Foro di Roma