Fatiche forensi
Il giorno in cui al corso
per difensore d’ufficio,
organizzato dal
Consiglio dell’Ordine
degli Avvocati di Roma,
l’avvocato Nino Marazzita
irruppe dicendo:
«All’università privata
svizzera, dove insegno
diritto penale, ci sono
trentadue studenti e per
insegnare loro come si
affronta un processo, simuliamo
ogni volta di
essere in udienza dinanzi
ad un tribunale, utilizzando
per questo mezzi
audiovisivi di ogni tipo»,
per un momento (durato
circa quanto l’intera lezione),
ho desiderato essere
svizzera.
Fatiche forensi
Il giorno in cui al corso
per difensore d’ufficio,
organizzato dal
Consiglio dell’Ordine
degli Avvocati di Roma,
l’avvocato Nino Marazzita
irruppe dicendo:
«All’università privata
svizzera, dove insegno
diritto penale, ci sono
trentadue studenti e per
insegnare loro come si
affronta un processo, simuliamo
ogni volta di
essere in udienza dinanzi
ad un tribunale, utilizzando
per questo mezzi
audiovisivi di ogni tipo»,
per un momento (durato
circa quanto l’intera lezione),
ho desiderato essere
svizzera.
Da noi, invece, le lezioni
per diventare difensore
d’ufficio si tengono al
palazzo della Corte di
Cassazione.
Gli iscritti sono millecento
e stanno stipati tra
l’Aula Avvocati, che in
tutto, tra platea e tribune,
potrà accogliere sì e no
trecento persone, e il
corridoio prospiciente la
stessa aula, che ha più o
meno la stessa capienza.
Gli altri, quelli che non
riescono a trovare una
sedia, si arrangiano come
possono: in piedi, seduti
sulle scale o anche
sdraiati per terra; mentre
i relatori, durante ogni
lezione, non mancano
mai di fare appello al dovere
di tenere alto il decoro
della nostra professione.
Fortuna che, come accade
spesso in questa e
analoghe situazioni (ne
sa qualcosa chi si è fatto
le ossa in quella curva da
stadio che era l’aula 1 di
Giurisprudenza, a La Sapienza),
il tempo aggiusta
un po’ le cose.
Infatti, nel corso delle ultime
lezioni, quasi tutti
hanno trovato un posto a
sedere (sulle sedie, intendo.
Scusate la precisazione).
Gli organizzatori dicono
che ciò accade perché
si sono dati da fare a
trovare qualche centinaio
di sedie in più. I maligni
sostengono, invece, che
è perché molti iscritti, vista
l’aria, hanno già desistito.
Hanno ragione entrambi.
La polemica può essere
liquidata con una lapalissiana
osservazione: si
poteva evitare di dare
un’immagine di così precaria
capacità organizzativa,
facendo una stima
preventiva della capienza
del sito prescelto e consentire
le iscrizioni ad un
numero chiuso di candidati,
pari a quello dei posti
confortevolmente
fruibili. Oppure, una volta
eletta la via più democratica
del libero accesso,
si doveva necessariamente
porre tutti in condizioni
di seguire il corso
in maniera decorosa e
questo, fin dalla prima
lezione, non in corso
d’opera o confidando in
una progressiva selezione
naturale degli aspiranti
difensori d’ufficio.
Tuttavia, al di là di quella
che può sembrare una
polemichetta piccola,
piccola sul numero dei
posti a sedere, la considerazione
che meno ci
conforta è che un corso
così concepito, non appare
assolutamente idoneo
a licenziare futuri difensori
d’ufficio.
Le lezioni che si tengono
sono interessantissime.
L’entusiasmo degli organizzatori
testimonia tutto
il loro impegno e, in
molti casi, una passione
autentica per questa professione,
che è assolutamente
lodevole.
I relatori
sono stati scelti tra il fior
fiore del mondo forense
romano. Eppure, nessuno
degli appuntamenti che si
sono svolti finora ha avuto
un’impostazione dinamica,
dialettica e pratica.
Tutte lezioni a carattere
prettamente teorico, uguali
a tante altre ascoltate all’università
o alla scuola
forense o in qualunque altro
corso di abilitazione.
Ora, fermo restando che
repetita iuvant, resta il fatto
che di cosa significhi
affrontare un processo come
difensore d’ufficio, finora
in quell’aula non si è
avuta la più pallida idea.
Durante la cerimonia di
presentazione, l’estate
passata, è stato annunciato
che il corso prevede anche
la partecipazione ad alcune
udienze penali vere.
Ma non si è capito ancora
con quali modalità. Visto
l’elevato numero d’iscritti,
sarà difficile condurli tutti,
anche se suddivisi in
gruppi, per le aule giudiziarie.
Allora mi tornano in mente
le parole dell’avvocato
Marazzita, le sue lezioni
svizzere, i processi simulati
in videoconferenza.
Che non siamo svizzeri,
da quanto scritto sopra, si
è capito. Che siamo italiani,
da come organizziamo
gli eventi, appare altrettanto
chiaro. Che rispetto
alla più vasta progenie italica,
non discendiamo propriamente
dal ramo celtico,
ma da quello esposto
un po’ più a sud, greco-latino...
arabo. Insomma, ci
siamo capiti! Se di quelle
belle lezioncine svizzere,
si potesse rimediare qualche
videocassetta? Magari,
haum ...haum!
Di Raffaella De Angelis
Avvocato del Foro di Roma