"Bambole non c'è una lira"
Forse non tutti sanno – e
taluni fingono di dimenticare
- che «l’attività
del difensore d’ufficio è in
ogni caso retribuita» come recita
l’art. 31 disp. att. C.p.p. La
normativa in materia (il D.P.R.
30 maggio 2002 n. 115 in materia
di spese di giustizia) stabilisce
che, qualora il difensore
d’ufficio abbia esperito inutilmente
le procedure per il recupero
del proprio credito, l’onorario
e le spese vengano liquidate
dal Giudice, fatto salvo
il diritto dello Stato di ripetere
le somme anticipate. Nella
stessa sede normativa si tratta
anche del nobile istituto del
patrocinio a spese dello Stato
per i non abbienti nel processo
penale (e non solo penale), dove
le parcelle e le spese del difensore
sono direttamente a
carico dell’Erario. Vi è da aggiungere
che si osservano le
tariffe professionali in modo
che onorari, diritti e indennità
non siano superiori ai valori
medi delle stesse tariffe. Il
“gratuito patrocinio” è stato
inserito nel nostro ordinamento
fin dal 1923 con un Regio
Decreto, e aveva allora carattere
onorifico, gratuito ed obbligatorio
per la classe forense.
Oggi ha dignità costituzionale,
per diventare - fino a non troppo
tempo fa - una delle maggiori
fonti di sostentamento
per molti avvocati, più o meno
giovani. Ma recentemente la
gratuità è tornata a essere di
fatto carattere distintivo di entrambi
gli istituti, rendendoli
ormai più forme di volontariato
sociale che prestazioni professionali
vere e proprie. Infatti,
nonostante il fatto che il
compenso d’ufficio sia soggetto
all’I.V.A. (come ha precisato
l’Agenzia delle Entrate nel
giugno dell’anno scorso) ormai
il Ministero della Giustizia
è in ritardo di anni sulla liquidazione
delle parcelle per i difensori
d’ufficio e per i difensori
i cui assistiti hanno ottenuto
l’ammissione al c.d. “gratuito
patrocinio”. La protesta è
viva, condivisa e sentita e percorre
tutto lo Stivale forense.
Il 29 maggio scorso scende in
campo anche l’Unione delle
Camere Penali, denunciando il
sostanziale blocco del pagamento
degli onorari delle due
sfortunate categorie di legali.
Fioccano persino interrogazioni
parlamentari. Il sottosegretario
alla Giustizia Giacomo
Caliendo, rispondendone a una
l’11 giugno scorso in Commissione
Giustizia alla Camera,
parla di un equilibrio «non
sempre… del tutto soddisfacente
» fra «aspirazioni ideali e
limitazioni concrete». Per il
2008 le cifre (inerenti al famigerato
capitolo 1360 degli
stanziamenti in materia di Giustizia)
indicano un debito complessivo
di 260 milioni di euro
(di cui ben 230 per “oneri indifferibili”
ovvero riferibili a
spese già liquidate con provvedimenti
dell’Autorità giudiziaria),
mentre per l’anno corrente
a fronte di una spesa prevista
di 650 milioni ce ne sarebbero
in cassa 474… Insomma…
“bambole, non c’è una
lira” come recitava il titolo di
un famoso varietà degli anni
‘70 della RAI… L’imbarazzato
Sottosegretario ha però sottolineato
che tale carenza di
fondi caratterizza tutte le spese
riconducibili alla giustizia, ivi
comprese quelle per le consulenze,
le perizie, traduzioni ed
intercettazioni. Non si possono
non mettere questi dati incresciosi
in relazione con il l’evidente
e parallelo scadimento
della difesa d’ufficio, spesso
stigmatizzato dagli stessi magistrati.
Sovente gli avvocati d’ufficio non si
presentano né ai turni riferiti
all’art. 97 IV comma C.p.p.,
né in aula pure se nominati ai sensi del I comma
dello stesso articolo. Non basta.
Molti colleghi iscritti nell’elenco
degli ammessi al gratuito
patrocinio - ormai alquanto
demotivati- non incoraggiano
i potenziali clienti ad
avvalersene, pur avendone loro
i requisiti. Quindi i “poveri”
(in senso fiscale) malcapitati
rimangono nelle mani del difensore
d’ufficio, se non del
difensore d’aula presente il
giorno della loro udienza, se
non – ancora - del volenteroso
avvocato che passa per caso
nell’aula e non sa proprio dire
di no al Giudice implorante…
Come attenuante diciamo pure
che la categoria in questione è
ormai considerata la più “sfigata”:
un gradino sotto quelli
che hanno clienti ammessi al
gratuito patrocinio e vicina, nel
sentire sociale, vicino ai petula n t i
venditori ambulanti di calzini, mutande
ed accendini…
Forse
è inutile svolgere
in questa sede ulteriori
ed alte ed ulteriori
considerazioni sul diritto
alla difesa calpestato,
sulla Giustizia negata, e sull’ennesima
lesione al prestigio
dell’ordine forense (già ai minimi
storici). Tuttavia non può
sottacersi la spiacevole circostanza
per cui il Consiglio dell’Ordine
degli Avvocati di Roma
pare più occupato a combattere
per rimanere nella propria
sede storica nel Palazzaccio,
invece di prestare più attenzione
a questi problemi,
forse più sentiti dalla comunità
forense capitolina.
Rodolfo Capozzi
Avvocato del Foro di Roma