La spinosa questione dell'obbligo di formazione permanente
Sul n. 4/2009 di questo
mensile è stato ospitato
il contributo di
una collega avente ad oggetto
la spinosa questione
dell’obbligo di formazione
permanente. L’articolo,
che tenta di fare il punto
della situazione, oramai ad
oltre un anno dall’approvazione
del famigerato regolamento
da parte del
C.N.F., si apre con due domande
(“come abbiamo
fatto sino ad ora ad andare
avanti senza l’ausilio della
formazione professionale
costante, imposta per legge”;
“ma io, finora, quanti
crediti formativi avrò accumulato?”),
si snoda lungo
un percorso argomentativo
connesso allo “stress da
prenotazione” e da partecipazione
agli eventi formativi
organizzati dall’Ordine,
e si conclude con la
proposta di far pagare una
minima quota agli iscritti
all’Albo in modo da poter
prendere in gestione una
“location” adatta a garantire
l’effettività della formazione.
Chi avrà letto qualcosa sul
tema della formazione obbligatoria
continua saprà
qual è, da sempre, la posizione
di chi scrive (una
diffusa relazione la si trova
sul sito www.professioneavvocato.
it nella sezione
“Approfondimenti”).
Posizione critica verso un
regolamento che – contrariamente
a quanto ritenuto
dalla collega autrice dell’articolo
sopra menzionato
– non è affatto “imposto
per legge” (ma
lo sarà presto,
purtroppo, quando
cioè il Parlamento
varerà il
testo del nuovo
ordinamento forense,
il cui art.
10 reca proprio
l’obbligo di formazione
permanente),
non
tiene conto dei
numeri degli
iscritti nei vari
Ordini territoriali, ed è infine
scritto con animo penalizzante
per i colleghi.
E dunque non si sta qui a
difenderlo (tant’è che, nella
sua autonomia, l’attuale
COA di Roma ha di fatto
regolamentato la materia,
grazie alle tre incisive modifiche
che si sono apportate
alla già vigente “disciplina
romana”, in modo tale
da garantire un indubbio
favor agli iscritti, con gli
esoneri, le limitazioni e
quant’altro). Critiche alle
modalità di svolgimento
degli eventi formativi organizzati
dal
C o n s i g l i o
dell’Ordine
se ne possono
fare
a bizzeffe e, ovviamente,
saranno certamente costruttive
(il problema della
conoscenza del numero dei
crediti maturati lo si sta affrontando
mettendo a punto
un apposito software gestionale;
manca, invero,
una diffusa e costante programmazione
di eventi
sulla materia deontologica,
che è appannaggio esclusivo
del Consiglio; ecc.).
Tuttavia le affermazioni
contenute nell’articolo in
questione non tengono
conto di una cosa. Quando
il regolamento
del C.N.F. fu emanato (luglio
2007), subito seguìto
dal “regolamentino” romano
(novembre 2007), proliferavano
centinaia di corsi
privati a pagamento, di
soggetti (anche purtroppo
autorevoli esponenti del
mondo forense, che con le
loro “associazioni” spesso
perseguono interessi esclusivamente personali) che si
fregavano le mani, fiutando
il business della formazione
a compenso. Ebbene,
grazie ad un impegno indicibile
dell’attuale Consiglio
(salvo di qualche suo
componente che lo diserta),
il plafond degli eventi
formativi è sterminato; sulla
home page del sito web
dell’Ordine non si riescono
a collocare le locandine dei
corsi della settimana per il
loro eccessivo numero; negli
Uffici giudiziari i manifesti
illustrativi delle occasioni
formative inondano
ovunque le pareti. L’offerta
formativa è oggi talmente
ampia e variegata che nessun
iscritto, se vuole, rischia
di non potersi tenere
aggiornato. I docenti sono
il più delle volte colleghi
espertissimi della materia
(non professori universitari,
sovente lontani dalla
pratica forense, non magistrati,
che sfruttano talvolta
l’occasione per mettersi in
evidenza). Partirà, dopo
l’estate, l’e-learning. Abbiamo,
in questo modo,
prima tramortito ed ora definitivamente
sconfitto coloro
che con la formazione
professionale avrebbero
voluto far soldi. Il che è
francamente già una vittoria
enorme.
Quanto alla impossibilità
di entrare nelle Aule. Sta
accadendo, purtroppo, il
fenomeno esattamente opposto
(proprio a cagione
della innumerevole serie
di eventi organizzati). I
colleghi si prenotano, e poi
non partecipano. Molte,
troppe, sono le sedie vuote,
a Piazza Cavour ed a
Via Valadier, che stando
alle prenotazioni effettuate
si sarebbero dovute occupare!
E tale comportamento
è francamente disdicevole,
oltre che deontologicamente
scorretto (chi prenota
impedisce ad altri di
farlo, se i posti sono ovviamente
limitati). Si conoscono
personalmente molti
colleghi che prima supplicano
di indire un determinato
evento formativo, ottengono
l’iscrizione (con
un sistema che potrà anche
essere perfezionato ma che
certo non lascia spazio a
favoritismi di sorta) e poi
non vi partecipano!
E allora sul tema della formazione
ci vuole serietà:
da parte di chi la pretende,
da parte di chi la deve impartire,
da parte di chi crede
di doverla “subire”. Sta
di fatto che l’idea di prendere
in affitto il salone di
un albergo (a Roma sarebbe
comunque insufficiente,
atteso che ci vorrebbe almeno
lo Stadio Flaminio….),
per giunta facendo
pagare un apposito contributo
economico ai colleghi
(per quanto minimo), troverà
sempre in chi scrive
un oppositore tenace ed indomito.
Paradossalmente,
anzi, se il Consiglio continuerà
con questo ritmo ad
indire eventi formativi in
numero così elevato, dovrà
praticarsi la soluzione opposta:
quella, cioè, di offrire
un premio (una sorta di
gettone di presenza) a quei
colleghi che abbiano deciso,
dopo la prenotazione
obbligatoria, di prendervi
parte invece di disertarlo.
Rodolfo Murra
Consigliere dell'Ordine degli Avvocati di Roma