Molto rumore per (quasi) nulla
Ha certamente nociuto finora
all’introduzione
nel nostro ordinamento
di una efficace e compatibile
azione di tutela risarcitoria dei
consumatori l’approccio ideologico
e strumentale al thema. La
L. 244/07 introdusse l’azione collettiva
risarcitoria, inserendola
nel codice del consumo all’art.
140bis; originato con un colpo di
mano senatoriale. Norma che necessitava
di approfondita rimeditazione.
Il Senato il 09/07/09 ha
finalmente approvato un nuovo
testo dell’art. 140bis. Occorre dire
subito, che il nuovo istituto,
non è riconducibile allo schema
disegnato dalla Federal Rule 23 -
il codice di procedura civile federale
degli USA - che modificò nel
1960 la precedente “More Rule”
del 1938; poi ancora novellata fino
al 2005. Ciò che vale a distinguere
la norma italiana dall’istituto
americano, non è tanto la diversa
ottica tra il dogmatico giurista
italiano ed il pragmatico giurista
statunitense, né la diversa
tradizione ed organizzazione nell’esercizio
della professione legale,
pur assai rilevante nella realizzazione
pratica di un tale istituto;
quanto l’estensione soggettiva
del giudicato.
In breve ex art. 2909 c.c. chi non
è parte in giudizio non subisce
gli effetti di una sentenza tra altri
data; invece la class action che,
anche nell’ordinamento statunitense
è considerata un eccezione;
è caratterizzata proprio dall’effetto
di giudicato, nei confronti
di tutti i membri della classe, così
come definita in giudizio, e
che non hanno esercitato il diritto
di opt-out: e cioè espressamente
dichiarato di non volersi
avvalere degli esiti del giudizio
introdotto in forma di classe.
(Cfr: Rescigno, in Giur. it. 2000,
II, pag. 2224 s.s.). È dunque utile,
come suggerisce Chiarloni,
distinguere tra azioni di classe e
azioni collettive. Questo l’esame
morfologico della norma.
a) Della legittimazione attiva,
passiva e dell’adesione.
Ferma la legittimazione individuale
all’azione di classe, le associazioni
svolgono solo un ruolo
strumentale, costruendosi
chiaramente il rapporto come
mandato. Ove però si costituisca
al fine, un comitato, il cittadino è
tenuto a parteciparvi. In questo
caso la legittimazione sembrerebbe
essere collettiva ex art. 41,
u.c., c.c..
Espressamente vietato l’intervento
in giudizio viene prevista
la nuova figura dell’aderente, che
è lo strumento usato per l’estensione
del giudicato oscilla tra negozialità
e processualità con diverse
conseguenze in punto di difesa
tecnica. Poiché i soggetti
aderiscono all’azione e con atto
complesso riconducibile agli artt.
163 ss. c.p.c., la esclusione
espressa dell’assistenza tecnica
comporta almeno un dubbio di
costituzionalità. Ne è conferma il
deposito diretto dell’adesione in
cancelleria “anche tramite l’attore”,
che quindi al massimo un
mandatario. Il termine per l’adesione
è fissato al centoventunesimo
giorno dalla scadenza degli
oneri di pubblicità. La legittimazione
passiva è sostanzialmente
ricavata dalla titolarità dell’obbligazione
contrattuale o aquiliana
dedotta in giudizio.
b) Le situazioni giuridiche
protette.
La norma - mutuando
probabilmente una definizione
di Amadei
(in www.judicum.it)
- identifica le situazioni
soggettive protette
nei “diritti individuali
omogenei dei
consumatori e degli
utenti”; le cui fonti sono
successivamente ricondotte
ai cosiddetti
contratti di massa (1342
c.c.), a quelli riconducibili
all’area della responsabilità
del produttore (ex 114
Cod. Cons.) ed alla responsabilità
aquiliana sorgente da violazione
delle regole della concorrenza
e dalle pratiche commerciali
scorrette. Il legislatore usa
però anche il sintagma “diritti
identici”; era forse preferibile
una migliore semantica, ma il significato
è trasparente. Non si
crea infatti nessuna nuova situazione
soggettiva, ma ci si riferisce
molto più banalmente a fenomeni
di serialità connessi o
con i contratti di massa o relativi
ad un oggetto contrattuale standard.
Sotto il profilo aquiliano il
riferimento è evidentemente alla
unicità/identità del “fatto doloso
o colposo” (2043 c.c.).
c) In punto di procedura.
1) Giudice
La domanda si propone con citazione
avanti il Tribunale, in composizione
collegiale.
2) Foro
Il Foro competente viene identificato
nel capoluogo della regione
in cui ha sede l’impresa convenuta;
con accorpamenti analoghi a
quelli già previsti dal contenzioso
sulle privative.
Evidente una tendenza semplificatrice
ed un’istanza di qualità
presunta del Giudice, che, se non
violano il principio del Giudice
naturale, tuttavia meriterebbero
una più attenta riflessione sul
ruolo dei cosiddetti Fori minori.
La citazione deve essere notificata
anche al PM in sede, il quale
può intervenire limitatamente
però al giudizio di ammissibilità.
Norma di difficile comprensione
e foriera di ulteriori e non necessari
rischi di spettacolarizzazione
del procedimento. 3) Procedura di ammissibilità
Alla prima udienza è dedicata alla
delibazione di ammissibilità
con procedura semplificata, libertà
di forme, ampi poteri istruttori
del Giudice; fermi ovviamente
i requisiti minimi del processo
dovuto per legge. L’ordinanza
che decide sulla ammissibilità
è reclamabile alla Corte di
Appello in sede camerale. I requisiti
di ammissibilità sono
identificati, nella non manifesta
infondatezza, nell’assenza di
conflitti di interesse, e nella sussistenza
di un interesse collettivo;
e la “capacità di curare adeguatamente
l’interesse di classe”.
L’ordinanza di ammissibilità fissa
i tempi ed i modi di pubblicazione
del procedimento e “definisce
i caratteri dei diritti individuali
oggetto del diritto ed i criteri
di identificazione della classe”,
anche se poi, non ne consegue
l’effetto tipico dell’azione
di classe, nè vi è previsione
sulla espunzione e come di soggetti
inidonei dalla categoria
degli aderenti. La stessa ordinanza
infine, con il limite del
processo dovuto per legge, disegna
un procedimento sommario.
I rapporti tra il Giudice ordinario
e le autorità indipendenti
o il Giudice amministrativo,
sono regolati prevedendo la sospensione
in fase d’ammissibilità
ove avanti a questi penda
procedimento per “fatti rilevanti
ai fini della decisione”.
I provvedimenti delle autorità
fanno cessare la materia del contendere?
Le sentenze amministrative
sono giudicato vantabile?
L’azione collettiva prosegue
per il solo quantum? Come si
coordinano le procedure conciliative
previste all’art. 140bis,
commi 4 e 6 o testo unificato
comma 13, con quelle magari già
pendenti davanti alle autorità?
4) Degli effetti interruttivi della
prescrizione
L’indecisione tra l’azione di classe
e l’azione collettiva produce
un non sempre coerente effetto
interruttivo della prescrizione.
L’impossibilità di costruire un’ipotesi
di solidarietà ex art. 1292
c.c. impedisce l’applicazione
dell’effetto interruttivo ex art.
1310, 1° comma c.c., né si è ritenuto
di costruire un effetto interruttivo
“diffuso” e far data dalle
forme di pubblicità. Si è quindi
ripiegato sul classico effetto interruttivo
della notifica/citazione,
per i proponenti, o dalla data dell’adesione
con evidenti possibili
confusioni.
5) Della sentenza e dei suoi
effetti. L’azione ha natura di condanna
al risarcimento ed alle restituzioni;
e la sentenza sarà quindi costitutiva
e non di mero accertamento.
La previsione che il Giudice
possa non provvedere direttamente
con la sentenza alla liquidazione
del danno non ne altera
per questo la natura. L’efficacia
soggettiva dell’eventuale
giudicato non si estende oltre la
cerchia degli aderenti; il che conferma
trattasi di una azione collettiva
e non di classe.
Viene fatta ovviamente salva l’azione
individuale di coloro che
sono restati estranei al giudizio
stesso, pur escludendosi la proposizioni
di altra azione di classe.
Sul quantum il testo appare scarno,
limitandosi a prevedere che
la sentenza ove non liquidi i singoli
danni stabilisca dei criteri
omogenei di calcolo; tale criterio
sembra poco adattarsi alla successiva
liquidazione di danni
aquiliani in forma monitoria.
6) Conclusioni
All’esito dell’esame resta dunque
confermata la tesi che non si
tratta di una class action, ma di
una azione collettiva, anche se è
corretto dire che il testo ministeriale
compie ogni sforzo per
uniformarsi al tipo disegnato dalla
Rule 23.
Il limite sostanziale e la pericolosità
della norma in esame originano
da un errore sistematico:
che non è corretto dalla previsione
della opzionalità dell’azione.
La class action è infatti un modello
meramente processuale di
portata generale e non un grimaldello
regalato alle associazioni
dei consumatori. L’inserimento
infatti di questa norma nel codice
del consumo costringe a fare inevitabile
riferimento all’art. 2 che
rappresenta più che una norma,
una parafrasi della costituzione.
Ne deriva che i cosiddetti diritti
dei consumatori in realtà si identificano
con i diritti dei cittadini a
presidio dei quali c’è già l’intero
ordinamento.
Restano poi prive dello strumento
tutte quelle situazioni in
cui un’unica azione dannosa
provochi una pluralità di danni.
Per esemplificare: ove esploda
una fabbrica di beni strumentali
causando danni a persone e cose
circonvicine quid juris? O la
norma fondante resta il comma
2, lett. a) dell’art. 2 del codice
del consumo?
Resta di tutta evidenza al di fuori
della tutelabilità dell’azione
collettiva quell’ampia area pur
necessaria di tutela omogenea rapida
ed a basso costo per il cittadino
e per lo stato che abbiamo
sopra esemplificato. Se infatti
l’azione collettiva ha fra i suoi
scopi la tutela dei cosiddetti
smail claims non è certo in
questo che si esaurisce, ad
esempio la questione Parmalat.
Malgrado ogni sforzo la
sussunzione del modello americano
appare un mero fatto
lessicale e l’azione, anche perché
opzionale non pare, potrà
avere effetti concreti. Vi sono,
oltre le osservazioni già fatte,
altri punti dolenti quali il silenzio
sulle procedure di quantificazione,
il mancato coordinamento
con le procedure di
conciliazione presso le autorità
dipendenti. Per chiudere
infine non emerge da nessuna
delle norme esaminate con
sufficiente chiarezza, il ruolo
dell’Avvocato. Premesso che la
nostra tradizione e l’attuale organizzazione
rendono improponibile
quella figura di Avvocato
manager che rende possibile, ma
anche oscura, l’azione di classe;
tanto premesso non vi è chiarezza,
eppure sono evidenti i profili
deontologici sul ruolo degli Avvocati
in relazione agli enti proponenti
ed alla loro costituzione;
alla difesa (non si dimentichi che
vi è previsione di adeguatezza
per l’ammissibilità) ecc…
È questo l’ambito del quale l’Avvocatura
deve interessarsi piuttosto
che dolersi dell’eventuale
estromissione dalla difesa dell’aderente
sovente tale per smal
claims.
Avvocato Roberto Zazza
Presidente Forum della Professioni