Class action
Date: Friday, July 31 @ 18:00:11 CEST
Topic: Articolo


Molto rumore per (quasi) nulla

Ha certamente nociuto finora all’introduzione nel nostro ordinamento di una efficace e compatibile azione di tutela risarcitoria dei consumatori l’approccio ideologico e strumentale al thema. La L. 244/07 introdusse l’azione collettiva risarcitoria, inserendola nel codice del consumo all’art. 140bis; originato con un colpo di mano senatoriale. Norma che necessitava di approfondita rimeditazione. Il Senato il 09/07/09 ha finalmente approvato un nuovo testo dell’art. 140bis. Occorre dire subito, che il nuovo istituto, non è riconducibile allo schema disegnato dalla Federal Rule 23 - il codice di procedura civile federale degli USA - che modificò nel 1960 la precedente “More Rule” del 1938; poi ancora novellata fino al 2005. Ciò che vale a distinguere la norma italiana dall’istituto americano, non è tanto la diversa ottica tra il dogmatico giurista italiano ed il pragmatico giurista statunitense, né la diversa tradizione ed organizzazione nell’esercizio della professione legale, pur assai rilevante nella realizzazione pratica di un tale istituto; quanto l’estensione soggettiva del giudicato.
In breve ex art. 2909 c.c. chi non è parte in giudizio non subisce gli effetti di una sentenza tra altri data; invece la class action che, anche nell’ordinamento statunitense è considerata un eccezione; è caratterizzata proprio dall’effetto di giudicato, nei confronti di tutti i membri della classe, così come definita in giudizio, e che non hanno esercitato il diritto di opt-out: e cioè espressamente dichiarato di non volersi avvalere degli esiti del giudizio introdotto in forma di classe.
(Cfr: Rescigno, in Giur. it. 2000, II, pag. 2224 s.s.). È dunque utile, come suggerisce Chiarloni, distinguere tra azioni di classe e azioni collettive. Questo l’esame morfologico della norma. a) Della legittimazione attiva, passiva e dell’adesione.
Ferma la legittimazione individuale all’azione di classe, le associazioni svolgono solo un ruolo strumentale, costruendosi chiaramente il rapporto come mandato. Ove però si costituisca al fine, un comitato, il cittadino è tenuto a parteciparvi. In questo caso la legittimazione sembrerebbe essere collettiva ex art. 41, u.c., c.c..
Espressamente vietato l’intervento in giudizio viene prevista la nuova figura dell’aderente, che è lo strumento usato per l’estensione del giudicato oscilla tra negozialità e processualità con diverse conseguenze in punto di difesa tecnica. Poiché i soggetti aderiscono all’azione e con atto complesso riconducibile agli artt. 163 ss. c.p.c., la esclusione espressa dell’assistenza tecnica comporta almeno un dubbio di costituzionalità. Ne è conferma il deposito diretto dell’adesione in cancelleria “anche tramite l’attore”, che quindi al massimo un mandatario. Il termine per l’adesione è fissato al centoventunesimo giorno dalla scadenza degli oneri di pubblicità. La legittimazione passiva è sostanzialmente ricavata dalla titolarità dell’obbligazione contrattuale o aquiliana dedotta in giudizio. b) Le situazioni giuridiche protette.
La norma - mutuando probabilmente una definizione di Amadei (in www.judicum.it) - identifica le situazioni soggettive protette nei “diritti individuali omogenei dei consumatori e degli utenti”; le cui fonti sono successivamente ricondotte ai cosiddetti contratti di massa (1342 c.c.), a quelli riconducibili all’area della responsabilità del produttore (ex 114 Cod. Cons.) ed alla responsabilità aquiliana sorgente da violazione delle regole della concorrenza e dalle pratiche commerciali scorrette. Il legislatore usa però anche il sintagma “diritti identici”; era forse preferibile una migliore semantica, ma il significato è trasparente. Non si crea infatti nessuna nuova situazione soggettiva, ma ci si riferisce molto più banalmente a fenomeni di serialità connessi o con i contratti di massa o relativi ad un oggetto contrattuale standard.
Sotto il profilo aquiliano il riferimento è evidentemente alla unicità/identità del “fatto doloso o colposo” (2043 c.c.). c) In punto di procedura. 1) Giudice La domanda si propone con citazione avanti il Tribunale, in composizione collegiale.
2) Foro Il Foro competente viene identificato nel capoluogo della regione in cui ha sede l’impresa convenuta; con accorpamenti analoghi a quelli già previsti dal contenzioso sulle privative.
Evidente una tendenza semplificatrice ed un’istanza di qualità presunta del Giudice, che, se non violano il principio del Giudice naturale, tuttavia meriterebbero una più attenta riflessione sul ruolo dei cosiddetti Fori minori.
La citazione deve essere notificata anche al PM in sede, il quale può intervenire limitatamente però al giudizio di ammissibilità.
Norma di difficile comprensione e foriera di ulteriori e non necessari rischi di spettacolarizzazione del procedimento. 3) Procedura di ammissibilità Alla prima udienza è dedicata alla delibazione di ammissibilità con procedura semplificata, libertà di forme, ampi poteri istruttori del Giudice; fermi ovviamente i requisiti minimi del processo dovuto per legge. L’ordinanza che decide sulla ammissibilità è reclamabile alla Corte di Appello in sede camerale. I requisiti di ammissibilità sono identificati, nella non manifesta infondatezza, nell’assenza di conflitti di interesse, e nella sussistenza di un interesse collettivo; e la “capacità di curare adeguatamente l’interesse di classe”.
L’ordinanza di ammissibilità fissa i tempi ed i modi di pubblicazione del procedimento e “definisce i caratteri dei diritti individuali oggetto del diritto ed i criteri di identificazione della classe”, anche se poi, non ne consegue l’effetto tipico dell’azione di classe, nè vi è previsione sulla espunzione e come di soggetti inidonei dalla categoria degli aderenti. La stessa ordinanza infine, con il limite del processo dovuto per legge, disegna un procedimento sommario.
I rapporti tra il Giudice ordinario e le autorità indipendenti o il Giudice amministrativo, sono regolati prevedendo la sospensione in fase d’ammissibilità ove avanti a questi penda procedimento per “fatti rilevanti ai fini della decisione”.
I provvedimenti delle autorità fanno cessare la materia del contendere? Le sentenze amministrative sono giudicato vantabile? L’azione collettiva prosegue per il solo quantum? Come si coordinano le procedure conciliative previste all’art. 140bis, commi 4 e 6 o testo unificato comma 13, con quelle magari già pendenti davanti alle autorità?
4) Degli effetti interruttivi della prescrizione L’indecisione tra l’azione di classe e l’azione collettiva produce un non sempre coerente effetto interruttivo della prescrizione.
L’impossibilità di costruire un’ipotesi di solidarietà ex art. 1292 c.c. impedisce l’applicazione dell’effetto interruttivo ex art. 1310, 1° comma c.c., né si è ritenuto di costruire un effetto interruttivo “diffuso” e far data dalle forme di pubblicità. Si è quindi ripiegato sul classico effetto interruttivo della notifica/citazione, per i proponenti, o dalla data dell’adesione con evidenti possibili confusioni.
5) Della sentenza e dei suoi effetti. L’azione ha natura di condanna al risarcimento ed alle restituzioni; e la sentenza sarà quindi costitutiva e non di mero accertamento.
La previsione che il Giudice possa non provvedere direttamente con la sentenza alla liquidazione del danno non ne altera per questo la natura. L’efficacia soggettiva dell’eventuale giudicato non si estende oltre la cerchia degli aderenti; il che conferma trattasi di una azione collettiva e non di classe.
Viene fatta ovviamente salva l’azione individuale di coloro che sono restati estranei al giudizio stesso, pur escludendosi la proposizioni di altra azione di classe. Sul quantum il testo appare scarno, limitandosi a prevedere che la sentenza ove non liquidi i singoli danni stabilisca dei criteri omogenei di calcolo; tale criterio sembra poco adattarsi alla successiva liquidazione di danni aquiliani in forma monitoria.
6) Conclusioni All’esito dell’esame resta dunque confermata la tesi che non si tratta di una class action, ma di una azione collettiva, anche se è corretto dire che il testo ministeriale compie ogni sforzo per uniformarsi al tipo disegnato dalla Rule 23.
Il limite sostanziale e la pericolosità della norma in esame originano da un errore sistematico: che non è corretto dalla previsione della opzionalità dell’azione.
La class action è infatti un modello meramente processuale di portata generale e non un grimaldello regalato alle associazioni dei consumatori. L’inserimento infatti di questa norma nel codice del consumo costringe a fare inevitabile riferimento all’art. 2 che rappresenta più che una norma, una parafrasi della costituzione.
Ne deriva che i cosiddetti diritti dei consumatori in realtà si identificano con i diritti dei cittadini a presidio dei quali c’è già l’intero ordinamento. Restano poi prive dello strumento tutte quelle situazioni in cui un’unica azione dannosa provochi una pluralità di danni.
Per esemplificare: ove esploda una fabbrica di beni strumentali causando danni a persone e cose circonvicine quid juris? O la norma fondante resta il comma 2, lett. a) dell’art. 2 del codice del consumo?
Resta di tutta evidenza al di fuori della tutelabilità dell’azione collettiva quell’ampia area pur necessaria di tutela omogenea rapida ed a basso costo per il cittadino e per lo stato che abbiamo sopra esemplificato. Se infatti l’azione collettiva ha fra i suoi scopi la tutela dei cosiddetti smail claims non è certo in questo che si esaurisce, ad esempio la questione Parmalat.
Malgrado ogni sforzo la sussunzione del modello americano appare un mero fatto lessicale e l’azione, anche perché opzionale non pare, potrà avere effetti concreti. Vi sono, oltre le osservazioni già fatte, altri punti dolenti quali il silenzio sulle procedure di quantificazione, il mancato coordinamento con le procedure di conciliazione presso le autorità dipendenti. Per chiudere infine non emerge da nessuna delle norme esaminate con sufficiente chiarezza, il ruolo dell’Avvocato. Premesso che la nostra tradizione e l’attuale organizzazione rendono improponibile quella figura di Avvocato manager che rende possibile, ma anche oscura, l’azione di classe; tanto premesso non vi è chiarezza, eppure sono evidenti i profili deontologici sul ruolo degli Avvocati in relazione agli enti proponenti ed alla loro costituzione; alla difesa (non si dimentichi che vi è previsione di adeguatezza per l’ammissibilità) ecc…
È questo l’ambito del quale l’Avvocatura deve interessarsi piuttosto che dolersi dell’eventuale estromissione dalla difesa dell’aderente sovente tale per smal claims.

Avvocato Roberto Zazza
Presidente Forum della Professioni





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