La meritocrazia del consenso
Date: Friday, July 31 @ 18:23:08 CEST
Topic: Articolo


La meritocrazia del consenso

Il Censis segnala che nel 2006 gli avvocati erano 158.000, contro 183.044 ingegneri ed addirittura 377.726 medici. Se il trend fosse confermato negli ultimi due anni, gli avvocati sarebbero meno degli ingegneri e meno della metà dei medici.
Ogni anno entrano nel mercato della professione più di 10.000 nuovi avvocati.
Nel periodo 2001-2005 si è registrato un tasso di crescita pari a +29,3%, con effetti negativi sulle prospettive di lavoro, considerando anche la concorrenza di altri operatori del diritto: agenzie immobiliari, patronati, sindacati, commercialisti, notai, consulenti del lavoro, associazioni dei consumatori, amministratori di condominio, periti di infortunistica, agenti vari ed altri soggetti non meglio qualificati.
Attualmente, il numero degli Avvocati è salito in Italia a circa 220.000, di cui iscritti all’albo dell’Ordine di Roma circa 22.000: una semplice somma senza alcun potere, neppure quello di poter contare nel dibattito sulla giustizia.
La responsabilità di questi numeri ci impone iniziative coraggiose. Da molto tempo si rinnova l’appello di trovare un comune denominatore in forme di grande aggregazione per mettere in moto masse enormi di popolo forense.
sultato”, considerato il (mal)funzionamento della “Amministrazione della Giustizia.
Moltiplicare gli appelli, le denunce dei disagi e delle carenze è sicuramente utile quanto opportuno, ma il primo obiettivo deve essere quello di unirci e di riunire non per omologare l’autonomia del singolo professionista, le diversità e le individualità collettive che ognuno legittimamente rappresenta, ma per accrescere il peso e la forza dei nostri valori, che l’Avvocatura rinnova nel tempo con inflessibile determinazione.
Quando, insieme alle proposte, alle iniziative dei singoli e dei gruppi figurerà una numerosa presenza fisica di avvocati, allora si potrà tentare di porre fine all’inarrestabile fallimento del sistema giustizia, cambierà l’acustica delle buone intenzioni, delle cure generiche e l’avvocatura conterà per quello che vale e che può dare alla soluzione dei problemi con una partecipazione attiva e convinta. Tutti abbiamo conoscenza che il nostro paese soffre il peso di due grandi impedimenti alla crescita e allo sviluppo: il debito pubblico e i 10 milioni di processi pendenti, con 20 milioni di cittadini in attesa di una risposta dalla Giustizia. Bisogna prendere coscienza che nelle società democratiche, pluraliste, parlamentari non sono sufficienti le buone idee, la prospettazione di soluzioni intelligenti, ma è necessario avere una categoria compatta e sviluppare il consenso, accrescere le adesioni, per porre fine alla notte della giustizia e portare gli avvocati oltre l’orizzonte. Solo coloro che sapranno conquistare il consenso degli avvocati, potranno legittimamente rappresentarli.
Esiste un DNA tardivo dell’avvocato che si forma dopo la nascita, quando si diventa gente di tribunale, quando si subisce il fascino di questa professione millenaria.
Molti ripetono che occorre abbattere gli steccati, le futili differenze, le inutili contrapposizioni, e bisogna ammettere che, nonostante il lodevole impegno delle nostre associazioni, dei singoli colleghi, impegnati sul fronte della “Giustizia”, la nostra forza non c’é. Paradossalmente siamo numerosi ed il nostro peso specifico è quasi pari a zero.
Per questo, senza voler apparire originale, ho dato impulso, insieme ad alcune autorevoli associazioni e ad alcuni consistenti gruppi di colleghi, alla nascente costituzione della Federazione Avvocati Italiani (F.A.I.), per cassare dal dialogo dei professionisti del diritto i verbi delegare, rinunciare, aspettare, sperare. Giovani e meno giovani sanno che siamo tra le poche categorie che operano in regime di diseconomia “massimo sforzo minimo risultato”, considerato il (mal)funzionamento della “Amministrazione della Giustizia.
Moltiplicare gli appelli, le denunce dei disagi e delle carenze è sicuramente utile quanto opportuno, ma il primo obiettivo deve essere quello di unirci e di riunire non per omologare l’autonomia del singolo professionista, le diversità e le individualità collettive che ognuno legittimamente rappresenta, ma per accrescere il peso e la forza dei nostri valori, che l’Avvocatura rinnova nel tempo con inflessibile determinazione.
Quando, insieme alle proposte, alle iniziative dei singoli e dei gruppi figurerà una numerosa presenza fisica di avvocati, allora si potrà tentare di porre fine all’inarrestabile fallimento del sistema giustizia, cambierà l’acustica delle buone intenzioni, delle cure generiche e l’avvocatura conterà per quello che vale e che può dare alla soluzione dei problemi con una partecipazione attiva e convinta. Tutti abbiamo conoscenza che il nostro paese soffre il peso di due grandi impedimenti alla crescita e allo sviluppo: il debito pubblico e i 10 milioni di processi pendenti, con 20 milioni di cittadini in attesa di una risposta dalla Giustizia. Bisogna prendere coscienza che nelle società democratiche, pluraliste, parlamentari non sono sufficienti le buone idee, la prospettazione di soluzioni intelligenti, ma è necessario avere una categoria compatta e sviluppare il consenso, accrescere le adesioni, per porre fine alla notte della giustizia e portare gli avvocati oltre l’orizzonte. Solo coloro che sapranno conquistare il consenso degli avvocati, potranno legittimamente rappresentarli.

Carlo Priolo
Avvocato del Foro di Roma





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