Prescrizione e contestazioni dibattimentali
Nel corso del processo
penale, accade assai
di frequente che, nello
svilupparsi del dibattimento,
l’Ufficio dell’Accusa proceda
alla riformulazione dei capi
d’imputazione, mediante – ad
esempio - la contestazione di
nuove circostanze aggravanti
che comportino un aumento
della pena superiore ad 1/3 (le
cd. circostanze “ad effetto speciale”),
determinando in tal
modo – ai sensi dell’art. 157
c.p. – un nuovo (più lungo) termine
di prescrizione del reato.
Esempio classico è quello della
contestazione dell’aggravante,
in materia di reati fallimentari,
prevista dall’art. 219 r.d.
267/42, che determina un aumento
della pena fino alla metà
della sanzione contemplata dagli
artt. 216 e ss. della stessa
legge. In particolare, con riferimento
a tale ipotesi di modifica
dell’imputazione, appare opportuno
soffermarsi su due distinti
aspetti. Il primo concerne
la contestazione di una circostanza
aggravante fondata su
elementi già noti e ampiamente
valutati dalla Pubblica Accusa.
Il secondo, attiene ad una contestazione
effettuata in epoca
successiva al decorso del termine
massimo di prescrizione del
reato contestato. Ed invero, in
relazione al primo punto, giova
chiarire che, ai fini di una corretta
applicazione degli artt. 516
e 517 c.p.p., è necessario che le
contestazioni scaturiscano da
conoscenze “sopravvenute” all’emissione
del decreto che dispone
il giudizio ed emergenti
nel corso dell’istruttoria dibattimentale.
Pertanto, la preesistenza
al dibattimento delle aggravanti
contestate (ad es., tornando
all’ipotesi dei reati fallimentari,
il danno patrimoniale di rilevante
entità e la pluralità di
azioni criminose) è palese laddove
si consideri che la loro
contestazione si fonda su documenti,
come il numero di fatture
ed il relativo importo, già in
possesso dall’Accusa sin dal
momento dell’esercizio dell’azione
penale. In presenza di siffatta
situazione, il Pubblico Ministero
non fa dunque altro che
effettuare una mera rielaborazione
di elementi già nella sua
disponibilità, ponendo in essere
con tale comportamento una vera
e propria violazione della ratio
della disciplina delle nuove
contestazioni, le quali, presupponendo
un corretto esercizio
dell’azione penale, non possono
rappresentare lo strumento
per sanare patologie insite nell’errato
esercizio dell’azione
penale. Ne discende quindi che,
in tale ipotesi, la contestazione
fatta dal P.M. sia da considerarsi
esorbitante (nonché irrituale)
rispetto alla ratio del dettato
normativo. Quanto, invece, al
secondo punto, salvo qualche
opinione dottrinale di segno
opposto (Pisa), parrebbe esservi
concordia nel senso di ritenere
che - allorquando la prescrizione
si sia già verificata in relazione
alla contestazione originaria
- debba pronunciarsi l'estinzione
del reato la prescrizione.
In altri termini, anche a
nostro parere, la prescrizione –
in una lettura costituzionalmente
orientata dell’istituto - opererebbe
come una saetta (quam
sagitta): nel momento in cui essa
si verifica deve essere dichiarata,
a nulla valendo eventuali
contestazioni, successive
all’originario decorso del termine
prescrizionale. A favore
di tale conclusione parrebbero
peraltro militare sia il dettato
normativo che la consolidata
giurisprudenza di legittimità. In
tal senso, fra le fonti normative,
depongono, in particolare, l’art.
183 c.p., che prevede che “le
cause di estinzione del reato
[...] operano nel momento in
cui esse intervengono”, nonché
l’art. 129 c.p.p., ai sensi del
quale “il giudice, il quale riconosce
[...] che il reato è estinto
lo dichiara d’ufficio con sentenza”.
Anche l’orientamento
giurisprudenziale si pone perfettamente
in linea con quanto
sin qui chiarito, laddove si statuisce
che “non può tenersi
conto dell'aumento di pena ai
fini della prescrizione ove la
circostanza non sia stata contestata
anteriormente allo spirare
del tempo necessario a prescrivere,
calcolato secondo la originaria
configurazione del fattoreato”
(Cass. pen., 03.11.87).
Ed invero, secondo la Corte, tale
conclusione si impone anche
in ragione della “natura costitutiva”
della contestazione dell'accusa.
Pertanto – parafrasando
il ragionamento del Giudice
di legittimità - quando la prescrizione
si sia già verificata in
relazione alla contestazione
originaria, non potrebbe esservi
altra soluzione che una pronunzia
di non doversi procedere
per estinzione del reato, non
potendo valere la contestazione
di altra circostanza aggravante,
avvenuta successivamente
alla scadenza del termine
di prescrizione.
Francesco Salamone
DOTTORANDO DI RICERCA
PRESSO L’UNIVERSITÀ
DI SIENA E CULTORE DI DIRITTO
DELL’ECONOMIA PRESSO
L’UNIVERSITÀ DI REGGIO EMILIA