Che fare?
Dopo la suspense del
decreto legge 30
dicembre 2009 (si
rinvia !! non si rinvia!!) si
va al rinnovo del Consiglio
dell’Ordine. Si moltiplicano
i programmi e le promesse
come è costume di
ogni battaglia elettorale.
Gli uni e le altre però non
incidono gran che nelle
scelte di un elettorato quale
è quello forense, spinto
da consolidato scetticismo
a votare il candidato e non
il programma nella rassegnata
certezza che nulla
cambierà. Nulla cambierà?
Questo è vero, o almeno
probabile, se si guarda a
programmi altisonanti che
sembrano assicurare agli
avvocati romani e perfino
alla intera classe forense
una svolta epocale. Non è
altrettanto vero se si guarda
a obiettivi più modesti
ma perfettamente adeguati
ai compiti della Istituzione:
le condizioni di lavoro
degli avvocati e dei collaboratori,
quelle delle colleghe
madri o in attesa, lo
stato degli uffici, il rapporto
tra avvocatura e magistratura,
il rapporto tra avvocati
e utenti, il rapporto
tra avvocatura e opinione
pubblica. Non occorre invocare
la dignità e il decoro
della professione per
constatare che le condizioni
di lavoro degli avvocati,
specialmente dei più giovani,
sono disastrose e sarebbero
respinte dal più
umile dei lavoratori: lunghe
attese, approccio spesso
ostile col personale degli
uffici, incertezze e ritardi
negli adempimenti,
irresponsabilità degli addetti
e via dicendo.
Di ciò non dà
ragione, o non
sempre, lo stato
del sistema giustizia;
spesso si
tratta di inerzie
o arroganze individuali
alle
quali si può e si
deve opporre
una attenta e quotidiana vigilanza
sul funzionamento
del sistema pur se disastrato;
vigilanza che compete
al Consiglio dell’Ordine e
non può essere rimessa all’iniziativa
del singolo
professionista che è condizionato
e spesso impedito
dall’interesse del cliente.
Così pure quanto al rapporto
tra avvocati e magistrati,
rapporto in molti casi
pienamente adeguato a
regole di reciproco rispetto
ma non di rado compromesso
dall’arroganza e dal
rifiuto di ascoltare, comportamenti
questi tanto più
gravi quando si verifichino
in udienza e persino alla
presenza delle parti. Anche
in ciò si impone l’ attenta
vigilanza del Consiglio e
le iniziative necessarie, da
assumere anche nella inerzia,
talvolta necessitata,
del professionista. Ovviamente
un ruolo quale quello
qui delineato impone
non minore vigilanza e attenzione
ai comportamenti
del professionista sia nei
rapporti con gli uffici che
con gli utenti. Al Consiglio
gioverà poi conquistare un
ruolo di protagonista presso
l’opinione pubblica con
la tempestiva denuncia dei
disservizi più gravi. Ho in
passato più volte rappresentato
la necessità che un
Consiglio dell’Ordine quale
quello romano si avvalga
organicamente di un addetto
stampa, come fanno da
tempo molte istituzioni
pubbliche, perché deve essere
chiaro che i problemi
dell’avvocatura sono problemi
dei cittadini che vedono
compromessa la loro
domanda di giustizia. In
quest’ottica di fattibilità il
programma della Lista del
Presidente della quale ho
l’onore di far parte appare
ispirato a chiarezza e concretezza
e si accredita anche
in ragione dei risultati
già conseguiti da Alessandro
Cassiani e della sua indiscussa
autorevolezza. E
tuttavia non va dimenticato
che molto dipenderà dalla
compattezza e concordia di
intenti del Consiglio eligendo.
Giorgio Della Valle
Avvocato del Foro di Roma