Scongiurato il pericolo di “sfratto” per l’Ordine degli avvocati di Roma
Date: Tuesday, March 02 @ 16:51:39 CET
Topic: Articolo


Il Consiglio di Stato dà ragione ai legali romani

Dopo due anni, gli avvocati di Roma sono tornati alle urne per eleggere il nuovo Consiglio. La campagna elettorale si è svolta in un clima abbastanza disteso, anche nella consapevolezza che l’Ordine di Roma non sarà costretto a lasciare la sede storica di Piazza Cavour. Com’è noto, infatti, i legali romani erano stati messi in mora a seguito di una iniziativa del Primo Presidente della Suprema Corte di Cassazione e dell’Agenzia del Demanio, che si era concretizzata con la sconcertante intimazione di “sfratto” basata su una non meglio precisata esigenza della Corte stessa di disporre di ulteriori spazi all’interno del Palazzo. Con ricorso n. 12027/2008, il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Roma impugnava avanti al TAR del Lazio la nota protocollo n. 2008/6097/RC, datata 30/09/2008, con cui L’Agenzia del Demanio aveva ordinato a detto Consiglio il rilascio dei locali da esso detenuti all’interno del Palazzo di Giustizia, con richiesta di indennizzo, oltre a somme pregresse e al risarcimento dei maggiori danni. Il Consiglio faceva notare la sua natura di ente pubblico non economico e di aver ricevuto, fin dal 1911, i locali, per effetto della L. 9 febbraio 1911 n. 77 e del conseguente regolamento approvato con R.D. 26 marzo 1991 n. 435; sosteneva, altresì, che tali fonti accreditavano la sua peculiare posizione, non modificata da norme successive, e che non rilevava, a tali fini, l’entrata in vigore della L. 27 marzo 1995 n. 99 che rinviava all’art. 2 della L. 24 aprile 1941 n. 392 afferente le sedi dei Consigli degli Ordini forensi. Con sentenza n. 3619/2009, il Tribunale amministrativo in parte dichiarava inammissibile il ricorso, relativamente all’evocazione nel giudizio del Primo Presidente pro-tempore della Corte di Cassazione, non essendo egli l’autorità emanante gli atti impugnati; ed in parte lo respingeva, nel merito, alla luce della natura demaniale del bene e della sopravvenuta disciplina, per le sedi dei Consigli in parola, di cui alla citata L. 99/1995. Il presidente dell’Ordine capitolino ha appellato la decisione del giudice di primo grado, richiamando le fonti normative che accreditavano la posizione giuridica dell’organo da egli presieduto e deducendo le seguenti censure: 1) violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della L. 99/1995, anche in relazione agli artt. 1, 2 e 3 del R.D. 435/1911; 2) errore sui presupposti di fatto e di diritto dell’azione amministrativa; 3) difetto di istruttoria; 4) eccesso di potere. Con la sentenza n. 8620/2009, depositata il 22 dicembre scorso, la IV sezione del Consiglio di Stato ha accolto – in parte – il ricorso n. 5690/2009, avverso la decisione del TAR Lazio che aveva decretato lo “sfratto” del Consiglio dalla sua sede storica. Dalla motivazione della decisone, emerge che i giudici di Palazzo Spada hanno condiviso la tesi dei Prof.ri Antonio Masi e Paolo Berruti circa il legittimo fondamento dell’originaria attribuzione da parte del Ministero di Grazia e Giustizia dell’attuale sede consiliare, ribaltando la statuizione del TAR che a tale assegnazione non aveva dato rilievo giuridico. Il giudice di secondo grado ha ritenuto “che la fase esecutiva del provvedimento di rilascio sia subordinato al previo positivo esperimento delle procedure di determinazione del numero dei locali” e di valutazione della loro idoneità, “nella considerazione complessiva delle esigenze connesse al regolare svolgimento dell’attività giudiziaria e di quella forense. Sino a tale definizione – continua la sentenza del Consiglio di Stato – risulterà, pertanto, legittima la permanenza del Consiglio nella sede attuale, per non compromettere il perseguimento degli scopi istituzionali, di natura pubblica, allo stesso affidati dall’ordinamento, quale espressione dell’incomprimibile diritto di difesa previsto dall’art. 24 Cost.”. Inoltre, l’appello è stato ritenuto fondato ed accoglibile in toto nella parte relativa alle richieste ex adverso avanzate, in quanto il collegio ha ritenuto che nessun indennizzo né canone né risarcimento danni siano dovuti dal Consiglio dell’Ordine. In conclusione, pur nella consapevolezza dei gravi problemi da cui è affetta l’avvocatura, tuttavia appare inspiegabile l’ostilità mostrata dalla Suprema Corte e dall’Agenzia del Demanio nei confronti dei legali romani, concretizzatasi con l’intimazione di “sfratto” e con le altre richieste economiche, ora vanificate dalla citata recente sentenza del Consiglio di Stato.

Gabriele Sabetta






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