Un recente intervento delle Sezioni Unite
Date: Wednesday, May 05 @ 16:14:03 CEST
Topic: Articolo


Con il dispositivo di condanna scatta la ex Cirielli

Con una recente pronuncia a Sezioni Unite (la n. 47008 del 10 dicembre 2009), la Suprema Corte di Cassazione, ribadendo l’orientamento maggioritario nella giurisprudenza di legittimità e richiamando le motivazioni della sentenza n. 393 del 2006 della Corte Costituzionale, ha affermato che ai fini dell’applicazione delle disposizioni transitorie della nuova disciplina della prescrizione introdotta dalla l. n. 251 del 2005, la pronuncia della sentenza di condanna di primo grado determina la pendenza del giudizio in appello e vale ad escludere la regola della retroattività delle disposizioni più favorevoli.
A seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 10 comma 3, L. n. 251 del 2005, ad opera della richiamata sent. n. 393/2006, l’operatività dei nuovi termini di prescrizione risulta ormai esclusa unicamente con riguardo ai “processi già pendenti in grado di appello o avanti la Corte di Cassazione” alla data di entrata in vigore della c.d. legge ex Cirielli. In relazione all’attuale testo della norma transitoria si è posto il quesito al quale le Sezioni Unite sono state chiamate a dare risposta, ossia se a seguito della sentenza di condanna emessa in primo grado debba ritenersi verificata la pendenza in appello del processo, prevista dall’art. 10 comma 3, L. 251/05 ai fini di escludere l’applicabilità delle disposizioni sopravvenute, più favorevoli in tema di prescrizione o se la pendenza in appello si realizzi in un momento differente (presentazione del gravame iscrizione del processo nel registro della Corte d’Appello, etc.). Tra le diverse e contrastanti posizioni delineatesi nella giurisprudenza di legittimità, le Sezioni Unite hanno aderito all’orientamento maggioritario – che fa coincidere la pendenza del processo in appello con la pronuncia della sentenza di primo grado – condividendone le argomentazioni sottese, e cioè che la sentenza di condanna determina l’interruzione della prescrizione e che l’effetto, alla medesima riconosciuto, di escludere la retroattività delle norme più favorevoli, va riportato alla lettura del dispositivo e non al deposito della motivazione, che non incide sul decorso della causa estintiva. Secondo i giudici di legittimità, essendo indiscutibile l’operatività della disciplina più favorevole per tutta la durata del giudizio di primo grado, risulta legittimo far scattare l’esclusione a partire dall’atto conclusivo di quest’ultimo il quale si concreti in una sentenza di condanna: ravvisare la pendenza di un procedimento in appello nel momento in cui viene emesso il provvedimento che pone fine al grado precedente trova “congrua spiegazione nella circostanza che questo evento comporta l’impossibilità per il giudice di assumere ulteriori decisioni in merito all’accusa, nell’ambito del processo principale e che esso apre comunque la fase dell’impugnazione, indipendentemente dal fatto che siano aperti i termini per proporla”. La sentenza di condanna – quale accadimento che conclude il giudizio di primo grado nel cui corso si è raccolto il materiale probatorio e quale evento che, consolidando l’accusa, interrompe la prescrizione – risulta, pertanto, idonea, sia in relazione al momento processuale in cui interviene, sia con riguardo al suo contenuto di verifica fattuale e di imposizione punitiva, a segnare la linea di demarcazione temporale tra la pregressa e la nuova normativa.
Infine, la Suprema Corte – seppur incidentalmente – ribadisce che l’esclusione sancita dall’art. 10 c. 3 l. 251/05 non concerne solo i termini fissati dall’art. 157 c.p., ma tutte le disposizioni che hanno come effetto una loro riduzione, dal momento che la norma non distingue tra i vari modi che possono portare a detto risultato: ne consegue che nell’ambito della non operatività deve ritenersi compresa anche l’ipotesi in cui la maggior brevità del tempo di prescrizione derivi da una disposizione che incide sulla durata stessa, anticipandone nel tempo la decorrenza, come quella che, eliminando nell’art. 158 c.p. il richiamo alla continuazione, ha determinato che, in caso di reati uniti da tale vincolo, debba aversi riguardo alla commissione di ciascuno di essi e non già alla data di cessazione dell’attività criminosa.

Claudio Prota






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