Intervista a Massimo Barra
La droga è uno dei
mali caratteristici
del nostro tempo
perché molto più che in
passato rappresenta un
momento di evasione dallo
stress o dalle insoddisfazioni
personali. Lungi dall’essere
una soluzione a
questi problemi, essa crea
anzi un problema maggiore
che è quello della dipendenza
a cui spesso segue
l’emarginazione sociale,
poiché l’opinione
pubblica non riesce a capire
che spesso l’uso di
droghe è dovuto non tanto
alla scelta consapevole del
singolo quanto all’ambiente
e alla situazione
personale in cui questo è
cresciuto e si trova al momento.
Se poi alla detta situazione
patologica si aggiungono
le pene dei reati
commessi in relazione alla
propria tossicodipendenza
ci si trova di fronte alla
doppia sfida del recupero
del malato e del criminale.
Posto però che le carceri
in genere e quelle italiane
in particolare sono luoghi
di violenza psicologica
prima ancora che fisica, il
recupero di soggetti deboli
come i tossicodipendenti
sarà difficile e al più si può
sperare che questi non
prendano anche il diploma
di criminali da aggiungere
alla qualifica di tossici.
Per far luce su una questione
tanto delicata abbiamo
intervistato Massimo
Barra, Presidente della
Croce Rossa Italiana dal
2005al 2008 e da sempre
impegnato in politiche di
recupero dei tossicodipendenti
con la sua Villa Maraini,
il più grande centro
antidroga italiano.
Nonostante il T.U. 309/90
preveda l’affidamento in
prova, questa misura nel
nostro paese è applicata
solo raramente, con il risultato
che le carceri italiane
hanno una percentuale
di detenuti tossicodipendenti
al di là di ogni
media europea e per di
più sono sovraffollate.
Cosa impedisce l’applicazione
di questa misura,
che le statistiche dicono
portare vantaggi a lungo
termine?
Le carceri sono uno dei
grandi problemi irrisolti
dell’umanità, in particolare
in Italia tra Regina Coeli e
l’ultimo atto della Tosca
non c’è grande differenza.
Che nel terzo millennio si
debbano ancora usare le
carceri è una sconfitta per
l’umanità, in questa sconfitta
è ancora più clamoroso
un terzo dei detenuti sia
in carcere per problemi legati
alla droga. Questo è
un frutto avvelenato, un
collateral damage del
proibizionismo. Io non sono
un antiproibizionista
perché il proibizionismo è
un freno al consumo e la
droga fa male, il maggior
numero di morti per droga
si ha per droghe legali e
non per droghe illegali.
Premesso questo, non sono
un proibizionista ottuso,
come alcuni attuali governativi,
un proibizionista
che si compiace del
proibizionismo, mentre il
proibizionismo è una tragedia
che ha danni collaterali
enormi: la criminalità,
l’invasione degli stati da
parte dei narcotrafficanti e
quello che sta succedendo
in Messico è eclatante;
questi sono i danni collaterali
del proibizionismo.
Per quanto riguarda le misure
previste il problema è
che il tossicomane è totalmente
impotente, cioè non
ha potere. Già i malati non
hanno potere, il tossicomane
è un malato che è
fortemente stigmatizzato,
stigma and discrimination,
sono solito dire stigma kills
poiché la stigmatizzazione
uccide più della droga.
Non avendo potere è
preda delle apatie e delle
indifferenze delle burocrazie,
nell’apparato giudiziario
italiano le burocrazie
dominano, sia le burocrazie
della magistratura sia
le burocrazie di coloro che
devono predisporre gli atti
per fare questi provvedimenti
alternativi. La mia
Villa Maraini è forse quella
che ha più persone in alternativa
al carcere, ma
proprio perché siamo caparbi,
anche perché spesso
non veniamo pagati e
quando lo siamo questo è
solo in misura ridicola. In
questo mare l’alternativa
la carcere langue ed è una
iniziativa intelligente che
viene praticata poco.
Quali sono stati i risultati
del progetto DAP - Prima,
che prevedeva una
valutazione preventiva
all’arrestato al fine di
studiare un piano di recupero
adatto personalizzato
per ogni soggetto?
DAP – Prima è stato un
progetto europeo che ha
formalizzato quello che
noi facciamo da 15 anni, è
iniziato in ritardo ed è finito
senza rinnovo. Non ha
avuto seguito ma siccome
noi a Roma continuiamo
ad operare e andiamo tutti
i giorni ai tribunali per visitare
le persone che vanno
in direttissima praticamente
il DAP – Prima non ha
inciso significativamente
perché è stata una piccola
parte. L’unica cosa nuova
è che ci hanno dato una
stanza che abbiamo mantenuto.
DAP – Prima non
può essere un progetto ma
un’opera sistematica, le
persone che vanno in giudizio
devono essere messe
in condizione di potersi difendere,
se sono in astinenza sono disorientati nel
tempo e nello spazio e
quindi incapaci di difendersi.
Noi da anni gli portiamo
il metadone e i giudici
molte volte interrompono
il processo per permetterci
di operare. Abbiamo
umanizzato il processo
e constatiamo che le pene
diminuiscono perché quando
qualcuno si sa difendere
riceve una pena più lieve
che se fosse abbandonato a
se stesso. Quindi DAP –
Prima è stato uno progetto
intelligente gestito malamente
dalle burocrazie con
forti ritardi. È un fiore che
però non ha dato frutti.
Quali sono le differenze
tra le cure e i programmi
di reinserimento che possono
essere offerti in carcere,
come gli I.C.A.TT.,
e quelli invece disponibili
in una centro antidroga
come la sua Villa Maraini?
Quali effetti diretti ed
indiretti può avere il
mancato recupero del
tossicodipendente?
Io distinguo chi ruba per
drogarsi da chi si droga per
rubare: sono due estremi,
bianco e nero e la situazione
che è intermedia è grigia.
Premesso questo, noi
siamo contrari a mandare
in galera i tossicomani perché
la galera è una grande
scuola di criminalità. Il
tossico in genere non è un
gran criminale, è un auto
lesivo più che un etero lesivo,
quindi se noi lo mettiamo
in mezzo ai veri criminali,
dove il potere sta in
mano a chi ha più anni di
galera, iscriviamo i tossici
alla scuola della criminalità,
con danni a volte irreversibili,
quindi un programma
di recupero in carcere
è quasi una contraddizione
in termini, anche se a
qualcuno fa anche bene:
c’è gente che è incapace di
vivere al di fuori, però anche
qui c’è chi la sopporta
bene e chi no e in generale
non possiamo dire che la
galera sia una cura della
tossicomania. La differenza
tra Villa Maraini e gli
altri centri è che noi non
sposiamo una ideologia o
una terapia ma le usiamo
tutte cercando di spendere
la terapia giusta per il paziente
giusto nel momento
giusto. Il nostro è un centro
polivalente dove si tratta il
paziente in relazione alla
sua motivazione, posto che
chi è ben motivato a smettere
è malato ma chi non è
motivato è malato due volte
e quindi richiede maggiori
cure. Chi vanno cercando
gli altri centri? I
soggetti motivati, e se non
funziona un sistema l’opinione
pubblica non pensa
sia colpa della comunità
terapeutica ma del soggetto
che non è motivato.
Questo è contrario all’interesse
dello Stato, che è conoscere
tutti i tossicomani,
e quanto più il soggetto è
ribelle alle cure tanto più è
patologico e tanto più deve
essere preso in carico.
Quanto detto ha senso nel
presupposto che sia un interesse
avere le persone in
cura, perché un tossicomane
curato è pericoloso ma
un tossicomane non curato
è pericoloso due volte.
Quali sono i punti di
maggior criticità, a
livello burocratico,
del rapporto dei
centri di recupero
con lo Stato e le Regioni?
Non vi è differenza in
questo tra Stato e Regioni,
si disse di fare
la battaglia per decentralizzare
questa funzione
perché la regione
avrebbe potuto
ascoltarci di più, ma la regione
si è rivelata più inefficiente
dei ministeri. La
burocrazia è una patologia
mentale dove prevale il
collettivo e la forma sulla
funzione e sulla sostanza.
Peraltro i burocrati odiano
i drogati perché se uno fa il
ragioniere e il drogato
stanno ai poli opposti e vi è
quindi anche un odio personale.
Spesso pensano
che i soldi dello Stato spesi
in favore dei drogati siano
sprecati, visto che tra
l’altro sono i drogati ad essersi
messi in una condizione
di difficoltà. Tutto
questo cambia quando
hanno un figlio coinvolto
in queste vicende e allora
si vedono conversioni che
non sono paragonabili
neanche a quella di San
Paolo. Il tossico come il
malato mentale non conta
niente; già i malati contano
poco e la loro condizione
si accompagna sempre ad
un crollo di potere, in certe
malattie il crollo di potere
è ancora più clamoroso e
quindi altri soggetti ne
traggono vantaggio.
Massimo Reboa