Nuovo onere per i legali
Il decreto-legge n. 193
del 2009, convertito
nella legge n. 24 del
2010, ha introdotto alcune
modifiche al codice di procedura
civile, che stanno
creando non poche difficoltà
operative. La novella
è entrata in vigore il 30 dicembre
2009, ma è rimasta
finora sotto silenzio.
L’art. 163 recita testualmente:
“L’atto di citazione
deve contenere: … 2) il nome,
il cognome, la residenza
e il codice fiscale dell’attore;
il nome, il cognome,
il codice fiscale, la residenza
o la dimora del
convenuto e delle persone
che rispettivamente li rappresentano
o li assistono.
Se l’attore o convenuto è
una persona giuridica,
un’associazione non riconosciuta
o un comitato, la
citazione deve contenere la
denominazione o la ditta,
con l’indicazione dell’organo
o ufficio che ne ha la
rappresentanza in giudizio”.
Il successivo art. 167
dello stesso c.p.c., come
modificato, stabilisce che il
convenuto deve indicare,
nella comparsa di risposta,
le proprie generalità e il codice
fiscale.
Dalla lettura del citato articolo
163, si evince che le
persone fisiche (di cui si
deve indicare il codice fiscale
anche se convenute)
risultano distinte dagli enti,
per i quali non vi è l’obbligo
del codice fiscale per le
persone che le rappresentano,
che sorge al momento
della costituzione in giudizio.
In altri termini, per gli
enti è obbligatorio inserire
nell’atto di citazione soltanto
la denominazione o la
ditta e l’indicazione dell’organo
ufficio che ne ha
la rappresentanza in giudizio,
confermando così la situazione
precedente alla
nuova normativa. Ne consegue
che, dalla lettura del
novellato art. 163, l’avvocato
non sarebbe tenuto a
inserire il codice fiscale
della persona che rappresenta
l’ente; onere, questo,
obbligatorio per le persone
fisiche. A riguardo, stante il
rischio di nullità dell’atto
di citazione, sembrerebbe
comunque prudente indicare
il codice fiscale dell’ente
convenuto sia il nome della
persona fisica che ne ha la
rappresentanza legale, con
il codice fiscale. La ratio
della nuova legge n. 24 del
2010, sopra riportata – che
stabilisce l’obbligatoria indicazione,
negli atti processuali,
del codice fiscale di
tutti i partecipanti al giudizio
– è quella di consentire
la identificazione di quest’ultimi
da parte del sistema
informatico.
L’inciso indicato nel nuovo
art. 163: “… delle persone
che rispettivamente li rappresentano
o li assistono”,
potrebbe riferirsi ai soggetti
che hanno la rappresentanza
sostanziale dell’attore
nel caso in cui questi sia
incapace totalmente o parzialmente;
ne deriverebbe
perciò che la mancata indicazione
del codice fiscale
degli avvocati non comporti
la nullità dell’atto di citazione;
del resto, lo stesso
art. 163 parla dei difensori
solo al numero 6, in cui
prescrive che l’atto di citazione
deve contenere anche
“il nome e il cognome del
procuratore e l’indicazione
della procura qualora questa
sia stata già rilasciata”.
Va precisato, inoltre, che
l’art. 125, primo comma,
del codice di procedura civile
come modificato, prevede
che sulla citazione,
sul ricorso, sulla comparsa,
sul controricorso, sul precetto
deve essere indicato
anche il codice fiscale del
difensore. La norma non risulta
particolarmente onerosa
per un avvocato che
inizi un qualsiasi procedimento
giudiziario, relativamente
all’indicazione del
proprio codice fiscale sull’atto;
di contro, non appare
costituzionalmente legittima
l’esclusione del diritto
di difesa della parte a causa
del mancato inserimento di
un elemento utile e necessario
al sistema informatico,
ma non al processo.
Alla luce di quanto sopra,
le modifiche al c.p.c. dovrebbero
essere interpretate
nel senso che la mancata
indicazione del codice fiscale
dell’avvocato non
comporti la nullità della citazione;
del resto, il citato
art. 125, come novellato,
impone l’obbligo ai legali
di inserire il proprio codice
fiscale negli atti da loro sottoscritti,
ma il rispetto di tale
norma non è prevista a
pena di nullità.
A riguardo, una recente ordinanza
del Tribunale di
Varese, sezione I civile, ha
stabilito che il citato nuovo
articolo 163 c.p.c. vada interpretato
nel senso che la
mancanza del codice costituisce
una irregolarità sanabile
e non una nullità; dunque,
il processo può andare
avanti. Inoltre, l’omissione
non comporta evasione
d’imposta né sanzioni da
parte dell’amministrazione
finanziaria (art. 10 comma
3 L. 212/2000, statuto del
contribuente). Infine, il Tribunale
ha chiarito che il novellato
art. 163, terzo comma
n. 2 c.p.c., fa riferimento
agli istituti della rappresentanza
e dell’assistenza e
cioè ai soggetti che agiscono
come sostituti processuali
o rappresentanti legali
(ad es. i tutori), e non agli
avvocati.
Gabriele Sabetta